In Giappone, la polizia ha arrestato tre uomini dopo che una giovane donna aveva rivelato di essere stata minacciata di terribili ritorsioni economiche se non avesse recitato in un film porno. Numerose altre donne hanno denunciato di essere state costrette alla carriera di pornostar contro la propria volontà; alcune hanno persino subito reiterate violenze sessuali sul set di un film vietato ai minori. La più importante confederazione a luci rosse giapponese, l’Ippa, ha fatto per la prima volta un timido mea culpa, promettendo di autoriformarsi per evitare ulteriori abusi. Un buon venti per cento dell’industria hardcore nazionale sfugge però ai radar, non è iscritto a nessuna associazione di categoria: le loro lavorazioni possono pertanto proseguire indisturbate, ai confini della legalità. Mentre il governo tace.
Si contano a migliaia le ragazze del Sol Levante maltrattate, sfruttate e raggirate nel settore dell’intrattenimento per adulti; e se non fosse stato per gli attivisti e gli avvocati di Human Rights Now, questo fenomeno sarebbe rimasto sepolto sotto una campana di vetro.
Spesso neo-maggiorenni, di ceto basso e di origini rurali o periferiche, con scarsa o nulla disponibilità finanziaria, queste donne giovanissime vengono adescate per strada da sedicenti talent-scout con la promessa di farne delle modelle o delle celebrities: ma l’illusione dura poco. Molto presto cominciano, per loro, le pressioni e i ricatti. Subito dopo aver firmato un contratto costellato da clausole di difficilissima comprensione: “È una pura formalità: se vuoi diventare famosa, metti una firma”. Ma quel documento (siglato sulla fiducia) le ingabbia di fatto in una carriera pornografica che mai avrebbero desiderato, perché quando si rendono conto di avere sottoscritto una specie di patto col diavolo, e provano a uscirne, gli “impresari” le minacciano di ingenti e subdole sanzioni pecuniarie: “se ti tiri indietro e non appari più nuda mentre fai sesso in video, dovrai sborsare una penale salata”.
L’escamotage brandito è sempre lo stesso: “inadempienza contrattuale”. Parecchie di loro si arrendono: non possono pagare per il loro “riscatto” e non si fidano del sistema giudiziario. Entrano, obtorto collo, nel tunnel di una schiavitù di ritorno in salsa ultra HD. Diventano delle pornoattrici tristi. Qualcuna si toglie pure la vita. Tanto l’odore della paura e della disperazione, il retrogusto rancido della violenza non arriveranno mai al naso e nemmeno al cuore dei consumatori incalliti di filmati sexy all’orientale.
Disseminati ai quattro angoli del globo: il porno giapponese è un mercato florido, da esportazione, che non teme exit, dischiuso a ogni fantasia e perversione umana. Un’autentica cornucopia per voyeuristi di pratiche sessuali di ogni ordine e grado e bizzarria: dai feticismi più variopinti al sadomaso estremo, dalle gang-bang al bondage, passando per i manga animati (magari con le interpreti camuffate da teenager) e le “fantasie” di rapimento e sesso non consensuale ai danni delle donne.
In Giappone si nasce sempre meno, si fa sempre meno sesso e anzi in tanti scelgono la strada dell’astinenza a tempo indeterminato; eppure da quelle parti ogni anno l'industria hardcore genera un giro d'affari di quasi 4 miliardi e mezzo di dollari, ed escono 20 mila film (il doppio che in America). Contingentate le pornostar maschili (giusto qualche decina: il più famoso è Ken Shimizu, in arte Shimiken, anche detto il “Cristiano Ronaldo del porno”), sono ben più numerose (a migliaia) le pornostar femminili, alcune delle quali diventano delle icone pop, ricche e popolari. Ma sotto il livello rutilante dello show-system ribolle un mondo di sotto avvelenato dalle angherie, dalle sopraffazioni, dalla negazione di ogni diritto umano.
Come nel nuovo romanzo (in uscita a fine mese per Neri Pozza) di Natsuo Kirino, regina del noir giapponese. Si intitola “La notte dimenticata dagli angeli” ed è un viaggio al termine della notte del porno nipponico dominato, nella fiction del libro, dalla casa di produzione “Create Pictures”. Figuri scaltri e abietti che scorrazzano sulla soglia mobile tra pornografia, prostituzione e sequestro di persona. Una ragazza viene violentata brutalmente da tre uomini nel suo appartamento a Tokyo. È la scena madre di Ultraviolence, film hard di gran successo tra gli appassionati. La protagonista (Rina) è una debuttante, una pornoattrice occasionale come tante in Japan. Un esordio di non ritorno. “Di colpo si sente bussare alla porta. Kaneko va ad aprire e tre uomini fanno irruzione in camera… La macchina stringe sul viso di Rina, stravolto da un misto di terrore e stupefazione… «Che volete da me? Che cosa volete farmi?» si lamenta con voce rotta dal pianto, mentre i tre uomini le si avvicinano con fare minaccioso. «No, no, non voglio!» urla disperata, gli occhi sbarrati e il volto cadaverico. Poi balza giù dal letto e tenta di scappare, ma il tipo con la testa rasata le sbarra la strada e le molla uno schiaffo spaventoso, facendola cadere all’indietro. «Dove credevi di andare? Puttana!» le urla con tutto il fiato che ha in gola. La ragazza giace supina sul letto, ammutolita e con lo sguardo sempre più attonito, incapace di connettere. Nell’istante in cui prova a dischiudere le labbra, l’uomo l’afferra per i capelli e la tira verso di sé. Lei emette un urlo strozzato, trema come una foglia, ma lui le tiene la testa ben ferma e le preme senza pietà la faccia contro i propri genitali, mentre con la mano libera si abbassa la zip dei pantaloni in un sol colpo. Allo stesso tempo il ragazzo bassino si avventa come una furia da dietro e la costringe ad allargare le cosce”. Altrimenti è inadempienza contrattuale.
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