Vengo spesso criticato qui sul blog perché mi scaglio contro il “lusso” e il “Made in Italy”, come se fossi contrario a normali dinamiche economiche o peggio, avversassi per ragioni personali una delle nostre industrie di punta come la Moda, ambiente di cui ho fatto parte per anni. Siccome torno spesso su questo punto e lo ritengo importante, vorrei chiarire un equivoco. Io non auspico affatto una società di “poveri e uguali”, un modello che tra l’altro è già fallito. E non sono nemmeno un imprenditore folgorato in età avanzata dal mito del pauperismo francescano, ci mancherebbe.
Il discorso è diverso: io sono contro il lusso diventato ideologia, metro di valore fasullo, culto dello status symbol, esibizione volgare del marchio come segno di affermazione sociale. Un equivoco economico, etico e estetico che a mio avviso ha contribuito a mandare in corto circuito il nostro sistema di valori.
È difficile definire il concetto di lusso. Tuttavia si può dire che in ogni epoca il lusso è sempre coinciso con il privilegio delle classi abbienti di possedere e godere in modo esclusivo di oggetti e opere di alta o altissima qualità. Lussuoso è uno stile di vita che si può permettere il meglio che l’epoca offre. In certe epoche il lusso ha anche significato sensibilità estetica, cultura, capacità di apprezzare le opere d’arte, per cui ad esempio nel Rinascimento i grandi Signori erano mecenati in quanto incentivavano il bello, e in questa completezza tra possibilità economiche e sensibilità estetica forse il concetto di lusso trova il punto più alto.
Di tutta questa tradizione non è rimasto nulla. Il cosiddetto lusso di oggi non è che un modo per manipolare e illudere le masse. Chi tratta di lusso oggi promuove un modello che punta non a suscitare sentimenti alti come il culto del bello, ma bassi come invidia e frustrazione nelle masse meno abbienti, per farle sgobbare e comprare. È un’ideologia deteriore che trova nel tessile e nella moda la massima espressione. È lusso indossare un jeans che vale venti euro e comprato a quattrocento perché D&G? È lusso passeggiare in centro mostrando a tutti una borsa Prada? Ha qualche significato questo vezzo tutto italiano dell’apparire, del mettersi in mostra con il pataccone dello stilista ben visibile a trenta metri di distanza?
Complice il lavoro dei pubblicitari e della tv, sono almeno 30 anni che si è diffusa questa ideologia del “lusso per tutti” o “accessibile” che a me pare una boiata: non solo è una contraddizione in termini, ma ha anche agito come veleno sociale. Il popolo a reddito fisso è stato indotto a pensare di non valere nulla senza lo sfoggio di uno status symbol. E che questi erano anche alla sua portata se solo era disposto a qualche sacrificio.
Ecco quindi i debiti, e gli esiti assurdi soprattutto nelle regioni del sud, con il macellaio che gira per il paese in Porsche che pagherà in vent’anni, la ragazza che si prostituisce non per mantenere un figlio a scuola, ma per comprarsi le scarpe firmate. E tutto per mentire sulla propria condizione e vivere male. Un tonto in Ferrari resta tonto, una escort con borsa firmata rimane escort. Il grado di incultura su larga scala dietro a queste dinamiche è a mio avviso impressionante.
E chi ci guadagna? I gruppi che vogliono continuare a realizzare e vendere pochi prodotti ipervalutati del 500%. Ma ormai ciò è superato sul piano del costume, deprecabile sul piano etico, insostenibile sia sul piano industrale. Cosa perdiamo? Il valore del risparmio. Ho conosciuto svariati signori nella mia vita, e una scena in gioventù mi rimase impressa: da Fortnum & Mason a Londra un autentico Lord inglese che si mise a spiegare al commesso il modo migliore per risuolare le sue vecchie Lobbs.
Io sono contro questo lusso di oggi, contro questo concetto di Made in Italy pataccaro, non contro la nostra alta manifattura che pochi al mondo se la possano permettere. Quando avremo fatto piazza pulita di questo retaggio saremo un paese migliore. Noto che la crisi, assieme ai dolori, ci sta già dando maggiore concretezza.
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