La pubblicazione di alcuni saggi dell'etnografo francese pone al centro della scena il ruolo delle scienze sociali nella realtà contemporanea. Un'analisi a partire dalla ricezione della sua opera da parte di Gilles Deleuze e Felix Guattari
«Quanto all'etnografia, Pierre Clastres ha detto tutto, in tutti i casi il meglio per noi». A rivolgere questo complimento all'antropologo francese, a nome suo e di Félix Guattari, è Gilles Deleuze nel corso di una tavola rotonda alla quale parteciparono anche François Châtelet, Roger Dadoun, Serge Leclaire, Maurice Nardeau, Raphaël Prividal, Pierre Rose e Henri Torrubia. L'incontro, organizzato da Nardau, direttore de «La Quinzaine Littéraire», rivista che pubblicherà nel giugno del 1972 il testo completo della seduta, ebbe come scopo quello di far «reagire» le tesi de L'anti-Edipo, appena pubblicato, con quelle delle diverse discipline incarnate nei vari partecipanti. Clastres, naturalmente, era lì in nome dell'etnologia.
Il divenire selvaggio
Il suo intervento - che si può leggere in Deleuze e Guattari si spiegano... contenuto in Macchine desideranti (ombre corte) - è un caso a sé all'interno delle dinamiche comunicative che attraversano la tavola rotonda. Mentre tutti i partecipanti prendono più volte la parola, Clastres lo fa solo una volta, e poi tace. Tra le cose che dice ce n'è una molto importante per accedere al testo di Deleuze e Guattari: «L'anti-Edipo è dunque una teoria generale della società e delle società». Prima di capire perché Clastres collochi il libro sul campo sociologico, bisogna vedere come mai, dopo aver parlato, non riprende più la parola. Se da un lato il suo intervento ha la dignità di un'interpretazione epistemologica, dall'altro, visto il silenzio in cui in seguito lo avvolge, sembra volerlo fare accedere ad una dimensione lirica, come dire, scienza e poesia. Questa singolarità dell'enunciazione clastriana deve aver colpito sicuramente Deleuze il quale, a differenza di Guattari, non smette di riferirsi alle cose dette dall'antropologo e moltiplica i complementi: «ciò che Pierre ha appena finito di dire mi sembra completamente giusto».
Per capire le ragioni teoriche che hanno spinto Clastres ad adottare una strategia retorica che ha fatto del suo discorso scientifico una poesia, dobbiamo immaginarcelo non tanto nei panni dell'antropologo, quanto in quelli di un «Selvaggio», l'unico, seduto tra i tanti «Civilizzati». Per farsi capire, allora, era necessario che la sua parola fosse ad un tempo scientifica, l'autorevolezza dell'incontro lo imponeva, e poetica, proprio come quella dei capi delle tribù dell'America del Sud: «il discorso del capo, nella sua solitudine, ricorda la parola del poeta per il quale le parole sono valori ancor più che segni».
Divenire-selvaggio, divenire-capo, divenire-poeta: di fronte a tante metamorfosi Deleuze non poteva rimanere indifferente. Clastres, per sopravvivere alla «Civiltà» della tavola rotonda organizzata per discutere L'anti-Edipo, ha finito con l'assolvere ad una delle tre funzioni che contraddistinguono a suo parere i capi selvaggi: essere un pacificatore, essere generoso ed essere un grande oratore. Tutto ciò lo si può leggere in Scambio e potere, il secondo capitolo de La società contro lo Stato (traudione di Luigi Derla, pp. 160, euro 15), le ricerche di antropologia politica del 1974 che finalmente, dopo dieci anni dall'ultima edizione italiana, l'editore ombre corte rimanda in libreria.
La riedizione del testo più noto di Clastres, a cui si può affiancare anche il recente L'anarchia selvaggia (Eleuthera, pp.116, euro 12), consente di verificare l'effettiva influenza esercitata dalle tesi dell'antropologo sul libro di Deleuze e Guattari. A tale fine, saranno sufficienti i soli due saggi citati ne L'anti-Edipo: Scambio e potere del 1962 e L'arco e il paniere del 1966, usciti rispettivamente sulla rivista «L'Homme» e poi confluiti in La società contro lo Stato come suoi capitoli II e V. Prima di questo, però, bisogna vedere perché, da un punto di vista più generale, un antropologo ascriva alla sociologia la portata complessiva del testo di Deleuze e Guattari, in particolare, proprio quel capitolo, il terzo dal titolo «Selvaggi, barbari e civilizzati», di stretta pertinenza etnologica.
Successioni disciplinari
Parlando delle questioni etnologiche affrontate e risolte ne L'anti-Edipo in termini di «teoria generale della società e delle società», in realtà Clastres non fa altro che confermare la sua appartenenza alla grande tradizione antropologica francese per la quale l'etnologia è irrimediabilmente sociologia. Lo aveva stabilito Claude Lévi-Strauss il 23 febbraio del 1947 quando da New York, chiudeva la «Prefazione» alla prima edizione de Le strutture elementari della parentela scrivendo: «il nostro lavoro avrà assolto al suo compito se, dopo averlo chiuso, il lettore si sentirà portato ad aggiungere: "e la sociologia"». Si riferiva al fatto di aggiungere tale disciplina allo studio scientifico delle organizzazioni sociali assieme alla fisica, alla biologia e alla psicologia.
Con questo gesto Lévi-Strauss andava definitivamente a correggere l'orientamento teorico dell'altro grande fondatore dell'etnologia francese, Marcel Mauss, per il quale, al contrario, la sociologia si doveva limitare a trovare il suo posto dentro l'antropologia, come aveva sostenuto con forza in una comunicazione alla Società di psicologia il 10 gennaio del 1924. Se Lévi-Strauss aveva fatto dell'etnologia una sociologia, così Clastres, da suo buon allievo, fa delle tesi etnologiche de L'anti-Edipo una teoria generale della società.
E qui iniziano i problemi, perché le categorie usate per definire tale teoria non appartengono al lessico concettuale della sociologia né tanto meno a quello dell'etnologia, ma esclusivamente a quello del testo di Deleuze e Guattari, infatti, dice Clastres nel suo intervento lirico-epistemologico: «Codificazione, sovracodificazione, decodificazione e flusso: queste categorie determinano la teoria della società». Se rimaniamo al livello de L'anti-Edipo questa teoria si articola facilmente dal momento che alla codifica, alle sovracodifica e alla decodifica corrispondono precise organizzazioni sociali, o macchine come dicono gli autori, che si succedono le une alle altre, ognuna animata sempre dal flusso energetico del desiderio. Ciascuna di queste società, allora, si distingue proprio per il modo che ha di «lavorare» questo desiderio: quelle primitive dei selvaggi lo codificano sulla Terra, quelle barbariche lo surcodificano sul corpo del Despota e, infine, quelle capitalistiche della civiltà occidentale lo decodificano sempre a vantaggio di uno Stato «apparentemente» democratico. Semplifico, riduco, banalizzo, forse, ma non dimentico che L'anti-Edipo era destinato ad un pubblico di lettori e lettrici che avessero tra i 7 e i 15 anni, se non addirittura, a chi non sapesse leggere e scrivere. Selvaggi-Terra, Barbari-Despota, Civilizzati-Stato: più che con una rigorosa scienza sociale abbiamo a che fare con una compiuta filosofia della storia. Fin quando Clastres continua a pensare L'anti-Edipo come ad una teoria generale della società formulata negli stessi termini degli autori del libro, non si riesce a capire in che senso essa sia realmente sociologica e in che modo i suoi stessi studi abbiano potuto contribuire a renderla tale.
Sociologia del potere
C'è un tema comune che lega Scambio e potere e L'arco e il paniere, i due saggi di Clastres che Deleuze e Guattari usano nel loro libro: il sottrarsi alla dimensione brutalmente coercitiva del potere, tanto di quello personificato dal paradigma comando-obbedienza, quanto di quello rappresentato dalle norme che il gruppo impone al singolo per il mantenimento della propria organizzazione interna. Nel primo caso, i capi «selvaggi» delle tribù dell'America del Sud assolvono un insieme di funzioni che svuotano il potere di ogni forma di autoritarismo: fanno fare la pace, fanno regali e fanno bei discorsi al tramonto. Nel secondo caso, i cacciatori guayaki cantano un canto con cui si liberano dalle costrizioni a cui il loro gruppo li assoggetta: dal momento che non possono mangiare la carne degli animali che cacciano e visto che, a causa della mancanza di donne, devono dividere la loro moglie con un altro uomo, il marito secondario, cantano una canzone che dice «Io sono un grande cacciatore... io sono una natura potente, una natura irritata e aggressiva!» e cantandola inventano un'immagine di sé finalmente libera dalle obbligazioni della tribù.
Se c'è una sociologia clastriana che ha influenzato le tesi etnologiche de L'anti-Edipo contribuendo a fare di esse una teoria generale della società, allora, si tratta sicuramente di una sociologia del potere che pensa il legame sociale al di fuori del paradigma comando-obbedienza-coercizione, e lo verifica fin nei minimi dettagli della vita sociale dei selvaggi, al punto da interpretare le violente incisioni che praticano sui loro corpi come una sorta di memorandum che ricorda ad ogni membro un unico precetto: «Tu non avrai mai il desiderio del potere, tu non avrai mai il desiderio di sottomissione».
Da questa sociologia del potere dobbiamo trarre due conclusioni: la prima riguarda L'anti-Edipo, la seconda Clastres. A dispetto di quanto pensino Deleuze e Guattari, che vogliono il loro libro nato bastardo, esso trova i suoi nobili natali in una tradizione di pensiero sociologico che, da Sovra-ordinazione e subordinazione di Georg Simmel alla teoria del comando di Elias Canetti in Massa e potere, si è interrogata sul perché gli agenti sociali obbediscano e su come possano spezzare questa catena. Se da etnologo Clastres non ha mai smesso di pensare, seguendo l'insegnamento di Lèvi-Strauss, che le società primitive si basino sullo scambio (di donne, di beni e di messaggi), da sociologo del potere pensa, a differenza di Lévi-Strauss, che compito ultimo delle scienze umane non sia tanto quello di dissolvere l'uomo, ma solo ciò che lo rende uno schiavo.
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