L'estate sta finendo sintetizza sotto forma di commedia il concetto del «son diventato grande, lo sai che non mi va» o, come dice il regista, la difficoltà di assumersi le proprie responsabilità.
Tanto più se la commedia si tinge a un certo punto di noir e tracciare il confine potrebbe essere fatale. Tummolini riesce a tenere il ritmo del racconto e il gioco dei suoi numerosi e bravi attori e riesce anche a fare in modo che quel confine non diventi brutale, ma si mantiene su un tono leggero a dispetto della crudeltà della storia e di qualche battuta di troppo.
L’assunzione di responsabilità, quel momento in cui il ragazzino diventa adulto è un cavallo di battaglia dei film dei giovani registi di ogni paese, in particolare una costante dei cineasti del paesi dell’est di una volta, quando la morte di un amico nel corso della fatidica gita diventava in una lunga serie di esordi, monito e discriminante tra giovinezza ed età adulta con successiva presa di coscienza. Qui sappiamo che nessuno di quegli universitari con villa di famiglia sulla scogliera, impegnati a nascondere il cadavere di uno del gruppo morto per leggerezza di tutti, si porrà quel problema, né saranno colpiti da angosce esistenziali o dilemmi morali.
Nel cinema italiano è come uscire definitivamente anche da un’epoca buia, quella dove le ville al mare erano luogo di ben altra cronaca nera, ed anche da un’altra epoca precedente, giocare con la commedia italiana che sulle villone (quelle stesse dove gli sceneggiatori si chiudevano a Fregene e dintorni a scrivere) e dei suoi abitanti più attempati ha costruito decenni di film, forse fino al limite diIn viaggio con papà di Sordi. «Ho avuto la fortuna di trovare questa villa identica a Intrigo internazionale» diceva il regista all’anteprima del film a Pesaro lo scorso anno, «e lo scenografo — Cristian Taraborrelli — che ha lavorato molto per il teatro ci ha permesso di creare un’atmosfera alla Hitchcock»
La barra del timone resta fissata dal regista sul tono di commedia, all’inizio di puro «cazzeggio» da cui Tummolini sa trarre preziosità, una «comunicazione di frasi non dette, di seduzione, di esercizio del potere che poi si esprime nella seconda parte». Poi vira al nero, ma neanche in questo caso si prende troppo sul serio, anche nelle situazioni più gravi (Tummolini è uno sceneggiatore, da Il bagno turco di Ozpetek, alla leggerezza del tocco di una serie tv come Tutti pazzi per amore).
In più ha per i suoi personaggi uno «sguardo non giudicante» come sono propensi a credere i suoi attori, un bel gruppo, tutti giovani ma con tanta esperienza, Andrea Miglio Risi, star del giovane cinema, chi dipolato al Centro sperimentale (come Ilaria Giachi, Marco Rossetti), chi al Teatro Grassi come Fabio Ghidoni, chi danzatore di professione come Stefano Fardelli (ha lavorato anche con Mike Figgis), Giuseppe Tantillo che è poi stato nel cast di Via Castellana Bandiera di Emma Dante.
Nina Torresi, la sua scuola invece è il set, ha cominciato a lavorare fin da piccola: è Flavia, che vuole a tutti i costi dimostrare qualcosa che non è, sembra la più resposabile, ma il suo è il personaggio più ambiguo. Insomma, bastano gli occhi spalancati del cadavere, la pur fuggevole presenza di Antonio Merone, un solo sguardo di Antonello Fassari a dare la giusta direzione al film.
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