Rischiava di trasformarsi in una vera e propria rivolta dei Sioux la protesta, iniziata settimane fa, contro la costruzione di un oleodotto in North Dakota, sulla terra considerata sacra dai nativi. Soprattutto dopo che un giudice federale aveva respinto la richiesta di fermare il progetto. Ma a decisione presa, è arrivato l’intervento dell’amministrazione Obama a sancire quella che almeno per il momento si è trasformata in una vittoria per Dave Achambault II e la sua tribù.
L’oleodotto della discordia
Duemila chilometri di tubature sotterranee, dal North Dakota fino all’Illinois, almeno 4 miliardi di dollari per realizzarlo, fortemente voluto dai colossi energetici: l’«oleodotto della discordia» stando ad alcune associazioni ambientaliste in caso di perdite o rotture rischia di inquinare le falde del fiume Mississipi, che garantisce i rifornimenti idrici alla popolazione locale. Non solo, per i Sioux la realizzazione del progetto è una sorta di profanazione delle terre sacre dei loro avi. Per questo da settimane gruppi di persone si erano accampate, con le loro tende, per tentare di bloccare i lavori, e a nulla erano valse le ripetute denunce da parte della società costruttrice per violazione della proprietà privata e presunte minacce agli operai. L’altra mossa della Standing Rock Sioux Tribe era stata quella di presentare un esposto presso la giustizia federale, sostenendo che il progetto di costruzione dell’oleodotto viola diverse leggi tra cui il National Historic Preservation Act, che tutela i siti archeologici e di importanza storica negli Stati Uniti.
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