La scoperta. I ricercatori del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (Embl), che ha una delle sue sedi anche in Italia, a Monterotondo, dove sono stati svolti gli esperimenti, hanno ora una risposta. Insieme a colleghi dell'MRC Laboratory of Molecular Biology di Cambridge, hanno infatti individuato il percorso neuronale responsabile della trasmissione del segnale inibitorio tra corteccia prefrontale e tronco encefalico e pubblicato la scoperta su Nature Neuroscience. Studiando il fenomeno sui topi, i neuroscienziati hanno visto che questa connessione arriva a una specifica regione del tronco encefalico, responsabile della messa in atto degli impulsi, ma non coinvolge l'ipotalamo, sede di sentimenti ed emozioni. Il che dà una spiegazione anatomica al fatto che è molto più facile inibire il proprio istinto a colpire qualcuno che smettere di provare aggressività, o rimanere sul palco senza poter smettere di sentirsi agitati.
La paura nelle cavie. In topi ripetutamente colpiti da altri topi (l'equivalente murino del bullismo), la connessione individuata si indeboliva e le cavie mostravano atteggiamenti di spavento e agitazione. Ma tramite farmaci che bloccavano la connessione i ricercatori sono riusciti a ottenere lo stesso effetto in topi mai bullizzati.
Implicazioni per depressione e schizofrenia. "Un'implicazione affascinante del nostro studio – commenta l'autore Cornelius Gross – riguarda i cambiamenti che avvengono nella corteccia durante l'adolescenza". Se infatti i bambini non sono in grado di porre freno ai loro istinti, crescendo la situazione cambia. "Stiamo infatti cercando di capire come avviene
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