«Finalmente puoi lasciarti guidare». Recita così la nuova pubblicità di una nota marca automobilistica che campeggia in questi giorni per le strade delle nostre città. Sempre attentissimo a trovare il punto di contatto più efficace tra i prodotti da commercializzare e i sommovimenti profondi che attraversano la società, il linguaggio pubblicitario è spesso capace di cogliere con millimetrica precisione lo spirito del tempo.
Tutti, ad esempio, ci ricordiamo ancora alcuni degli slogan che ci hanno accompagnato negli ultimi decenni. «Tutto intorno a te» e «power to you» non hanno forse colto alla perfezione quella stagione individualistica ed espansiva che la crisi ha svelato nella sua illusorietà? Così, oggi come ieri, è ancora una volta la pubblicità a pennellare il clima sociale che caratterizza i nostri giorni.In questo caso, esso riesce a cogliere la congiunzione di almeno tre fattori che ci stanno «guidando», senza che ne siamo abbastanza consapevoli,
Il primo è l’eccesso di complessità e velocità che invade le nostre vite. Si corre, si corre, ma non si arriva mai. Intanto diventa sempre più difficile riuscire a tenere insieme i frammenti della vita, sia sul piano professionale sia su quello esistenziale. Di fronte alle troppe cose da fare, alla super offerta di stimoli, alle complicazioni che ci piovono addosso, siamo tutti esausti e inermi, aspirando a un qualche sollievo che non sappiamo bene dove trovare.
Il secondo elemento è il caos che constatiamo attorno a noi. La società è diventata un intrico misterioso e fuori controllo. Crisi, crisi, crisi. Possibile che non funzioni mai niente? Così si vagheggia un deus ex machina che ci porti fuori dai guai che non sappiamo più come risolvere. Creando le premesse ideali per l’innesco di quella dinamica «carismatica» di cui parlava Weber un secolo fa: in un mondo che, prigioniero della propria logica strumentale, non riesce più ad affrontare i propri problemi, la soluzione non è più cercata nel catalogo delle vie razionali ma in un leader a cui affidarsi.
Il terzo e ultimo elemento è ovviamente costituito dalle nuove tecnologie digitali, che si candidano a prendersi cura di noi e di tutto ciò che facciamo. Ogni più piccola attività della nostra giornata ha ormai il suo tutorial. Nessuna meraviglia, quindi, per la repentina decisione del settore automobilistico di indicare nei veicoli «a guida autonoma» il futuro del settore.Il mito dell’individualismo libertario pare dunque tramontare. E non per una reazione moralistica, bensì semplicemente per «sfinimento». Superato dai sistemi, l’io sembra oggi pronto a consegnarsi docilmente e volontariamente nelle mani di qualcuno o qualcos’altro, che promette di risolvere quell’ingorgo di complessità che la sua stessa liberazione ha prodotto.
Nulla di nuovo sotto il sole, se pensiamo che risale a metà del XVI secolo il libretto di Étienne de la Boétie inti-tolato Discorso sulla servitù volontaria. Per quanto naturalmente libero, l’essere umano ha la tendenza a consegnarsi volontariamente alla schiavitù arrivando, come già ricordava Bauman, a preferire la sicurezza della protezione al rischio e dunque alla fatica intrinsecamente associati alla libertà. Con le parole sapide di La Boétie:«è incredibile come il popolo, appena è assoggettato, cade rapidamente in un oblio così profondo della libertà che non gli è possibile risvegliarsi per riottenerla, ma serve così sinceramente e così volentieri che, a vederlo, si direbbe che non abbia perduto la libertà, ma guadagnato la sua servitù».
Ci sono molti segnali da non sottovalutare in quello che sta accadendo. Dopo una lunga stagione di liberazione e individualizzazione, il vento è cambiato. La domanda latente oggi è quella così efficacemente espressa dalla pubblicità citata in apertura: si chiede l’intervento di qualcuno/qualcosa che sia capace di rimettere insieme i cocci, di fissare dei limiti, di fare un po‘ di ordine. Non solo di indicarci la strada (il Gps) ma di portarci diretta-mente a destinazione. Insomma, si chiede di essere guidati, secondo il codice implicito nell’ambiente tecnologico che sta prendendo sempre più chiaramente forma. Non si tratta di negare la domanda, ma di saper cercare risposte capaci di guardare avanti, coniugando libertà e socialità in un modo più avanzato. Altrimenti ad affermarsi saranno quelle che Bauman nel suo ultimo libro-testamento ha chiamato «retrotopie»: in un’epoca in cui si presenta sempre più incerto e minaccioso, il futuro tende a rovesciarsi nella nostalgia manipolabile di un impossibile ritorno a un passato fatto di noi e di loro, di ordine e di sicurezza, se non addirittura di pulizia e di violenza.
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