La Francia, che è «custode mondiale» dell’accordo sul clima di Parigi. La Francia, che è votata dal suo nuovo presidente a «riportare il pianeta alla sua grandezza», mentre altri vogliono limitare tale grandezza alle frontiere della loro nazione. La Francia, che fa una crociata all’inquinamento dei suoi campi da parte dell’industria agroalimentare. La Francia di Emmanuel Macron, insomma, sta prendendo in giro il mondo?
LA FRANCIA È PROPRIETARIA, attraverso le violente circostanze della colonizzazione europea dell’Amazzonia, del sottosuolo di quasi 84.000 km2 di foresta equatoriale nella Guiana, e ha deciso, cedendo all’irrefrenabile pulsione dei primissimi coloni spagnoli, di ribattezzare una gran parte di questa proprietà, ottenuta senza acquisto e senza titolo, con un nome che avrebbe fatto morire d’invidia Ferdinando d’Aragona: ha chiamato «Montagna d’Oro» questa porzione di terreno situata nel bacino di Mana, a nord del villaggio amerindio di Awala-Yalimapo, e ha affidato a due multinazionali il compito di prospezione e sfruttamento dei giacimenti d’oro qui sepolti. La prima, la Nord-Gold, è una società mineraria russa, nota per aver dato più importanza al profitto che ai diritti umani in Burkina-Faso, dove il Presidente francese ha recentemente ritenuto necessario recarsi per riconoscere «i crimini incontestabili della colonizzazione». La seconda, la Colombus-Gold, è una società canadese, il cui nome è una rivendicazione abbastanza esplicita della sua appartenenza al progetto secolare di colonizzazione dell’America.
LA CONCESSIONARIA «Montagne d’or», dichiarata sito SEVESO, si estenderà su 15 km2 di foresta in un insieme di concessioni minerarie (per lo più «istituite» dal governo coloniale francese) di proprietà di Nord-Gold e Columbus Gold, per una superficie totale di 150 km2. Per estrarre l’ambito metallo, la Francia aprirà così la «terra ricca d’acqua» – questo significa «Guiana» per i popoli che le hanno dato questo nome – scavando per oltre due chilometri di lunghezza, 500 metri di larghezza e 400 metri di profondità. La miniera industriale a cielo aperto genererà diverse decine di milioni di tonnellate di fanghi di cianuro, stoccati in due zone ad alto accumulo, ognuna delle quali di un centinaio di metri. Oltre all’estrazione industriale, per lo sfruttamento in superficie dell’oro alluvionale, nell’ambito del progetto «Gold Mountain», si distruggeranno 7 ettari di foresta.
LO STATO FRANCESE potrà anche annunciare l’abbandono della costruzione dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes, come segno della sua buona volontà ambientale, ma con la creazione in Francia di un gigantesco sito industriale che espone il suo ambiente al rischio di incidenti rilevanti, oggi sta lavorando su un’area di sfruttamento dieci volte più grande del sito dell’aeroporto del Grand Ouest. Ebbene sì, «in Francia», perché da quando i governatori coloniali che stabilivano le concessioni minerarie sono stati sostituiti in questa funzione dai Prefetti, la «terra ricca d’acqua» appartiene con la forza del diritto francese al territorio nazionale. Si tratta di una zona di sfruttamento grande quanto la foresta statale di Rambouillet o la foresta dei Vosgi di Darney, tre volte più grande della foresta di querce di Grésigne.
CHI PERMETTEREBBE OGGI, senza fiatare, che una zona industriale di questa natura e dimensioni venga installata a 50 km da Parigi, nei Vosgi o nel Tarn? Nessuno oggi accetterebbe di correre un rischio di questa portata in Francia, con l’unico scopo di accumulare le stesse ricchezze superflue che hanno sostenuto la distruzione sistematica della vita sulla Terra per cinque secoli.
NESSUNO ACCETTEREBBE che l’esistenza di diverse centinaia di specie vegetali e animali sia minacciata e indebolita, che ai propri figli si lascino in eredità delle acque tossiche. Pensiamo al decreto del 1997 della prefettura di Aude, invariabilmente rinnovato per vent’ anni, che raccomanda agli abitanti dei dintorni di Salsigne, che ha ospitato fino al 2004 la più grande miniera d’ oro francese, di non utilizzare né l’acqua piovana né quella dei corsi d’acqua, di non utilizzare la frutta e le verdure (mortali) di quei giardini e di non fare il bagno in quei fiumi – una raccomandazione che, secondo gli esperti del Bureau de Recherches Géologiques et Minières, dovrà probabilmente essere rinnovata per… 10 000 anni. Chi vorrebbe oggi esporre deliberatamente la Guiana, terra di acque per eccellenza, allo stesso annientamento di qualsiasi futuro?
Tuttavia, è nella più grande indifferenza nazionale che la Columbus Gold e la Nord Gold lavorano nella Guiana «francese». Se ne deve dedurre che le specie amazzoniche a rischio apparterrebbero a una specie diversa da quella delle nostre foreste? Che le acque della Guiana francese sarebbero diverse dalle acque che annaffiano i nostri giardini? Che i bambini guianesi sarebbero meno degni di eredità rispetto a noi?
DA QUESTA SPONDA dell’Atlantico ci siamo preoccupati molto per l’importante ecocidio in Brasile, causato dalla rottura della diga di ritenzione dei rifiuti della società mineraria Samarco. Ma chi si preoccupa di impedire che una simile catastrofe si verifichi nella Guiana occidentale? La Guiana è forse già destinata a diventare, sotto l’egida della Repubblica, una di quelle «zone di sacrificio» che l’estrattivismo globale sta disseminando sul pianeta?
Nel bacino di Mana, la Francia non avrà più bisogno di far venire, come a Salsigne, dei lavoratori algerini provenienti da una colonia che non ha più.
QUI È IN SCENA. Le popolazioni sacrificate, poiché non c’è zona di sacrificio senza che l’ essere umano venga sacrificato insieme alla natura, saranno quelle a cui la Golden Mountain Company promette posti di lavoro sul suo sito web: le donne Hmong, che dedicherà al segretariato, gli afro-discendenti uomini, che saranno manodopera sul cantiere, le afro-discendenti donne, che serviranno alla mensa. Mentre il laboratorio di ricerca geologica è riservato agli uomini bianchi. Ma nulla per gli uomini e le donne dei popoli ancora in vita delle 6 nazioni autoctone guianesi decimate dalla colonizzazione, fin dall’inizio sacrificate per il fatto di essere, secondo i loro sogni ancestrali e la loro millenaria dimora nella foresta, i veri proprietari e naturali difensori delle terre e delle acque sacre della Guiana francese, che il progetto mina.
CI SARÀ UN MINISTRO della Repubblica per citare in giudizio la NordGold e la Columbus Gold per il fatto che mettono in atto il razzismo sociale e ambientale francese?
Qualsiasi dipendenza, si sa, dà l’illusione di controllarne gli effetti. Lo stesso vale per la dipendenza estrattivista, che è esemplare nella corsa all’oro guianese. Lo Stato francese assicura a tutti che ha preso l’iniziativa di una «miniera responsabile». Un sintagma che qualsiasi ingegnere minerario responsabile può capire solo nei termini di un semplice ossimoro, proprio come quello di «crescita verde». Non esiste una miniera industriale ecologicamente e socialmente virtuosa, così come non esiste un alcolizzato sobrio.
SERIAMENTE: è giunto il momento che la Francia entri nel secolo della responsabilità, che esca dal XX secolo, che è stato a tutti gli effetti il secolo dei rifiuti, o, come ha detto Sony Labou Tansi, dell’«andare a gettare di corsa, ovunque, comunque e per qualsiasi motivo». Alla Francia, oggi, è data la possibilità di essere in Guiana francese una nazione diversa da quella dell’arroganza e della vanità, diversa da quella degli ultimi cinque secoli passati a disequilibrare il mondo con i buoni uffici del superfluo. È giunto il momento che la Francia si renda conto che i suoi giovani, qui e nell Guiana francese, aspirano risolutamente a una sola cosa: poter sognare la sopravvivenza di un futuro di acqua potabile. La sua determinazione in questo sogno è totale. Colpendola, lo Stato francese ne sarà necessariamente colpito. Il rappresentante delle Jeunesses Autochtones de Guyane, Yanuwana Tapoka, lo ha dichiarato chiaramente all’ inizio di novembre davanti al Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura, istituito a Bonn durante la Cop 23: i giovani amerindi svolgeranno, a qualsiasi costo, il loro ruolo di custodi dell’Amazzonia, «santuario della vita e dell’umanità». E saranno loro, contro la Francia della Compagnia Montagne d’or, i veri custodi dell’Accordo di Parigi.
Traduzione dal francese di Annalisa Romani
JEAN-CHRISTOPHE GODDARD
è un filosofo francese, insegna all’Università Jean Jaurès di Tolosa dove anima il seminario «Pensare le decolonizzazioni». La versione originale di questo articolo è stata pubblicata il 7 dicembre scorso da Afrique Cultures
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