Il video dura venticinque minuti. Dalle sue labbra non esce una parola. Rimane in silenzio fissando la telecamera del cellulare. La scritta: "Cerco una compagna, non posso parlare". Basta scorrere la bacheca Facebook per scoprire che lo fa ogni settimana e che ogni settimana non riceve alcuna risposta.
Cristian (nome di fantasia) ha 30 anni compiuti da poco. Non esce di casa, non ha nessun contatto con l'esterno e non lavora. Come lui Alberto, stessa età, stessa necessità di rimanere prigioniero della sua camera: «Mi hanno violentato psicologicamente quando ero piccolo. Da quel momento in poi non ho più avuto la forza di reagire». Digitando, da chissà quale città, pretende sostegno. «Mi dovete aiutare», scrive interrompendo un gruppetto di persone impegnate a scherzare tra loro. Cristian, Alberto, ma anche Vana, Mimì, Marco e Valerie. Così continuando per altri 135 account. Per altri 135 nomi per la maggior parte inventati, ma tutti membri della chat Hikikomori Italia.
Hikikomoro, termine giapponese, letteralmente "isolarsi, stare in disparte". Ma per capire devi diventare come loro, essere uno di loro. Non escono dalla camera, delineando confini immaginari. Si rifugiano in una realtà alterata da videogame e giochi di ruolo. Il loro unico contatto con l'esterno è la rete virtuale che si creano. Molti abbandonano gli studi, altri tagliano ogni relazione. Hanno difficoltà a dialogare con i genitori. In Italia si stima che ci siano centomila casi, ma avere un dato preciso non è possibile.
Il fenomeno è ancora poco conosciuto e spesso diagnosticato come depressione. Ma è proprio il fondatore dell’associazione italiana Hikikomori Italia, Marco Crepaldi, a chiarire: «Questo numero è una proiezione nazionale dei casi che noi rileviamo tramite i nostri canali. Non siamo i soli a sostenerlo. Anche altre cooperative e professionisti del settore, vedendo aumentare esponenzialmente le richieste di aiuto da parte di genitori di ragazzi con problemi di isolamento sociale, hanno fatto una stima in linea con la nostra».
Il primo contatto è con la chat Hikikomori under 25. Conta più di 450 iscritti con un’età tra i 16 ed i 25 anni. Viene subito chiesta una dettagliata presentazione. Pochi minuti e inizia l'interrogatorio. "Quale videogame preferisci?". I membri continuano con domande sempre più dettagliate per valutare le conoscenze del nuovo utente. Devi avere le giuste competenze informatiche o il blocco è immediato. Il tempo di rimanere per leggere quel: "Ragazzi usciamo questa sera?". Iniziano le proposte: gioco, ora e piattaforma. Escono, rimanendo nella loro stanza. Alle dieci di sera parte la sfida sul web che si protrae fino a notte fonda. C'è chi riesce a giocare 32 ore consecutive, saltando i pasti e non distinguendo più il giorno dalla notte. C’è chi confonde l’essere Hikikomoro con la "dipendenza da videogioco". Il problema è radicato nella società ed è da ritrovarsi, come spiega Marco Crepaldi «nella pressione di realizzazione sociale, filoconduttore di tutti i casi analizzati».
Ed eccolo qui il vero scopo della chat: rivelare la loro inquietudine. Messaggi che si tramutano in racconti: "Ho deciso di mollare completamente la vita sociale all'età di 14 anni – confida un utente - e ora ne ho 25. Da allora passo tutto il mio tempo al computer videogiocando o semplicemente navigando l'internet. Ho deciso di spostarmi nella realtà virtuale». Una lotta continua con loro stessi. Storie che si sovrappongono raccontate nella chat come nel forum appositamente aperto: «La mia massima conquista - ammette una ragazza - è uscire in giardino, al mattino prima che tutti si sveglino, o di notte. Per me basta che non ci sia nessuno. È come scalare l'Everest ogni volta». Ma ancora: «Ho iniziato a punirmi, ferendomi il corpo. Pensavo seriamente al suicidio. È stato il periodo più brutto della mia vita».
Oltre cinquemila messaggi in un solo giorno. Richieste di aiuto, attacchi reciproci, inquietudine autolesionista e poi gli amministratori che arrivano come Matrix improvvisi. Bannano, cancellano e chiedono rispetto. Impongono regole precise, quasi sempre rispettate dagli utenti per paura di essere tagliati fuori. Regole stringenti per evitare come specifica il fondatore Marco Crepaldi che: «La chat diventi un posto dove vengono veicolati messaggi pericolosi e potenzialmente in grado di incentivare l'isolamento. Detto questo, è impossibile monitorare tutto quello che viene scritto».
Un click e si entra far parte della seconda chat: Hikikomori over 25. C'è chi insegna agli altri come lavorare direttamente da casa. Parlano di cucina, bitcoin e futuro. Cercano risposte alla loro condizione, confrontandosi sulle terapie da seguire e c'è chi, ormai reintegrato nella società, offre il proprio sostegno. Hanno tutti un'età compresa tra i 25 ed i 35 anni.
Stesse caratteristiche della prima chat ma proiettate nel mondo adulto. Anche in questo caso le regole sono precise: «In caso di comportamento maleducato, linguaggio non appropriato e azioni discutibili si applica un BAN temporaneo dopo il primo richiamo. Se il comportamento persiste BAN definitivo». "Vietato inoltre creare allarmismo in chat", si legge sempre sul regolamento.
Lamentele, ma anche accuse reciproche di non essere dei veri hikikomoro. C’è chi si lancia invece nella spiegazione del lavoro perfetto per chi non trova il coraggio di attraversare la soglia di casa. In un mese continuano a entrare nuovi membri. Sempre stessa prassi: breve presentazione, descrizione del problema e una motivazione credibile sul perché ti senti un "hikiki". Alex rompe il silenzio: «Il mondo è brutto». Parte la conversazione. E tutto si tramuta in una rincorsa attorno a questa frase. Pensieri che affollano il mondo virtuale; dieci minuti e si contano 224 notifiche. Nessuno parla del mondo vero: la politica è praticamente bannata, si informano nel web e organizzano il sabato sera dei giochi di gruppo come il sarabanda show pur di non uscire di casa. Si inserisce un audio di dieci secondi e il primo che risponde guadagna un punto.
Poi c'è Chiara, è due anni che non mette piede fuori dal letto: «È una condizione triste, ma non posso fare altrimenti». I "motivatori", chi ce l'ha fatta, si attivano ma dopo poche frasi iniziano gli attacchi reciproci e Chiara decide di uscire dalla chat. Torna nel suo letto, questa volta lontana dai giudizi.
Centomila casi probabili in Italia, un milione diagnosticati in Giappone dove la malattia è conosciuta dagli anni 80. Ed è proprio questo il pericolo secondo l’associazione: «Rischiamo quello che è successo in Giappone, dove il fenomeno è stato inizialmente sottovalutato e trattato come fosse una patologia psichiatrica. Da migliaia, gli hikikomoro sono diventati rapidamente centinaia di migliaia e, addirittura, milioni. L'errore principale che hanno fatto loro è stato non parlarne. Per questo motivo l'obiettivo principale di hikikomori Italia rimane quello di sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni».
Una malattia che si sta diffondendo tramite una fitta rete web. Cristian, Alberto, ma anche Vana, Mimì, Marco e Valerie, così continuando per altri centomila nomi, tutti veri, tutti Hikikomoro.
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