Nel 2017 la parola chiave fu «rancore» e nel 2018 «cattiveria». Ora, la parola che sembra dominare il rapporto annuale del Censis che fotografa la società italiana è «incertezza». Questo è lo stato d’animo con cui il 69% di noi guarda al futuro (il 17% è addirittura pessimista e solo il 14% riesce a progettare e immaginare il domani con un po’ di sano ottimismo). E se l’incertezza domina un mondo cresciuto negli ultimi anni all’insegna del «cattivismo», non stupisce che il 75% dei cittadini non si fidi degli altri, diventati improvvisamente un potenziale nemico. Come già la Storia ci ha insegnato, tutto questo può essere una bomba a orologeria. E i primi risultati si vedono nelle pulsioni antidemocratiche che si stanno diffondendo nella penisola: oggi, spiega il Rapporto, il 48% degli italiani si dice favorevole all’uomo forte al potere.
Ma come abbiamo fatto a ridurci così? Secondo il Censis questo smarrimento generale è il frutto di un percorso iniziato come reazione all’incertezza data da un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria : a dominare ora è l’ansia di dover fare da soli rispetto a bisogni non più coperti come in passato. A questo, poi, la si è aggiunta la necessità di fare i conti con la rottura dell’ascensore sociale (che porta altra ansia per il rischio di un possibile declassamento). E così, il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale sia bloccata. E se il 63% degli operai crede che in futuro resterà fermo nella condizione socio-economica attuale, il 64% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata in basso.
Secondo il Rapporto, a generare ansia, stress e incertezza tra gli italiani è stato anche il dover rinunciare ai due pilastri storici della sicurezza familiare: il mattone e i Bot, strumenti che rispondevano alla domanda sociale di futuro e che sono lentamente usciti dal dna italiano. Dal 2011 la ricchezza immobiliare delle famiglie ha subito una decurtazione del 12,6% in termini reali. Secondo Censis, il 61% degli italiani non comprerebbe più Bot, visti i rendimenti irrisori. E così, il pessimismo va per la maggiore: secondo il 74% del campione nei prossimi anni l’economia continuerà a oscillare tra mini-crescita e stagnazione, mentre il 26% è addirittura sicuro che è in arrivo una nuova recessione.
Nella fotografia scattata dal Censis, gli italiani si ingegnano per porre una diga a questo smottamento verso il basso con una «resilienza opportunistica», attivando processi di difesa spontanei: da una maggiore attenzione nei consumi al denaro accumulato in chiave difensiva, al «nero», a volte di sopravvivenza. Non si è nemmeno fermata la corsa alla liquidità: +33,6% di contante e depositi bancari tra il 2008 e il 2018 (contro il -0,4% delle attività finanziarie complessive delle famiglie).
Secondo il Rapporto, a generare ansia, stress e incertezza tra gli italiani è stato anche il dover rinunciare ai due pilastri storici della sicurezza familiare: il mattone e i Bot, strumenti che rispondevano alla domanda sociale di futuro e che sono lentamente usciti dal dna italiano. Dal 2011 la ricchezza immobiliare delle famiglie ha subito una decurtazione del 12,6% in termini reali. Secondo Censis, il 61% degli italiani non comprerebbe più Bot, visti i rendimenti irrisori. E così, il pessimismo va per la maggiore: secondo il 74% del campione nei prossimi anni l’economia continuerà a oscillare tra mini-crescita e stagnazione, mentre il 26% è addirittura sicuro che è in arrivo una nuova recessione.
Nella fotografia scattata dal Censis, gli italiani si ingegnano per porre una diga a questo smottamento verso il basso con una «resilienza opportunistica», attivando processi di difesa spontanei: da una maggiore attenzione nei consumi al denaro accumulato in chiave difensiva, al «nero», a volte di sopravvivenza. Non si è nemmeno fermata la corsa alla liquidità: +33,6% di contante e depositi bancari tra il 2008 e il 2018 (contro il -0,4% delle attività finanziarie complessive delle famiglie).
L’altro prezzo da pagare sono le crescenti pulsioni antidemocratiche. Il Censis fotografa una situazione spaventosa: il 48% degli italiani dichiara che ci vorrebbe un «uomo forte al potere» che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni (e il dato sale al 56% tra le persone con redditi bassi, al 62% tra i soggetti meno istruiti, al 67% tra gli operai). Un uomo forte che pensi a tutto, visto che solo il 19% dei nostro connazionali sembra interessato alla politica tanto da parlarne frequentemente con amici e parenti. Il 76% non ha fiducia nei partiti (e la percentuale sale all’81% tra gli operai e all’89% tra i disoccupati). Inoltre, il 58% degli operai e il 55% dei disoccupati sono scontenti di come funziona la democrazia in Italia. Sono i segnali dello smottamento del consenso, che coinvolge soprattutto la parte bassa della scala sociale, spiega il Censis. E questo apre la strada a tensioni che si pensavano riposte per sempre nella soffitta della Storia.
Rispetto al 2007, nel 2018 si contano 321.000 occupati in più: +1,4%. La tendenza è continuata anche quest’anno: +0,5% nei primi sei mesi del 2019. Ma il bilancio dell’occupazione è dato da una riduzione di 867.000 occupati a tempo pieno e un aumento di 1,2 milioni di occupati a tempo parziale. Del resto, nel periodo 2007-2018 il part time è aumentato del 38%. Secondo Censis, oggi un lavoratore ogni cinque ha un impiego a metà tempo. E diventa ancora più critico il dato del part time involontario, che riguarda 2,7 milioni di lavoratori. Nel 2007 pesava per il 38,3% del totale dei lavoratori part time, nel 2018 rappresenta il 64,1%. E tra i giovani lavoratori il part time involontario è aumentato del 71,6% dal 2007. Così oggi le ore lavorate sono 2,3 miliardi in meno rispetto al 2007 e parallelamente le unità di lavoro equivalenti sono 959.000 in meno. Nello stesso periodo le retribuzioni del lavoro dipendente sono diminuite del 3,8%: 1.049 euro lordi all’anno in meno. I lavoratori con retribuzione oraria inferiore a 9 euro lordi sono 2.941.000: un terzo ha meno di 30 anni (un milione di lavoratori) e la concentrazione maggiore riguarda gli operai (il 79% del totale).
Anche se solo il 19% parla abitualmente di politica, le cronache della politica nazionale registrano l’interesse del 42% della popolazione e superano le voci classiche dei palinsesti televisivi come lo sport (29%) o la cronaca nera (26%) e rosa (18%). L’interesse scende ulteriormente per le notizie economiche (15%) e di politica estera (10%). Come mai questo interesse per la politica in tv? Perché la politica sul piccolo schermo è percepita alla stregua di una fiction, spiega il Censis. Poi, al di fuori del salotto, il disinteresse dilaga, come conferma la continua espansione dell’area del non voto alle elezioni politiche (astenuti, schede bianche e nulle): il 9,6% degli aventi diritto nel 1958, l’11,3% nel 1968, il 13,4% nel 1979, il 18% nel 1992, il 24,3% nel 2001, fino al 29,4% nel 2018.
La schizofrenia del pubblico però non si ferma qui: i politici sono i soggetti che il 90% dei telespettatori vorrebbe vedere di meno nei programmi televisivi. Al netto di retorica e propaganda, secondo il Censis la domanda di politica non trova un riscontro adeguato nell’attuale offerta. Se i politici monopolizzano i talk show parlando di immigrazione e criminalità (che interessano rispettivamente solo al 22% e al 9% degli italiani), nessuno sembra rispondere ai timori veri del 44% della popolazione (contro una media europea del 21%) a proposito di lavoro e disoccupazione. Disinteresse anche per i problemi climatici e ambientali (8%) e questo non è per nulla rassicurante.
Non sorprende che nella foto di gruppo scattata dal Censis, molti di noi si appaia con il telefonino in mano. Oltre la metà (il 50,9%) del campione, infatti, controlla il telefono come primo gesto al mattino o l’ultima attività della sera prima di andare a dormire. Il Rapporto ci racconta così come la diffusione su larga scala dei telefonini «intelligenti» nell’arco di dieci anni abbia finito con il plasmare i nostri desideri e le nostre abitudini. Dato importante: nel 2018 il numero dei cellulari ha superato quello delle tv.
E così, vero driver dell’innovazione digitale nel nostro Paese e responsabile del superamento del digital divide da parte di un’ampia fetta della società, lo smartphone - sottolinea il Censis - ha giocato un ruolo da protagonista nella rivoluzione compiuta dal sistema dei media. Oggi rappresenta un oggetto di culto: l’icona della disintermediazione digitale. La percentuale degli utenti in Italia con in mano uno smartphone è passata dal timido 15% del 2009 all’attuale 73,8%. Sono stati i giovani under 30 i pionieri del consumo, passati da un’utenza pari al 26,5% nel 2009 all’86,3% dell’ultimo anno.
Rimpicciolita e invecchiata, con pochi giovani e pochissime nascite: così appare l’Italia vista attraverso la lente degli indicatori demografici. Dal 2015 (anno di inizio della flessione demografica, mai accaduta prima nella nostra storia) si contano 436.066 cittadini in meno, nonostante l’incremento di 241.066 stranieri residenti. Nel 2018 i nati sono stati 439.747, cioè 18.404 in meno rispetto al 2017. Nel 2018 anche i figli nati da genitori stranieri sono stati 12.261 in meno rispetto a cinque anni fa. La caduta delle nascite si coniuga con l’invecchiamento demografico. Nel 1959 gli under 35 erano 27,9 milioni (il 56,3% della popolazione complessiva) e gli over 64 erano 4,5 milioni (il 9,1%). Tra vent’anni, su una popolazione ridotta a 59,7 milioni di abitanti, gli under 35 saranno 18,6 milioni (il 31,2%) e gli over 64 saranno 18,8 milioni (il 31,6%). Sulla diminuzione della popolazione giovanile hanno un effetto anche le emigrazioni verso l’estero: in un decennio più di 400.000 cittadini italiani 18-39enni hanno abbandonato l’Italia, cui si sommano gli oltre 138.000 giovani con meno di 18 anni.
Il declino demografico però non è uniforme, come spiega il Censis. Dal 2015 il Mezzogiorno ha perso quasi 310.000 abitanti (-1,5%), contro un calo della popolazione dello 0,6% nell’Italia centrale, dello 0,3% nel Nord-Ovest, dello 0,1% nel Nord-Est e dello 0,7% a livello nazionale. Oggi, l’Italia che attrae, e che cresce anche in termini demografici, è fatta di un numero limitato di aree. Su 107 province, 21 non hanno perso popolazione: 6 sono in Lombardia, 9 nel Nord-Est. In quattro anni Bologna ha guadagnato 10.000 residenti, l’area milanese (3,2 milioni di abitanti) ha aumentato la sua popolazione dell’equivalente di una città come Siena (53.000 abitanti in più), cui si aggiungono i quasi 10.000 residenti in più della contigua provincia di Monza. Perde appeal invece la capitale: nell’area romana è crollato l’arrivo di stranieri (20.000 in meno tra il 2012 e il 2018) e sono diminuite le iscrizioni in tutto il Lazio e dalle altre regioni.
L’aspettativa di vita alla nascita nel 2018 in Italia è di 85,2 anni per le donne e 80,8 per gli uomini. Le previsioni al 2041 salgono rispettivamente a 88,1 e 83,9 anni. Naturalmente, queste dinamiche demografiche incidono pesantemente sugli equilibri del sistema di welfare, anche perché oggi, gli over 80 rappresentano già il 27,7% del totale degli over 64 e saranno il 32,4% nel 2041. Nonostante i miglioramenti complessivi dei livelli di salute della popolazione, l’80,1% degli over 64 è affetto da almeno una malattia cronica, il 56,9% da almeno due. Questi ultimi aumenteranno di 2,5 milioni di qui al 2041. Già oggi la quota di non autosufficienti è pari al 20,8% tra gli over 64, a fronte del 6,1% riferito alla popolazione complessiva, e supera il 40% tra gli ultraottantenni.
Pochi laureati, frequenti abbandoni scolastici, bassi livelli di competenze tra i giovani e gli adulti: sono queste le criticità del sistema educativo italiano. Il 52,1% dei 60-64enni si è fermato alla licenza media (a fronte del 31,6% medio nell’Unione europea). Ma anche tra i 25-39enni il 26,4% non ha conseguito un titolo di studio superiore (contro il 16,3% medio della Ue). Il 14,5% dei 18-24enni (quasi 600.000 persone) non possiede né il diploma, né la qualifica e non frequenta percorsi formativi. Nel 2018 ha partecipato ad attività di apprendimento permanente solo l’8,1% della popolazione 25-64enne (appena il 2% di chi possiede al massimo la licenza media). L’insufficiente comprensione della lingua inglese parlata riguarda il 64,3% degli studenti dell’ultimo anno delle scuole secondarie di secondo grado. Il 68% degli adulti non possiede sufficienti conoscenze finanziarie di base.
La Pubblica Amministrazione gode di una pessima fama: di lei si fida solo il 29% degli italiani. Nell’Unione europea (valore medio: 51%) sono peggio di noi solo Grecia e Croazia. Nel 2018, erano 3.443.105 i procedimenti civili pendenti. Di questi, il 16,1% era a rischio, ovvero procedimenti non risolti entro i termini di legge e per i quali gli interessati possono richiedere un risarcimento allo Stato. Alla fine del 2018 si quantificano in 26,9 miliardi di euro i debiti commerciali residui delle amministrazioni pubbliche fatturati nell’anno, scaduti e non pagati. Per il 60% dei commercialisti le loro aziende clienti subiscono ritardi nella riscossione di crediti dalla Pa.
Gli italiani amano il tempo libero. In media, dispongono di 4 ore e 54 minuti al giorno (il 20,4% delle giornate feriali). E ne sono molto (13,6%) o abbastanza (52,6%) soddisfatti. Nel 2018 la spesa delle famiglie per attività ricreative e culturali è stata pari a 71,5 miliardi di euro (il 6,7% della spesa complessiva). Gli italiani che prestano attività gratuite in associazioni di volontariato sono aumentati del 19,7% negli ultimi dieci anni, del 31,1% quelli che hanno visitato monumenti o siti archeologici, del 14% quelli che hanno visitato un museo. E sono 20,7 milioni le persone che praticano attività sportive.
Automazione, robotica e intelligenza artificiale cambiano l’impresa e il lavoro. Nel 2018 in Italia sono stati installati 9.800 nuovi robot: meno della metà della Germania (26.700), ma quasi il doppio di Francia (5.800) e Spagna (5.300). Nel nostro Paese nell’industria sono stati installati 200 robot ogni 10.000 addetti, il doppio della media mondiale. Ma siamo in ritardo rispetto ai grandi protagonisti della produzione industriale, in particolare di autoveicoli, come Germania (338) e Giappone (327), e rispetto a economie con una manifattura altamente tecnologica, come Singapore (831) e Corea del Sud (774)
Secondo Censis, gli italiani si dichiarano in maggioranza contrari a fare un passo indietro su tre questioni che avrebbero un impatto decisivo sulla nostra presenza in Europa: il 61% dice no al ritorno alla lira (è favorevole il 24%), il 62% è convinto che non si debba uscire dall’Unione europea (è favorevole il 25%), il 49% si dice contrario alla riattivazione delle dogane alle frontiere interne della Ue, considerate un ostacolo alla libera circolazione delle merci e delle persone (è favorevole il 32%). Oggi l’Italia gioca in Europa il proprio destino economico, esportando nei Paesi della Ue quasi 91 milioni di tonnellate di merci l’anno (il 60,9% dei quantitativi complessivamente venduti all’estero), per un controvalore di 260 miliardi di euro, cioè il 56,3% del valore totale delle merci esportate. Accanto all’Europa delle imprese c’è l’Europa della gente. Gli italiani che risiedono negli altri 27 Paesi della Ue sono 2.107.359 (e i cittadini della Ue che vivono in Italia sono 1.583.169): sono aumentati del 12,2% negli ultimi tre anni e rappresentano il 41,2% degli oltre 5 milioni di italiani che vivono all’estero.
Nonostante il tanto parlare di terrapiattisti e antivaccinisti, per fortua, oggi solo il 18% degli italiani non ha fiducia nei medici di base e la percentuale scende al 9% nel caso degli specialisti. D’altro canto, un’epoca dominata dai i social network, solo il 21% non crede che soltanto i giornalisti professionisti dispongano delle doti indispensabili per offrire una corretta informazione. E questa è una raginoe della proliferazione di fake news. Nonostante ciò, il politico che pensa al futuro e alle giovani generazioni può raccogliere il consenso del 47% degli italiani.
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