Il victim blaming subito da Medusa dopo lo stupro
Chi ha studiato mitologia al liceo probabilmente ricorda che Medusa era una donna orribile, con tanto serpenti in testa e che trasformava gli uomini in pietra solo guardandoli. Dopo centinaia di tentativi di ucciderla da parte di guerrieri e uomini greci che volevano rubarle la testa (proprio per le sua capacità omicide), è Perseo che finalmente la decapita e, dopo averla usata come arma, la dona alla dea Atena perché la attacchi al suo scudo.
Tutti lo ricordiamo, ma nessuno sa come mai Medusa fosse una donna così orribile. Stando ad alcuni testi, Medusa era una sacerdotessa del tempio di Atena anzi, era la preferita della dea. In ragione del suo ruolo di sacerdotessa e per essere riconosciuta come simbolo di purezza, Medusa dovette però prestare giuramento di castità eterna ma il dio del mare, Poseidone, decide di violentarla nel tempio – il Partenone – rendendola così non più idonea a servire la dea e nemmeno a sposarsi (il sempre attuale mito della verginità).
Nonostante Medusa fosse stata la vittima di uno stupro, è lei che Atena punisce bandendola su un'isola, trasformando i suoi capelli in serpenti e facendola diventare così mostruosa da pietrificare gli uomini. Medusa viene incolpata ed è una delle tante protagoniste della letteratura e dell'arte ad aver subito victim blaming. Qual è stata la punizione per Poseidone? Nessuna. In quanto potente dio maschio, uno dei più potenti, lui poteva prendere ciò che voleva come anche fa Ade, dio degli inferi che violenta la dea della primavera Persefone e le dà da mangiare del melograno per costringerla a trascorrere sei mesi all'anno negli inferi con lui, o come Zeus che va da Danae sotto forma di una pioggia d'oro e la aggredisce sessualmente.
Nessuno di loro viene punito, biasimato, bandito. Anzi: abbiamo centinaia di statue e tele che glorificano questi atti e sappiamo che stupri e guerre sono i soggetti più pop delle opere d'arte di un certo periodo storico e, tra i due, il primo era un tema così ricercato e solleticante che anche per raccontare altro veniva scelto come soggetto rappresentativo di un evento, di una indole, di un mito: ed ecco come è nato il concetto di "stupro eroico".
Le scene di stupro nell'arte assumono forme romantiche che mascherano l'efferatezza del crimine che era un crimine anche all'ora ma che non è mai rappresentato come tale. Un atto estremo, violento e inaccettabile commesso da dei ed eroi di battaglie che nelle narrazioni artistiche diventa l'esercizio di un diritto divino e nel caso dei secondi di un volere divino. Tutto ciò ha contribuito alla nascita e all'alimentazione della cultura dello stupro nella società di oggi: possiamo prendere la storia di Medusa e applicarla a casi di violenza sessuale più o meno recenti, in cui le vittime vengono punite, allontanate e non credute, incolpate per come erano vestite o perché erano fuori casa.
Non è poi così sorprendente infatti che nessuna artista donna abbia mai rappresentato lo stupro in una versione patinata, erotica, eroica o romantica. Artemisia Gentileschi per esempio dipinse diverse storie di violenza sessuale ma lo fece empatizzando con la vittima e rappresentando in modo commovente la vulnerabilità di lei e l'angoscia che si sperimenta in una violenza sessuale.
Consapevole, forse, che ieri come oggi le immagini hanno potere e non riflettono semplicemente la realtà, possono anche influenzarla.
Lo stupro è stato un soggetto pittorico stuzzicante ed erotico per molti artisti e, in quasi tutte le sue interpretazioni, la violenza sessuale è romanticizzata, resa affascinante e non rappresentata come l'atto sordido che è. La violenza sessuale e l'aggressione a scopo di stupro sono state spesso elaborate come forme del tutto accettabili di accoppiamento (pensiamo al "Ratto delle Sabine") ma quando lo stupratore era perfino un dio, la narrazione del mito veniva manipolata per mostrarre una vittima grata, che valuta l'atto come un onore. Nella migliore delle ipotesi, cioè per chi la apprezza da lontano, l'arte è sempre stata una zona grigia rispetto ai temi sociali e politici ma è invece uno strumento immensamente potente e non solo per gli addetti ai lavori, sopratutto lo è per artisti e mecenati. Il più delle volte trasmette messaggi politici precisi, commenta quanto accade in modo schierato e attira l'attenzione sulle cause in cui crede l'artista che la produce. Ma, evidentemente, prima di tutto l'arte è ciò che si vede: quindi il soggetto che l'artista sceglie.
L'accesso illimitato al menù culturale degli antichi greci e romani iniziato nel Rinascimento ha aperto il vaso di Pandora dei racconti esotici ed erotici degli dei e delle loro imprese, buone o cattive, esemplari o indegne che fossero. Mentre il manifesto della Chiesa promuoveva, da un lato, nient'altro che il messaggio cristiano monoteistico - non ci sarebbero mai stati dei né tantomeno dee – chi della Chiesa faceva parte fu più che felice di condonare e incoraggiare l'uso di antiche leggende e miti per veicolare messaggi sordidi o schierarsi politicamente attraverso pproduzioni artistiche eccellenti di cui poi spesso ricevevano in regalo enormi esemplari.
Ora, con la scusa dell'accettazione del Classicismo da parte della Chiesa, gli artisti e i loro mecenati avevano la piena licenza per illustrare e attualizzare una serie infinita di orge e stupri.
La violenza sessuale come gesto eroico
Gli artisti del Rinascimento isceglievano come soggetti principali i momenti più erotici dei miti perché lo scopo non era la divulgazione storica ma solleticare l'occhio del pubblico e per questo ia pratica di illustrare e glorificare la violenza sessuale sotto le spoglie di una qualche operazione intellettuale sembra aver guadagnato popolarità con il passare dei secoli. Anzi, divenne anche sempre più esplicito, nonostante furono molti gli artisti che al fine di normalizzare l'efferatezza di stupri e rapimenti hanno inserito personaggi secondari che hanno proprio questa funzione: la presenza di Cupido nel "Leda e il cigno" di Da Vinci (1508), serve a suggerire che in Leda ci fosse un qualche sentimento di reciprocità e che quindi fosse in parte responsabile di quanto le stava accadendo.
Possiamo dire che gli artisti hanno anche tentato di minimizzare o nascondere i ruoli di padrone e schiava, stupratore e vittima con vari escamotage ma osservandole, le composizioni mostrano chiaramente la supremazia e il dominio dell'eroe maschio che agisce a suo piacimento su corpi di donne rese oggetti.
La cultura dello stupro è definita come "una cultura in cui lo stupro è prevalente e in cui la violenza sessuale è normalizzata e giustificata nei media e nella cultura popolare […] perpetuata attraverso l'uso di un linguaggio misoginistico, l'oggettivazione dei corpi delle donne e la minimizzazione della violenza sessuale, creando così una società che non tiene conto dei diritti e della sicurezza delle donne”. Definire la "virilità" dei maschi come dominante e sessualmente aggressiva e definire la "femminilità" come sottomessa e sessualmente passiva è violenza di genere.
Ed è una violenza di genere gratuita e onnipresente nella cultura pop, film compresi. E tutto nasce da lì, quando le donne dei miti venivano rese colpevoli, oggetti e prede secondo un'arte che già perpetuava la cultura dello stupro nella quale viviamo ancora oggi, spesso senza nemmeno rendercene conto.
Dobbiamo dare alle fiamme pellicole e tele rinascimentali? No, ma forse è il momento di capire cosa stiamo guardando quando passiamo davanti ad alcuni capolavori.
Il rapimento delle Sabine
Alla maggior parte degli storici dell'arte la parola "stupro" fa venire in mente il Ratto delle Sabine di Poussin, il Ratto di Europa di Tiziano, o altre rappresentazioni del genere, in cui l'aggressore è un dio o un eroe, greco o romano che fosse. Questo tipo di immagini, che la filosofa Susan Brownmiller definisce stupro eroico, hanno sempre ricevuto attenzioni notevoli dal mondo femminista e tra i testi universitari, ma non solo. Anche le pubblicazioni accademiche si sono concentrate sulla rappresentazione della violenza sessuale sulle donne, su come viene raccontata, giustificata, mitizzata, resa un atto glorioso.
Il Ratto delle Sabine di Poussin, dipinto nel 1630 e oggi al Metropolitan Museum di New York, è uno tra più famosi i dipinti che mettono al centro lo stupro. Nel quadro c'è raffigurato un noto episodio della storia dell'antica Roma: Romolo, divenuto re di Roma, decise per prima cosa di fortificare la città e con il tempo Roma andò ingrandendosi, tanto da apparire secondo Livio “così potente da poter rivaleggiare militarmente con qualunque popolo dei dintorni". Ma erano le donne a scarseggiare e a rischio c'era il futuro della patria, così i romani organizzarono una festa, invitarono i vicini sabini e, a un segnale di Romolo, ciascuno di loro prese con la forza una delle donne del popolo dei sabini (risiedevano nell'odierna provincia di Rieti).
Gli storici dell'arte si sono concentrati, generalmente, sullo stile di Poussin o sula veridicità della vicenda, descrivendo il dipinto come l'evocazione di un gesto "eroico" e patriottico. Le sabine in qualche modo, nell'Italia contemporanea all'artista, erano venerate come le madri dei primi romani, quindi del popolo italiano.
E la storia del ratto (rapimento) adornava stendardi nuziali, casse nuziali e appartamenti di nobildonne. Il nome di Talassio, addirittura, un soldato romano che rapì e stuprò una sabina particolarmente bella, divenne una specie di motto da gridare durante i banchetti nuziali o la notte del fidanzamento, sempre nell'antica Roma.
La leggenda della festa – con truffa – organizzata dai romani è quindi considerata un fatto essenziale per la fondazione della città e per il futuro dell'Impero. E alla fine del Cinquecento l'evento fu inserito in diversi cicli pittorici che illustravano momenti di cui andare particolarmente fieri sempre legati alla storia romana, mentre Poussin mostra a pennellate quanto è cosciente di ciò che fa: i romani sono dipinti mentre sequestrano le donne contro la loro volontà, i sabini hanno sul volto espressioni angosciate (ma è per il bene della patria, suvvia). Le donne scalciano, lottano e cercano di scappare e alcuni altri dettagli sparsi nel dipinto sottolineano il clima di terrore che caratterizza l'evento (due bimbi abbandonati, un'anziana che urla stravolta).
Chiaramente Poussin intende suggerire che sono le donne, i bambini e gli anziani a pagare il prezzo di una “eroica” fondazione di Roma, di fatto però giustificando e dando valore anche al concetto romano di raptus, che era molto diverso dalla moderna definizione di stupro. Nel senso, significava ben altro.
Nell'antica Roma, raptus significava "portare via con la forza"; ed era un reato legato alla sottrazione di proprietà che criminalizzava sostanzialmente furti e ruberie di vario genere. Se la violenza fatta di accoltellamenti e spintoni era una componente a volte necessaria di questo tipo di crimine, la violenza sessuale non lo era. Nella pittura di Poussin l'aspetto sessuale resta implicito visto che nessun rapporto sessuale è rappresentato ma si sa cosa accadde, tant'è che si chiama "Ratto delle sabine", non "festa della fondazione di Roma".
Il diritto romano comunque non considerava il crimine dal punto di vista della donna, piuttosto lo stupro era un crimine contro il marito o il tutore della donna coinvolta. Infatti Poussin fa raccontare questa prospettiva al gruppo di figure che sta sulla destra, dove un padre sabino lotta contro un rapitore romano.
Nel quadro, mentre la maggior parte delle donne resiste ai romani e tende verso destra, ce n'è una, nel mezzo, che non lo fa. Piuttosto, si rivolge al suo compagno, apparentemente ascoltandolo, mentre si allontanano insieme verso sinistra. Diversi fattori attirano l'attenzione su di lei: la sua posizione, appena a sinistra del centro, l'arco di spazio vuoto alla sua destra e il colore della sua veste: lo stesso azzurro indossato dalle sabine in primo piano.
Con questa coppia Poussin ricorda a chi osserva che le sabine accettano i loro rapitori come mariti. Questa coppia in sostanza serve a minimizzare l'orrore dell'evento. E in effetti, lo stile di Poussin - l'azione congelata, l'emotività controllata e la composizione ordinata - mette distanza tra lo spettatore dall'orrore dell'evento. Non per nulla è uno dei più grandi artisti del suo tempo.
Stupri antichi come lezioni di vita coniugale per le ragazze
Estetizzazione dello stupro, sanificazione degli aspetti violenti, narrazione dal punto di vista dello stupratore e dei parenti maschi della vittima, il suggerimento di un lieto fine, sono cifre tipiche delle immagini di stupro "eroico" dell'età moderna. Lo scopo principale delle opere d'arte su stupri eroici prodotte durante il Rinascimento era quello di istituzionalizzare la dottrina coniugale e fare da stimolo erotico nelle case dei mecenati.
Gli stupri in chiave romanzata e mitizzata venivano commissionati da importanti famiglie, soprattutto toscane, spesso per celebrare il matrimonio di un figlio o di una figlia. Infatti molti pannelli di legno dei cassoni per il corredo, spalliere di letti matrimoniali e affreschi delle case degli sposi erano decorati proprio con storie di stupro e donne nude. Esempio famoso di queste commissioni potrebbe essere la Primavera di Botticelli, commissionata per celebrare il matrimonio di un de' Medici con una d'Appiani, nel maggio 1482.
Nella Primavera si vede come all'estrema destra, il vento di ponente Zefiro cerca di catturare la ninfa, "I Fasti" di Ovidio infatti raccontano che Zefiro violentò la ninfa, che poi la sposò e la trasformò in Flora. Tipicamente nelle immagini di stupro eroico non si trovano né violenza né rapporti sessuali ma solo tutto il racconto di quanto, secondo i miti e le leggende, accade prima o accadde dopo la violenza sessuale in sé. Altri quadri che ci restituiscono la cultura dello stupro come atto giustificato e giustificabile sono altri i “ratti” di Europa, Io, Leda, Proserpina e il tentato stupro di Dafne.
Qual era il messaggio se non, in parte, dare alla sposa e alle ragazze tutte delle lezioni di comportamento?
La prima lezione era la castità, la sottomissione al marito, il sacrificio per la famiglia e la patria.
Nella maggior parte delle scene di stupro rese mitiche e realizzate per le case degli sposi, compresa la Primavera di Botticelli, c'è una scena che non è mai stata esplorata del tutto: quella della donna che scappa dal suo inseguitore. Certamente, da un lato, indica il desiderio della donna in fuga di mantenere la sua castità (fugge da un uomo che la insegue per stuprarla). Dall'altro lato, suggerisce la riluttanza che devono aver provato molte spose dell'epoca, dal momento che avevano poca voce in capitolo rispetto a chi avrebbero sposato.
Stupri dipinti per solleticare l'eros dei ragazzi
A partire dal Rinascimento coesistevano nei ragazzi, a quanto pare, una nuova avversione al matrimonio e una voglia di libertà sessuale che andava un po' troppo al di là della morale dell'epoca.
Forse non è un caso quindi che dopo il 1500 si sviluppò un secondo tipo di rappresentazione dello stupro costruita ad hoc per gli occhi dello spettatore maschio. A quel punto erano due i modi principali con cui le immagini di stupro eroico venivano costruite per andare incontro ai gusti erotici dello spettatore maschio: il primo è quello di alcuni artisti che hanno semplicemente ignorato le versioni letterarie dei diversi miti e hanno raffigurato lo stupro come se fosse una normale pratica di seduzione.
Per esempio, Giove e Io di Correggio, è un dipinto degli anni Trenta del Cinquecento fatto per Federico II Gonzaga, allora marchese di Mantova, che rientra in questa categoria: la tela mostra Giove travestito da nuvola scura che abbraccia Io. L'atmosfera nebbiosa e la carne morbida della donna sono al centro di un quadro che sembra pronta per andare in copertina su Playboy.
La filosofa Susan Brownmiller ha osservato che le dee e le donne mortali violentate da divinità o eroi greci o romani "raramente subivano gravi conseguenze". Infatti, quando osserviamo il dipinto di Correggio, non si percepisce dolore, terrore o repulsione. Sebbene il mito vuole che Giove insegua una Io terrorizzata, Correggio non mostra alcuna violenza. Ciò contraddice Ovidio, il quale riferisce invece che Giove "prese la fanciulla in fuga e la violentò".
Correggio invece dipinge Giove come un tenero amante che Io accoglie ben volentieri, tanto che la sua testa è tutta all'indietro in segno di godimento e le sue labbra sono aperte, come in estasi, mentre con le braccia cinge il dio. L'immagine di Correggio, come tante raffigurazioni di stupro eroico, serve a offuscare la distinzione tra un incontro erotico e lo stupro, rafforzando l'insegnamento degli antichi romani a idealizzare lo stupro. Il pittore era alla ricerca di un soggetto erotico e ha scelto un mito legato allo stupro per sovvertirne il racconto in modo che la vittima venga vista come un'amante vogliosa.
L'altro modo di raccontare lo stupro per creare statue o dipinti erotici è invece rivelare, sommessamente, la presenza di violenza, ma pur sempre giustificando il valore dello stupro. Ad esempio nella statua del Giambologna, la sabina si ribella al suo assalitore romano tentando di scappare dalla sua presa.
Le sue braccia si agitano in segno di protesta, la sua fronte è corrugata, la sua bocca all'ingiù sembra gridare.
A differenza di Io, chiaramente lei non è un'amante vogliosa e perfino gli osservatori del Cinquecento avrebbero interpretato questa scultura come una scena di stupro.
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