sabato 26 novembre 2022

RELIGIONE E FILOSOFIA. NARDI I. Riflessioni sul Senso della Vita Intervista a Massimo Cacciari, RIFLESSIONI.IT, 6 novembre 2013

 

1) Normalmente le grandi domande sull'esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, che cos'è per lei la felicità?

La felicità... la felicità è un termine vago, bisognerebbe specificare. Vi è una felicità che può coincidere con la soddisfazione perché siamo giunti a un risultato determinato, a una meta finita, e vi è la felicità che implica uno stato di beatitudine. I greci, i medioevali sapevano ben distinguere quello che è un benessere, eudaimonia, uno stare bene, perché la tua vita terrena comporta alcune particolari e determinate e finite soddisfazioni. Macaria direbbero i greci, che veramente la felicità è una condizione divina o quasi divina. L’unica “felicità” a cui noi possiamo aspirare in hoc saeculo [N.d.R. in questo mondo] è una forma di benessere, di stare bene, eudaimonia, e questa non è perseguibile se non in comunità con altri, perché da soli, questo poter stare bene, poter essere soddisfatti non ci è dato raggiungerlo.


 

2) Professor Cacciari cos'è per lei l'amore?

Lo stesso, sono tutti termini vaghissimi che hanno un significato soltanto nel contesto. Non hanno alcun significato di per se, nominati così sono puro flatus vocis [N.d.R. Voce senza importanza]. Amore può essere Eros, può essere Filia, può essere Agàpe, secondo nei contesti in cui ricorre la parola, non ha alcun senso porre domande del genere.

 

3) Come spiega l'esistenza della sofferenza in ogni sua forma?

Perché siamo creature finite, quindi inevitabilmente nei nostri rapporti con l’altro, sia esso un altro umano, sia esso un altro naturale, è implicita anche una contraddizione. Non possiamo vivere in perfetta conciliazione, in perfetta armonia con l’altro, dobbiamo cercarla questa armonia, ma a partire da uno stato di contraddizione che comporta anche sofferenza. In questo mondo non vi è l’Uno in cui tutti si armonizzino e tanto meno l’Uno della Gerusalemme celeste, è l’Uno che comporta relazione, ma relazione vuol dire anche conflitto. In greco il termine polemos, che noi traduciamo guerra, vuol dire anzitutto polis, una radice che indica la pluralità, che noi siamo esseri plurali, in noi stessi, non soltanto perché ci sono degli altri accanto a noi, e quindi questo implica contraddizione, implica sofferenza, dobbiamo saperla sopportare, dobbiamo cercare, per quanto possibile, di porvi rimedio, cercare di sviluppare la relazione nel senso più possibile della filia, dell’amicizia e meno possibile della guerra.

 

4) Cos'è per lei la morte?

Anche qui dipende dalla persona che la pronuncia. Per un ateo radicale la morte è puro annichilimento, l’essente viene dal nulla e finisce nel nulla, questa è la quinta essenza del vero nichilismo, per il credente è transitus [N.d.R. passaggio] in una vita, che però è una vita al di là dell’essente, al di là della condizione umana. Non può esservi un significato univoco della morte, così come non vi è dell’amore, così come non vi è della felicità. L’unica cosa che si può dire in generale è che noi pensiamo la morte, siamo gli unici animali sulla terra che pensano la morte e che quindi sono in qualche modo un “essere per la morte”, perché la pensano continuamente e pensando continuamente alla morte, che certamente non è vita, in qualche modo pensiamo sempre a un al di là della vita. Questo può essere l’unico tratto che accomuna credente e non credente, che accomuna le diverse fedi, religioni, culture.

 

5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?

Non è vero che ci siano alcuni che sono inconsapevoli, tutti sono perfettamente consapevoli che in questo spazio noi siamo chiamati a svolgere responsabilmente un cammino, tutti lo sanno.

Io cerco di fare il mio mestiere, di seguire quella che è la mia professione, leggere, studiare, scrivere se posso.

 

6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?

Certamente si, è il discorso appena fatto, il più perfetto mascalzone ha il suo progetto, come il più perfetto sapiente. Non è dato diversamente, noi siamo quegli esseri che sono dotati di logos, costretti, o no, a vivere in comunità e che pensiamo alla nostra morte, che ci facciamo il nostro percorso, ognuno ha la sua strada, non c’è la strada prefabbricata per nessuno.

 

7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un'epoca dove l'individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensa?

Intanto bisognerebbe sottoporre a una qualche critica l’idea che siamo, proprio così, naturalmente animali sociali, è un bel problema, anche per la scolastica è stato un colossale problema quello di armonizzare il racconto biblico con Aristotele, lo zoòn politikòn è un concetto tipicamente greco, della grecità, tra l’altro, di un certo periodo, non di tutta la grecità, ed è un bel problema immaginare – come faceva San Tommaso - anche nell’eden l’uomo politico. Quindi non è assolutamente così scontato pensare che noi siamo naturalmente uomini politici. Per Hobbes, per la grande filosofia politica moderna non è così. Noi diventiamo animali sociali proprio per difenderci dalla nostra impoliticità originaria. Io personalmente sono più vicino a questa idea: che costruire una città, fare città è un grande sforzo, una grande fatica, una grande responsabilità, non ci viene naturalmente dalla nostra natura, la nostra animalità non è naturalmente politica, è una costruzione culturale la polis, la città, che ci chiama ad essere perfettamente, pienamente responsabili. Questa è grosso modo la mia posizione.

 

8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?

Di che male parliamo? Della malattia, della sofferenza... quello è abbastanza semplice riconoscerlo. Parliamo del male morale? Allora il male morale è anche soggetto a variazioni di tipo culturale, di tipo storico, per un’epoca può essere male ciò che per un’altra non lo è, e viceversa. Quello che si può dire in generale è che il male attiene a una condizione di finitezza del nostro esserci, non siamo compiuti e completi in noi stessi. Siamo una molteplicità di nomi, di interessi, di tendenze, di istinti, se non ce la facciamo a conciliare questa molteplicità che siamo noi stessi e che siamo con gli altri, allora è il male. Il male è quando non siamo in armonia con noi e con gli altri. Questo solo si può dire in generale, poi se andiamo nel concreto, nel determinato è certo che subentrano fattori di carattere storico, culturale, sociale che differenziano le diverse concezioni del male e del bene.

 

9) L'uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall'ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione...

Intanto, questo prima e questo poi è abbastanza elusivo, se permette, perché non è il prima o poi, non è che arriva la ragione e cessa la religione e tantomeno con la religione di per se c’è qualcosa che non ha niente a che fare con la ragione, sono schemi tardo positivistici da comtiani di strapazzo. Non è così, certamente non c’è questa evoluzione della specie, dal mito alla religione, alla religione magari più razionale della precedente, poi invece alla ragione, poi alla scienza, sono schemini ridicoli. Non è così che per fortuna ci evolviamo, ammesso che ci sia poi questa evoluzione se affrontiamo problemi di questo genere.

...cosa ha aiutato lei?

Per me è stata fondamentale una educazione, un processo formativo. Possono esserci anche, per carità, le illuminazioni, può esserci anche l’esperienza di Budda sotto l’albero, di Paolo [N.d.R. Paolo di Tarso, noto come san Paolo] che cade da cavallo, ci possono essere anche esperienze nella vita che improvvisamente determinano una conversione radicale. Io francamente non le ho avute, non escludo che possano esserci questi momenti decisivi, nel caso mio non ci sono stati. La fede non c’è mai stata, non sono un credente. Sono culturalmente, vitalmente, esistenzialmente interessato anche alla posizione del credente, alla posizione religiosa, non credo affatto che queste posizioni siano superate da atteggiamenti e da prospettive razionalistiche, sono cose distinte e che si accompagnano, si sono accompagnate e penso si accompagneranno.

 

10) Qual è per lei il senso della vita?

Metta insieme tutto quello che ho detto finora e qualcosa verrà fuori. Non saprei. Non credo che ci sia “il” senso della vita.

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