Che il nuovo romanzo al quale stava lavorando, nei primi mesi del 1870, fosse concepito come un’opera deliberatamente tendenziosa, animata da un feroce giudizio morale sul nascente movimento rivoluzionario in Russia, Dostoevskij lo dichiarò senza troppi giri di parole ai suoi corrispondenti: «venisse pure fuori un pamphlet, poco male – almeno mi sfogo». Da tempo gli premeva dire quel che pensava contro gli inconcludenti liberali della sua generazione, quei «padri» occidentalisti i quali, avendo reciso ogni legame con il sacrosanto «suolo» nazionale, avevano di fatto favorito l’affacciarsi sulla scena politica russa dei «figli» nichilisti, quei rivoluzionari privi di scrupoli che ora minacciavano di sovvertire l’ordine costituito della madre Russia. Da questo troncone originario del libello politico, in seguito radicalmente modificato (sebbene non cancellato) da un massiccio innesto di poesia, nacque il romanzo I demòni (Besy), uscito a puntate tra il 1871 e il 1872 e poi, un anno dopo, in forma di libro.