Di certo, vale la pena di leggere Insieme perché:
1) È un manuale di self-help per (non solo per) il ceto medio riflessivo. Quello con una storia di sinistra come la sua, e molti dubbi. Politici (sulle coalizioni; secondo Sennett, un Paese funziona meglio con una classe politica litigiosa e una cittadinanza variamente coalizzata). Sociali (Sennett critica la sinistra che liquida gli attivismi privati per i ceti disagiati e la formazione professionale come «beneficenza», e racconta come nella natìa Chicago hanno cambiato molte vite). Sul diritto del lavoro (Sennett prende in giro i liberisti ma rivaluta la capacità di fare rete dei bistrattati cinesi). Umani (Sennett sfotte la simpatia pelosa alla Bill Clinton, genere «sento la vostra sofferenza»; e spiega come l'empatia vera, comprensiva di distacco analitico, è molto più utile a chi soffre).
2) Sennett ragiona su questioni che moltissimi notano e/o patiscono, ma non hanno mai sviluppato. Per esempio, sul multiculturalismo; che polarizza ma non è affrontato seriamente. Non da chi se ne riempie la bocca ma rifiuta di vedere quel che succede nelle scuole dei figli: «A sette anni sono tutti amici; a quattordici c'è una specie di separazione chimica, non si parlano più tra ragazzi dal colore e dall'accento differente». Non da chi «si ritrae a tartaruga» alla vista del diverso. E si creano barriere sociali, e anche l'economia è meno dinamica. Perché «La polis si compone di uomini di tipi differenti; popolazioni simili non possono dare luogo a una polis». Non l'ha detto Nichi Vendola ma Aristotele, e Sennett lo cita.
3) Ci sono molte tartarughe sul lavoro. La flessibilità, la separazione fisica-gerarchica-emotiva, la penuria di tempi e luoghi in cui socializzare nelle ore lavorative, producono secondo Sennett un «effetto silos»: ci si chiude, non si collabora, non si producono nuove idee. Sennett racconta del tentativo fallito di creare un gruppo di studio su Google Wave (non a caso chiuso nel 2010). Ci si scriveva, si chattava, si mettevano online ricerche e dati. Ma poi, quando c'era da discutere e lavorare veramente, «si saltava su un aereo», per vedersi di persona.
4) La narrazione di Richard Sennett, a volte romanzesca sul serio, a volte appesantita dagli anda e rianda sugli stessi temi, ripercorre le evoluzioni del concetto e della pratica della collaborazione. Che oggi vede indebolita nell'infanzia, nel lavoro, nella formazione culturale del sé. Lo fa con excursus storici, e con un efficace parallelo tra gli operai irlandesi di Boston nel 1970 e i quadri licenziati da Wall Street nel 2009. Nelle fabbriche bostoniane da lui studiate funzionava un faticoso ma virtuoso triangolo sociale. Fatto di ruvido rispetto per i «capi decenti», dialogo continuo sui problemi comuni e sostegno tra colleghi, e abitudine a impegnarsi ben oltre la routine quando in fabbrica c'erano problemi. Quarant'anni dopo, gli impiegati vittime della crisi finanziaria erano isolati, stressati, risentiti (il risentimento, orizzontale e verticale, è uno dei grandi temi del libro). Depressi per lo scarso rispetto degli ex capi, la solidarietà solo superficiale tra colleghi, e soprattutto il debole spirito di collaborazione nelle aziende. Dove anche nei bassi ranghi c'era stata consapevolezza del disastro incombente: gli impiegati intervistati da Richard Sennett descrivevano i prodotti finanziari delle loro banche come «oro dei Puffi» e «obbligazioni-porcata»; ma il loro contributo critico non era mai stato richiesto. Perché, calcola Sennett, nella finanza globale c'è un front office di sessantamila persone (quindicimila a Manhattan) che vive isolato dal resto del mondo e continua a fare profitti. Il resto del mondo è messo peggio.
5) E allora, scrive Sennett, «la debolezza del triangolo sociale dovrebbe suscitare qualche allarme». Perché «quando i canali di comunicazione informale vacillano, la gente si tiene per sé idee e valutazioni sul reale funzionamento dell'azienda, oppure difende il proprio territorio». Mentre servirebbe «una riequilibrante cultura dell'urbanità, capace di rendere più ricchi di senso i rapporti sociali sul lavoro». Difficile da creare in tempi di «capitale impaziente» che cerca profitti a breve termine e inaridisce il capitale umano.
Ma Sennett prova a fare il narratore-terapeuta, suggerendo strategie e riti per ottenere un clima collaborativo. Nei posti di lavoro, per esempio reinventando le riunioni «come nel laboratorio di un liutaio» (Richard Sennett, violoncellista mancato per un infortunio alla mano, usa spesso metafore musicali). Nella società, riprendendo la pratica dell'impegno civile. Individualmente, recuperando le molte potenzialità degli umani, specie quelle manuali (a cui è dedicato il saggio precedente, L'uomo artigiano; primo di una «trilogia dell'homo faber» di cui fa parte Insieme; il prossimo sarà di nuovo sulle città).
6)Insieme si conclude con una «esplorazione della speranza» articolata seppur non sempre convincente (siamo tutti un po' giù di morale). Comunque, nel frattempo ci si fa o ci si rifà una cultura. Leggendo di Martin Lutero e Martha Nussbaum, di Freud e Tocqueville, di Amartya Sen e di Michel de Montaigne. Alla fine il più attuale e stimolante di tutti nel trattare di collaborazione, empatia, attenzione agli altrui pensieri (anche a quelli della sua gatta).
Si chiude il libro, se non più ottimisti, più empatici, in effetti.
Nessun commento:
Posta un commento