New York e San Francisco sono tra le città più dinamiche in America. Hanno economie in forte espansione, un numero sempre maggiore di buoni posti di lavoro e i salari medi più alti al mondo. La qualità della vita è ottima, la criminalità bassissima, i servizi pubblici efficienti. Uno si aspetterebbe che i cittadini siano soddisfatti.
Invece gli elettori stanno dimostrando un’insoddisfazione crescente verso lo status quo.
A New York l’elezione di Bill de Blasio rappresenta una sconfitta chiarissima per le politiche di Michael Bloomberg. Dodici anni di governo efficiente e competente dell’amministrazione Bloomberg hanno portato a una rivitalizzazione urbanistica di Manhattan, al miglioramento delle scuole pubbliche, a uno dei tassi di criminalità più bassi in America, ma gli elettori hanno preferito il messaggio populista di De Blasio, incentrato sulla necessità di tassare i ricchi e limitare l’influenza di Wall Street sulla vita della città.
A San Francisco l’elettorato appare preoccupato per la crescita sempre più impetuosa del settore high tech e per l’arrivo di migliaia e migliaia di nuovi residenti attratti dai posti di lavoro ad alto reddito. Il consiglio comunale - uno dei più di sinistra d’America - ha limitato enormemente la creazione di nuovi uffici per imprese high tech, favorendo invece la creazione di fabbriche, nella vana speranza di preservare posti di lavoro operai.
Si tratta di reazioni comprensibili. I finanzieri degli hedge funds di New York o i vari miliardari ventenni di Silicon Valley non stanno simpatici a molti. Pur comprensibile, il vento populista può avere effetti indesiderati. L’attuale confronto pubblico presenta come inevitabile la tensione tra gli interessi di un gruppo e quelli di un altro: ricchi contro poveri, imprenditori contro lavoratori. In realtà, quando si parla di occupazione, non c’è alcuna contraddizione intrinseca tra gli interessi dei lavoratori ad alto reddito e quelli dei lavoratori a basso reddito.
Quando l’economia di una città va bene, a trarne vantaggio sono i lavoratori a tutti i livelli di reddito. A New York, l’economia locale è trascinata dalle sorti del settore finanziario. A San Francisco, il settore trainante è quello dell’high tech. Penalizzare questi due settori significa penalizzare la crescita occupazionale non solo di finanzieri e creatori di start up, ma di tutti i lavoratori, in particolare dei più deboli.
Finanza e high tech danno lavoro a circa un quinto della forza lavoro di New York e San Francisco. Pur rappresentando soltanto una minoranza, il settore della finanza e dell’high tech generano un altissimo numero di posti supplementari, incidendo così in modo profondo sul mercato del lavoro locale. La ragione è molto semplice. Ogni volta che finanza o high tech si espandono, indirettamente creano posti di lavoro nell’indotto. Quando Goldman Sachs assume un nuovo analista finanziario, o quando Google assume un nuovo matematico, la domanda di servizi locali a New York e San Francisco cresce. Questo vuol dire più posti per tassisti, domestici, muratori, bambinaie, parrucchieri, medici, avvocati, dog sitter e terapisti.
L’aspetto sorprendente è che questo impatto indiretto sull’economia locale - detto effetto moltiplicatore - è molto più ampio dell’impatto diretto. Una mia ricerca, basata sull’analisi di 11 milioni di lavoratori americani in 320 aree metropolitane, mostra che per ogni nuovo posto nell’hi-tech o finanza creato in una città, vengono a prodursi altri cinque posti fuori da hi-tech e finanza. Due degli impieghi creati dall’effetto moltiplicatore sono attività professionali, come il medico, l’avvocato o l’architetto; gli altri tre vanno a vantaggio di chi svolge occupazioni non professionali, come il cameriere o il commesso.
Consideriamo, a titolo di esempio, il caso di Twitter. A San Francisco l’azienda ha 2000 dipendenti. Per l’effetto moltiplicatore, però, Twitter genera indirettamente 10.000 posti di lavoro aggiuntivi. In altre parole la crescita di Twitter aumenta la domanda di lavoro al di fuori del settore dell’high tech ancora di più di quanto l’aumenti nel settore high tech. Dei 10.000 posti di lavoro nell’indotto creati da Twitter, 6.000 vanno a lavoratori non qualificati, e 4.000 vanno ad addetti qualificati. Quindi l’effetto moltiplicatore implica che oggi uno dei modi migliori in cui una città può creare posti per i suoi residenti più deboli – ovvero quelli meno qualificati - è attrarre imprese nel settore dell’hi-tech.
L’ondata di populismo a New York e San Francisco si inserisce in un trend di aumentato disagio che l’elettorato americano sta dimostrando verso l’ineguaglianza dei redditi e il divario crescente tra lavoratori con alte qualifiche professionali e lavoratori con bassa scolarità.
Non c’è dubbio che il problema della diseguaglianza di reddito in America sia sempre più pressante e richieda politiche economiche incisive. Penalizzare i settori più dinamici dell’economia americana, però, non è la soluzione migliore. L’effetto moltiplicatore ci insegna che l’economia è un sistema strettamente interconnesso, in cui ciò che reca benefici a un certo gruppo di lavoratori porta benefici anche ad altri. Per questa ragione il populismo di de Blasio e dei politici di San Francisco può dimostrarsi controproducente e danneggiare anche la parte più debole del mercato del lavoro.
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