Questi sono peggio di quelli di Wall Street», racconta Peter Cohen, co-direttore del Consiglio per l’edilizia popolare di San Francisco. «Se qualcuno sperava che internet ci avrebbe salvato, non succederà. Silicon Valley non fa più sognare». Cohen esprime il disincanto di una parte crescente di San Francisco nei confronti della nuova generazione di «geeks», i cervelli che animano la rivoluzione tecnologica di Apple, Google, Twitter e Facebook. Sempre più numerosi, gli ingegneri di Silicon Valley decidono di vivere nella città che fu dei figli dei fiori. I prezzi delle case in uno spazio di 10 km per 10 km esplodono e superano quelli di New York, il costo della vita costringe la classe media a lasciare la città. E l’ostilità si fa palpabile
L’epicentro della protesta è la Mission, il quartiere latino, dove graffiti poco amichevoli hanno ricoperto gli autobus messi a disposizione dai titani dell’economia 2.0 per prelevare al mattino gli ingegneri del settore digitale e riportarli a casa la sera. Da San Francisco a Mountain View o Cupertino, le città dove hanno sede i colossi della Rete, sono circa 45 minuti di viaggio. I giovani smanettoni li trascorrono in bus equipaggiati con wi-fi e bibite, viaggiando con le cuffiette negli orecchi e il computer aperto per lavorare anche durante i momenti di pendolarismo
L’epicentro della protesta è la Mission, il quartiere latino, dove graffiti poco amichevoli hanno ricoperto gli autobus messi a disposizione dai titani dell’economia 2.0 per prelevare al mattino gli ingegneri del settore digitale e riportarli a casa la sera. Da San Francisco a Mountain View o Cupertino, le città dove hanno sede i colossi della Rete, sono circa 45 minuti di viaggio. I giovani smanettoni li trascorrono in bus equipaggiati con wi-fi e bibite, viaggiando con le cuffiette negli orecchi e il computer aperto per lavorare anche durante i momenti di pendolarismo
La carenza di ingegneri e il boom digitale hanno reso preziosi questi ragazzi indiani, cinesi e di mezzo altro mondo. Le aziende li riempiono di soldi e benefit, come i viaggi sui bus speciali. Ma a San Francisco cresce il malumore. Non ci sono solo le intemperanze contro gli autobus nella Mission. O gli sguardi di disapprovazione alle berline nere della Uber che portano i manager a fare giri di esclusivi locali notturni. Un altro campanello d’allarme è stata la manifestazione di protesta di fronte alla sede di Twitter, nelle ore in cui il social network debuttava a Wall Street. «La gente, non il profitto», «Il pubblico siamo noi», recitavano i cartelli.
La percezione è che le ricchezze generate dall’high-tech non portino beneficio all’insieme della popolazione. Le famiglie della classe media, le piccole imprese, gli artisti e gli intellettuali, in altre parole, quelli che hanno dato a San Francisco la sua identità, non riescono a tenere il passo con i prezzi che i geeks sono disposti a pagare. Il coordinatore dei democratici della California, l’ex senatore John Burton, è preoccupato: «Se tramonta la classe media, svanisce il sogno americano. La felicità, tutti possono provare a perseguirla, ma veramente pochi possono raggiungerla oggi».
Di ricchezza, Silicon Valley ne sta creando molta. Dietro le idee più ardite delle start up di successo ci sono fondi di venture capital come Benchmark. Oltre ad aver gestito la vendita di Instagram per 1 miliardo di dollari a Facebook, ed aver portato in borsa Twitter, il fondo si permette il lusso di rifiutare offerte miliardarie da parte di Google per l’acquisto di Snapchat (un social network popolare tra i giovani, perché le foto condivise si disintegrano senza lasciar traccia), in attesa che la febbre esploda oltre ogni misura.
Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, compra in città tutte le case intorno alla propria per evitare scocciature dai vicini. Un atto che stride con la frase di Harvey Milk che spicca sull’omonimo Center for the Recreational Arts: «Il sogno americano comincia dai tuoi vicini». Una mutazione antropologica per una città che ha mantenuto da un lato il codice avventuriero dell’epoca della corsa all’oro, ma ha creato negli anni «una metropoli multietnica e accogliente di emigranti e rifugiati da tutto il mondo», come ricorda il padrino della Beat Generation, Lawrence Ferlinghetti.
Non tutti condividono le preoccupazioni. Tra questi il sindaco Edwin Lee, che riconosce al mondo digitale il merito di aver portato la città fuori dalla recessione e ridato vita a quartieri difficili. «La Silicon Valley non si sta impossessando della città - spiega - sta invece contribuendo alla creazione di posti lavoro».
Il suo predecessore Willie Brown, scrivendo sul «San Francisco Chronicle», ammonisce però che gli ingegneri di Silicon Valley «devono scendere dalle nuvole dei loro sforzi per salvare l’Africa o gli altri posti in cui fanno vacanze d’avventura e devono cominciare ad impegnarsi per migliorare le cose per chi vive intorno a loro».
Il sogno rimane quello del 95enne Ferlinghetti: «Il giorno in cui un’app - racconta - ci ridarà la possibilità di perseguire la felicità, riportando l’uomo al centro del gioco, allora i geek avranno dimostrato che un mondo migliore è possibile anche grazie all’innovazione».
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