La differenza fra il cervello trattato (a destra) e non trattato. In verde, i neuroni 10 ore dopo la morte
"Il cervello era in una vasca larga circa un metro, con il cranio conservato solo alla base e un sistema di tubi collegato da un lato alle due carotidi, dall'altro al computer che gestiva l'irrorazione. Il sangue artificiale conteneva emoglobina e sostanze che preservano le cellule. Il suo colore era normale, rosso" racconta Francesca Talpo, che oggi lavora con un assegno di ricerca all'università di Pavia. "La mia specializzazione è in elettrofisiologia" spiega. E' la disciplina che studia l'attività elettrica del cervello. "Ho lavorato per un anno nel laboratorio di Yale, nel 2017, dopo il dottorato, proprio quando si svolgevano gli esperimenti". I 32 maiali sono stati esaminati in successione e il limite di dieci ore è stato fissato solo perché è impossibile, per tempi più lunghi, fare il confronto con un cervello normale, non alimentato dal sangue artificiale. "Per noi era molto importante avere un termine di paragone. Ma in teoria, irrorandoli, è possibile mantenere attivi i neuroni per un maggior numero di ore. Quanto esattamente? Non lo sappiamo, sarà l'oggetto dei prossimi esperimenti, per i quali puntiamo anche a creare un ponte fra l'università di Pavia e Yale".
"Il cervello in un secchio" è uno dei soprannomi assegnato all'esperimento. Uno degli scenari evocati - pura fantascienza - è infatti quello di ottenere una mente attiva in laboratorio, completamente distaccata dal corpo. "Ad attivarsi in realtà sono stati singoli neuroni, isolati l'uno dall'altro, solo dopo una stimolazione con una debole corrente elettrica" spiega Talpo. "Per avere percezione o coscienza, invece, c'è bisogno di un'attività sincronizzata, di gruppi di cellule che comunicano e creano delle onde. Noi non abbiamo trovato assolutamente nulla del genere". Le cellule consumavano zucchero, ossigeno e rilasciavano neurotrasmettitori, segno che le loro sinapsi erano sane e funzionali. Ma qui finisce ogni paragone con ciò che chiamiamo vita. Anche gli altri ricercatori, guidati da Nenad Sestan, su questo sono stati chiarissimi: "Il ripristino di alcuni processi cellulari - sono le loro parole pubblicate su Nature - non significa recupero delle normali funzioni cerebrali. Al contrario, mai abbiamo osservato quel tipo di attività elettrica globale che associamo al concetto di coscienza, percezione o alle altre funzioni cerebrali superiori".
E meno male, verrebbe da dire. "Perché uno degli obiettivi di questi studi è usare dei neuroni attivi per testare farmaci contro Alzheimer, Parkinson e molte altre malattie del cervello. La presenza di percezione o coscienza spalancherebbe questioni etiche enormi" prosegue Talpo. Capire quali sono le capacità di sopravvivenza dei neuroni in assenza di nutrimento - come avviene durante infarti e ictus - aiuterebbe i medici ad affrontare meglio i postumi di queste malattie. E anche quella scatola buia e arcana che è la nostra mente, per molti versi più misteriosa dell'universo, potrebbe aprirsi alla conoscenza grazie ai seguiti di questo esperimento. "Molti studi del cervello sono possibili solo con tecniche anatomiche" spiega la ricercatrice. "Mantenendo attive alcune funzioni dopo la morte, potremmo studiare le connessioni fra i neuroni, disegnare delle mappe funzionali". E avvicinarci finalmente a toccare l'elusivo concetto di coscienza.
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