domenica 6 aprile 2025

FEMMINICIDI PATRIARCATO MISOGINIA SOCIAL. ERCOLANI P., Qui il patriarcato non c’entra: social e realtà virtuale stanno crescendo degli analfabeti emotivi, IL FATTO, 5.04.2025

 C’è un errore sostanziale nell’attribuire a un fantomatico “patriarcato” i femminicidi che accadono nel nostro tempo (gli ultimi, in Italia, proprio in questi giorni). Per parlare di patriarcato, infatti, bisognerebbe constatare una istituzionalizzazione del pregiudizio contro la donna, quando in realtà per fortuna non esistono più leggi o norme che discriminano o, peggio, colpiscono specificamente il genere femminile in quanto tale, né in Italia né nel mondo occidentale. Per misure oggettive del genere occorre rivolgere lo sguardo ai paesi del mondo islamico più fondamentalista o ai regimi autarchici e liberticidi.


Ad esistere, questo sì, è un pregiudizio misogino secolare che ha messo incredibilmente d’accordo gli autori e personaggi più diversi, fino a buona parte del Novecento tutti concordi nel dipingere la donna a guisa di un essere inferiore, irrazionale e perfino pericoloso, come ho ricostruito in un libro di quasi dieci anni fa che purtroppo non smette di essere attuale ).

Un pregiudizio del genere, che ha potuto lavorare per secoli fino al punto da convincere molte delle stesse donne, ha indubbiamente creato un sentire comune radicale e diffuso, che lavora e agisce sottotraccia anche in un’epoca come la nostra in cui i grandi pensatori non hanno più l’ardire di esprimere certe bestialità misogine.

Ma se nel caso del “patriarcato” siamo completamente fuori bersaglio – e sbagliare bersagli è il modo migliore per perdere una guerra, anche la più sacrosanta – anche per quello del pregiudizio misogino ci sono delle considerazioni da fare, che si spingano oltre la superficie più semplice e scontata.

Sì, certamente gioca un ruolo importante quel pregiudizio che spesso si traduce nell’idea (non sempre soltanto maschile) che la donna sia proprietà dell’uomo, sottomessa e governata da esso. Ma volendo considerare nello specifico il problema di fondo di questi maschi che uccidono le donne, occorrerebbe estendere il ragionamento e parlare di analfabetismo emotivo, diseducazione sentimentale e incapacità di accettare il rifiuto o la fine di un rapporto.

Considerando la questione in questi termini più ampi e meno superficiali, si arriva a comprendere che oggigiorno ci troviamo di fronte a un problema pressoché taciuto, probabilmente anche perché tale problema rappresenta anche il più grande business della nostra epoca. Mi sto riferendo alla realtà virtuale e ai social network.

È qui, infatti, che i nativi digitali cominciano a essere diseducati rispetto ai fallimenti, ai no e alle sentenze negative cui la vita mette di fronte ogni essere umano. È qui che si diffonde l’idea che anche le più piccole imperfezioni del corpo vanno cancellate con filtri opportuni, oppure che c’è un’App con cui risolvere ogni problema senza doversi impegnare (come denunciava lo psicologo e pedagogista Howard Gardner in un libro di qualche anno fa). È nella realtà virtuale che si instilla l’idea funesta per cui errori, imperfezioni, fallimenti e sconfitte sono una colpa, rimuovendo il dato essenziale per cui è proprio superando tali ostacoli inevitabili e fisiologici che l’essere umano diventa un adulto equilibrato.

È sui social e in generale sulla Rete che ragazzi e ragazze – come rivelano molti studi – stanno perdendo l’empatia, la capacità di allacciare relazioni profonde, il desiderio di conoscere e frequentare altre persone nella vita reale, al di fuori della bolla virtuale, precipitando sempre più in una spirale di narcisismo patologico, individualismo egoistico ed egoriferito, di competizione famelica per chi guadagna più like, follower e in buona sostanza attenzione in quel tragico e divertente teatrino mediatico che è Internet.

Il risultato, rivelano gli stessi studi, è quello di giovani che confessano di soffrire sempre più di solitudine, insicurezza, senso di inadeguatezza e angoscia esistenziale.

Confondere o addirittura sostituire la connessione fra profili virtuali con la relazione fra persone in carne ed ossa, del resto, è la base per crescere degli analfabeti emotivi, cioè degli individui incapaci di iniziare relazioni sane ed equilibrate, di condurre tali relazioni con spirito paritario e altruistico, e infine di accettare con dolore ma anche serenità che i rapporti umani possono finire come ogni cosa dell’esistenza (a partire dalla vita stessa).

La cultura misogina persiste e va sicuramente contrastata con misure e iniziative che concernono appunto l’ambito culturale e pedagogico in tutta la sua vastità, ma farneticare su un fantomatico patriarcato equivale ad arrendersi all’ideologia più superficiale, che a certe figure politiche e non solo appare assai più semplice e redditizia dell’analisi approfondita. Aggiungere a tale farneticazione, poi, la rimozione del serio e grave impatto emotivo e relazionale esercitato dalle nuove tecnologie sulle generazioni più giovani, significa porre le basi per una tempesta perfetta. Quella di una mutazione antropologica in cui ci ritroveremo tutti ad essere più egoisti, narcisisti e incapaci di empatia.

Così che a morire, oltre alle donne vittime di femminicidi, sarà anche l’umanità vittima dei “sentimenticidi” prodotti dalla grande macchina virtuale.

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