giovedì 24 aprile 2025

LA RICERCA URGENTE DELL'IDEALE ESTETICO. BEVILACQUA F., L’algoritmo della bellezza: così social e intelligenza artificiale riscrivono i canoni estetici, DOMANI, 22.04.2025

 Tra gli anni ‘90 e i primi duemila Semir Zeki, neurobiologo di fama mondiale e tra i pionieri della neuroestetica, dedicò anni a dimostrare, tramite l’uso di risonanza magnetica funzionale, che la percezione del bello dipende tanto dall'input visivo quanto dall'elaborazione emotiva e personale.

In altre parole, Zeki riuscì a evidenziare che due persone possono avere reazioni neurologiche completamente diverse alla stessa opera d'arte o allo stesso paesaggio, perché la loro percezione è mediata dalla propria storia, dalle proprie emozioni, dai propri contesti culturali. Ma anche che per entrambe l'esperienza del bello è tanto più intensa quanto più il soggetto si sente in sintonia con l'immagine percepita, trasformandola in una sorta di “specchio” della propria immagine di sé.

E in un’epoca in cui è la rivoluzione digitale a pervadere ogni aspetto della vita quotidiana, la fusione tra innovazione e immagine corporea amplifica e velocizza la ricerca urgente dell’ideale estetico promosso dalla tecnologia, con un impatto sia su una percezione sana della propria corporeità sia sulla rappresentatività di modelli di bellezza non conformi.


Le conseguenze dell’Ia sulla salute psico-fisica

Negli ultimi anni l’impatto dei media digitali ha trasformato il concetto di bellezza in un modello sempre più definito e, allo stesso tempo, irraggiungibile. E l’assuefazione a volti irrealisticamente belli porta a normalizzare e pretendere standard estetici eccezionali, in un fenomeno sociale definito dall’autrice Eleanor Stern come «sovraccarico di bellezza».

Anche nel settore pornografico si registra sempre più richiesta di immagini generate con l’Ia, soprattutto attraverso la diffusione di video deep fake, cioè una tecnologia che permette di manipolare digitalmente volto, voce o movimenti di una persona in modo estremamente realistico: un'indagine del 2020 ha indicato l'Italia al quarto posto al mondo per maggiore diffusione di immagini deep fake non consensuali.

Se io oggi sono figlio dei social network, la mia identità, valori e obiettivi li ottengo dal nascere e crescere seguendo un prototipo che associo al contesto online», dice Francesco Pira, professore di Sociologia presso l'Università di Messina, specializzato in dinamiche dei social media e nuove forme di relazione sociale.

«E allora io riesco abitare solo quel non luogo e mi ci confaccio anche fisicamente. Infatti si parla di Instagram face», aggiunge Pira, riferendosi all’espressione coniata nel 2019 dalla critica culturale Jia Tolentino per descrivere un ideale estetico omogeneo emerso con l'avvento dei social media, caratterizzato da pelle senza pori, zigomi alti, occhi a mandorla, naso piccolo e labbra carnose, spesso ottenuto attraverso filtri digitali o interventi cosmetici.

Ma, secondo ​numerosi studi scientifici, il reciproco condizionamento tra estetiche prodotte artificialmente e corpi che si adattano a questi stessi canoni sta portando ad un incremento di casi di ansia e depressione, fino allo sviluppo di un vero e proprio disturbo di Snapchat dysmorphia, termine coniato nel 2018 dal chirurgo estetico Tijion Esho per indicare la condizione in cui una persona, dopo un uso costante di immagini ritoccate nei social media, percepisce il proprio corpo come insoddisfacente, nonostante sia invece in forza e salute.

L'impatto dei canoni estetici promossi dai social media sulla salute psicofisica degli utenti più giovani era stato denunciato già a settembre 2021 il Wall Street Journal. E secondo l'inchiesta del quotidiano, Meta, la società madre di Facebook, Instagram e WhatsApp, è anche perfettamente consapevole dei danni causati dalle piattaforme, ma non interviene per non perdere l’interesse continuo e crescente degli utenti della piattaforma.

«Il meccanismo è semplice: io creo un profilo social e lì sento che, se sono me stesso, non ricevo gradimento. Si parla di effetto di massificazione delle immagini e vetrinizzazione dei corpi», dice il professor Pira. «Ed è un fenomeno che colpisce in particolare i giovanissimi, che intervengono così con diete invasive e chirurgia estetica. Non è un caso che anche nei disturbi alimentari (Dca) registriamo un boom nei numeri», aggiunge.

I dati ufficiali del ministero della Salute e delle istituzioni di ricerca indicano infatti un incremento significativo dei Dca, con un aumento tra il 2019 e il 2023 del 40 per cento per cento dei casi di anoressia e bulimia. Parallelamente, il ricorso alla chirurgia estetica è in costante crescita: le cliniche specializzate italiane riportano un aumento medio annuo del 15 per cento di interventi chirurgici.

Secondo dati rilasciati dall'Aifa e da osservatori del settore, anche il farmaco Ozempic, che ha fatto il suo ingresso in Italia nel 2018, ha visto un incremento significativo delle prescrizioni a partire dal 2021, quando le sue proprietà di promozione della perdita di peso hanno attirato l’attenzione sia dei medici che del pubblico. L’Ozempic, infatti, inizialmente destinato a pazienti diabetici, ad oggi è largamente impiegato nell’ambito del “body shaping”, diventando nel 2023 il farmaco più venduto in tutti gli Stati Uniti.

«E in questa corsa per piacere il rischio è di forzarci morbosamente a livellare tutto ciò che riteniamo “diverso” e di diventare una serie di articoli tutti uguali di un catalogo», dice Pira, secondo cui l’uniformazione dei canoni digitali rallenta anche lo sviluppo di realtà che promuovono la diversità e l’inclusività nel mondo della bellezza.

Un altro freno all’inclusività della bellezza

Le iniziative che promuovono una visione pluralista dei modelli estetici si trovano infatti a competere un panorama mediatico sempre più dominato da standard omogenei e tecnologicamente controllati, riportano questi enti. «In questo momento c’è un ulteriore stop nel nostro lavoro, che negli anni ha cercato di mettere al centro i corpi diversi. La sensazione è che stiamo tornando un po' indietro rispetto ai tanti passi in avanti che erano stati fatti», dice Carlotta Giancane, fondatrice di “I'mperfetta”, un'agenzia di moda inclusiva creata nel 2020 con l'obiettivo di rappresentare modelli e modelle di taglie, età, generi e caratteristiche fisiche diverse. «E questo è anche un grandissimo pericolo potenziale, perché c'è tutto il discorso dei modelli a cui si ispireranno le nuove generazioni. Direi che il peggio deve ancora arrivare», aggiunge Giancane.

Giancane, che prima di avviare il progetto ha lavorato nel settore della pubblicità e dei social media, racconta di aver lanciato “I'mperfetta” «un po' per gioco», per andare controcorrente in una cultura di «corporeità perfette» molto radicata in Italia. Ma oggi il sovrautilizzo delle immagini generate artificialmente sta accentuando la dominazione dell’algoritmo da parte di quei volti “idealizzati”, lasciando poco spazio a «espressioni autentiche della diversità», spiega Giancane. E anche lo stesso settore della moda e del make-up in Italia sta esponenzialmente investendo sull’Ia, finanziando strumenti che individuano virtualmente “difetti” fisici e simulano l’applicazione di interventi estetici, chirurgici e non, per correggerli.

Ad oggi l'Ia ha infatti una concreta difficoltà a concepire la diversità corporea, poiché gli algoritmi sono addestrati su dataset bilanciati sui bias culturali dominanti, spiega Giuseppe Mayer, imprenditore e manager con oltre 25 anni di esperienza in brand strategy e digital marketing e docente di Ai and Corporate communication presso l'Università Iulm.

«Quando infatti chiediamo all'Ia di rappresentare una “persona bella", riproduce quasi sempre modelli eurocentrici e conformi a standard irrealistici. La tecnologia fatica particolarmente con disabilità, differenze etniche e imperfezioni cutanee, tendendo a semplificare e stereotipare», dice Mayer, secondo cui eliminare questi bias dall'Ia è ancora più difficile che dall'essere umano, poiché gli algoritmi amplificano i giudizi già presenti nei dati di addestramento.

Secondo Mayer, per evitarlo dovremmo da un lato lavorare tecnicamente su algoritmi che riconoscano le sfumature estetiche e implementare strumenti di autocorrezione degli stereotipi, ma dall’altro lato anche rendere gli utenti consapevoli che le loro richieste e interazioni contribuiscono a fornire immagini ai dataset, e così a modellare l’Ia stessa.

Giancane racconta come l'anno scorso “I'mperfetta” aveva iniziato ad investire in un’iniziativa che prevedeva l’utilizzo dell’Ia, «progetto che poi è rimasto congelato perché il sistema non riusciva a rappresentare delle modelle “imperfette”». Inserendo alcune indicazioni chiave, come un certo tipo di disabilità, il sito infatti andava in bug, cioè in errore, spiega Giancane. «E questo per me rappresenta quanto, in un’Italia già particolarmente lenta ad incorporare qualche precetto culturale della body positivity, siamo ancora impotenti davanti a sistemi che ci continuano a imporre dei canoni di cui pensavamo di esserci liberati, ma poi tornano più forti di prima», aggiunge Giancane.

Nessun commento:

Posta un commento