sabato 12 maggio 2012

STORIA DELLA SOCIOLOGIA. ADORNO T., Come guardare la televisione (1954), MICROMEGA, 5, 2011


   In questo testo Adorno illustra due questioni: 1. gli esiti di una ricerca sui contenuti di alcune trasmissioni televisive (content analysis); 2. alcune proposte per migliorare la qualità di questo tipo di prodotti.

La ricerca fu compiuta su un campione di copioni televisivi (si tratta di sceneggiature scritte di 34 prodotti di diverso genere) perché essi consentivano la possibilità di esaminarne più volte i significati, cosa impossibile da farsi durante la trasmissione in diretta. Tali prodotti, in gran parte sceneggiati, avevano una durata compresa fra i 15 e i 30 minuti, una necessità che Adorno attribuisce alle esigenze del sistema commerciale.

Lo sceneggiato televisivo rappresentava in quegli anni il 47% della produzione televisiva totale. Secondo l’autore “l’elemento della manipolazione socio-psicologica si manifesta nella sua forma più chiara in queste trasmissioni così numerose”.




“Pensati per agire sull’inconscio”

   Proprio la brevità di questi prodotti consentirebbe di eludere l’Io cosciente dello spettatore per poter, così, giungere all’inconscio di chi guarda. Inoltre le caratteristiche di fondo di queste produzioni ritornano innumerevoli volte trasformandosi in uno “schema generale” capace di rafforzare il conformismo e lo status quo. Terza osservazione, gli spettatori vengono assaliti da “messaggi palesi o nascosti e forse, nella programmazione, i secondi, in quanto psicologicamente efficaci, sopravanzano i primi”.

Segue una rassegna di alcune di queste trasmissioni. Che cosa si vede, praticamente, in esse e quali sono i messaggi che giungono allo spettatore (che non è sempre uno spettatore ingenuo, naturalmente)?    Stereotipi, rappresentazioni pseudo-realistiche, massime edificanti, schematizzazioni pericolose (come quella secondo cui “gli stati totalitari non siano altro che la conseguenza di difetti caratteriali di singoli uomini politici”, pericoloso modo di personalizzare la politica); un certo civettare con la psicoanalisi e la psicologia; il far credere che gli artisti – e gli intellettuali- siano tutti omosessuali; il fatto che l’uomo debba sempre difendersi dalle arti seduttive della donna.



Gli effetti deformanti degli sceneggiati

   Adorno si sofferma, in particolare, sugli effetti deformanti prodotti da queste trasmissioni riguardo i processi e le pratiche proprie della psicologia del profondo. Le quali, quando vengono tirate in ballo in questi copioni, vengono rappresentate in modo piuttosto ridicolo. E’ il caso del transfert freudiano, quasi sempre alterato rispetto al suo significato originario. Così l’analista diventa sempre l’innamorato della paziente. Oppure i processi di guarigione che saltano i complicati meccanismi dei ricordi d’infanzia: “se da una parte lo sceneggiato lascia intendere la propria familiarità con tutte le ultime conquiste della conoscenza dell’anima, dall’altra parte opera per concetti assolutamente rigidi e statici”. Cosa ancora più grave è che tali sceneggiati alterano il vero messaggio per certi versi liberatorio della pratica psicoanalitica: vale a dire la messa in questione dei meccanismi di repressione degli istinti. Infatti ciò che trionfa è “la morale convenzionale e la repressione degli istinti piuttosto che la libera manifestazione di essi (…) Così viene messa in moto una ‘psicoanalisi regressiva’ in senso letterale: lo sceneggiato glorifica proprio quei meccanismi di difesa attraverso i quali il processo psicoanalitico, che esso pretende di esporre, cerca di lasciare penetrare la luce”.



Rispettare la società e le sue regole

   Appare piuttosto singolare, ai nostri occhi, il giudizio adorniano su uno di questi sceneggiati a sfondo psicoanalitico. La protagonista femminile finisce, di fatto, per guarirsi accettando le regole e la morale convenzionale, di fatto finendo per denigrare se stessa, la propria individualità ed autonomia. Non ci sembra possibile, oggi, pensare che la società americana fosse così chiusa verso istanze individualistiche e libertarie. Tuttavia è Adorno stesso che ricorda come molti di questi prodotti fossero, di per sé, ambigui, ammiccanti in direzione di quello spettatore non ingenuo che pure poteva guardarli.



Conclusioni e proposte

   Sulla base di queste analisi, la proposta adorniana è quella di “diffondere la consapevolezza di fenomeni come il carattere ideologico della televisione, non solo fra i produttori, ma anche fra il pubblico”. Questo compito potrebbe avere buoni effetti più in Germania che non altrove: lì, infatti, non ci sono ancora tutti gli interessi economici che sono presenti negli USA. Si tratta, comunque, di effettuare ricerche più approfondite “volte ad identificare le tecniche socio-psicologiche adoperate nella produzione televisiva (…) I produttori dovrebbero vigilare affinché venissero rimosse le provocazioni e gli stereotipi che, secondo il giudizio di un comitato di sociologi, psicologi ed educatori, indipendenti e dotati di senso di responsabilità, portano all’istupidimento, alla deformazione psicologica e all’annebbiamento ideologico del pubblico. L’elaborazione di tali norme non è così utopica come sembra a prima vista”. Colpisce un discorso del genere, per niente lontano da quanto, diversi anni dopo, avrebbe sostenuto Karl Popper quando propose una patente per chi fa televisione.

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