B.
Malinowski, Argonauti del Pacifico occidentale, 1922
1. L’ostentazione del cibo e delle ricchezze fra i
trobriandesi
Nella sua ricerca
sull’economia nelle culture trobriandesi, B. Malinowski (Argonauti del pacifico occidentale, 1922; tr. It. M. Arioti, Bollati Boringhieri, 2004 e 2011)
ha cercato di dimostrare il carattere erroneo di alcune tesi circolanti negli
ambienti culturali occidentali e relative alla vita economica dei cosiddetti
‘primitivi’. In queste culture è possibile verificare l’esistenza di
comportamenti molto simili a quelli di individui viventi in società
economicamente sviluppate.
Per esempio, il
cibo non è semplicemente qualcosa che serve per sopravvivere e, quindi,
apprezzato per la sua utilità; il cibo viene accumulato perché piace ostentarlo (cap. 6, p. 175). Come
mostra la foto (1), “nei villaggi in cui risiede un grande capo
di rango elevato i magazzini dei sudditi devono essere chiusi con foglie di
noce di cocco per non competere con quello del grande capo (…) Tutto ciò mostra
che l’accumulazione del cibo non è solo il risultato della previdenza
economica, ma è dettata dal desiderio di
ostentare ed innalzare il prestigio sociale mediante il possesso di
ricchezze” (175). Malinowski ricorda anche i riti magici che accompagnano
l’accumulazione del cibo. Ebbene, una volta raccolto, il mago esegue una serie
di riti volti non tanto al cibo, ma a far si che gli abitanti del villaggio
dirigano le loro attenzioni non sul raccolto, ma su altri tipi di alimenti onde
consentire al raccolto…di marcire nei magazzini ed essere buttato per far posto
al nuovo raccolto! Questa pratica che a noi può sembrare assurda viene spiegata
da Malinowski come la prova di quanto aveva sostenuto sul reale scopo del
raccolto: ossia, la sua ostentazione:
“Qui incontriamo ancora la tipica idea
che l’obiettivo principale dell’accumulazione del cibo sia quello di tenerlo in mostra nelle case finché non
marcisca e possa essere, poi, sostituito” (176). Attorno alla raccolta
degli alimenti ci sono, insomma, una serie incredibile di rituali e cerimoniali
finalizzati prevalentemente alla esibizione ed ostentazione: i tuberi vengono
messi in mostra nei giardini; si costruiscono pergolati sotto ai quali vengono
ammucchiati altri elementi raccolti: “Dopo
aver tenuto nel giardino il raccolto per un paio di settimane affinché sia
ammirato dai gruppi in visita, il proprietario dell’appezzamento convoca un
gruppo di amici e di conoscenti affinché lo trasporti nel villaggio per essere
consegnato al marito della sorella del proprietario” (176).
FOTO 1. Il magazzino degli alimenti
Giunto nel nuovo villaggio, il raccolto viene messo in
mostra anche per due settimane, per poi essere immagazzinato.
Anche gran parte
dei cerimoniali sono accompagnati dall’esibizione
di cibo: è così per le cerimonie funebri, per i riti che accompagnano il
raccolto nelle sue varie fasi, per l’atto stesso del mangiare. In questo caso,
infatti, ciò che diventa importante è l’esibizione e la preparazione
cerimoniale del cibo (come avviene in occasione dell’uccisione del maiale: prima
di essere ucciso, l’animale viene portato in giro e mostrato in più villaggi)
non l’atto vero e proprio del mangiare: “L’oggetto
fruito socialmente è l’ammirazione comune per il cibo buono ed abbondante e la
consapevolezza di questa abbondanza (…) I trobriandesi si godono il loro cibo
come uno dei piaceri principali della vita, ma questo rimane un atto
individuale” (178).
Dunque, in cibo accumulato diventa un simbolo ed un veicolo
di potere, da cui il “bisogno di immagazzinarlo e di esibirlo”.
Il valore di alimenti e cose non deriva ad
essi dall’utilità e dalla scarsità, ma dai sentimenti che si sviluppano attorno
ad essi. Poi Malinowski ricorda anche il contributo che, alla creazione del
valore, dà il lavoro*, in
particolare il lavoro necessario alla costruzione di oggetti particolarmente
raffinati al punto che, per la loro raffinatezza, non verranno mai usati ma
solo posseduti: “questo atteggiamento affettuoso
verso il materiale e il lavoro produrrà un sentimento di attaccamento ai
materiali rari e agli oggetti ben lavorati e ciò avrà come risultato che verrà
loro attribuito un valore (…) viene attribuito un valore a quell’oggetto al
quale l’artigiano, avendo trovato un materiale particolarmente bello o fuori
del comune, è stato indotto a dedicare una quantità di lavoro sproporzionata.
Così facendo egli crea un oggetto che è una specie di mostro economico, troppo
bello, troppo grande, troppo fragile o troppo sovraccarico di decorazioni per
essere usato e proprio per questo altamente apprezzato” (179-180)
Insomma,
contrariamente a certe tesi che vorrebbero i primitivi estranei a comportamenti
simili ai nostri, Malinowski così riassume i risultati delle sue ricerche: “Vediamo che il valore e la ricchezza
esistono nonostante le cose siano abbondanti e che questa abbondanza è
apprezzata di per sé. Gli oggetti vengono prodotti in grandi quantità al di là
di ogni loro possibile utilità, come semplice risultato dell’amore per
l’accumulazione fine a se stessa; il cibo è lasciato imputridire e, sebbene gli
indigeni abbiano tutto ciò che di necessario potrebbero desiderare, pure
vogliono sempre di più per usufruirne come ricchezza” (179)
2. Forze, doveri,
obbligazioni, credenze magiche, ambizioni sociali, vanità: cosa influenza chi lavora
Il lavoro sembra presentare
caratteri estetici e non
prevalentemente utilitaristici. Gli
indigeni lavorano, in maniera significativa “mirando ad obiettivi che non hanno certo molto a che vedere con la
soddisfazione di desideri presenti o con il raggiungimento immediato di fini
utilitari (…) inoltre il lavoro e lo sforzo, invece di essere semplicemente
mezzi in vista di un fine, costituiscono dei fini in sè” (67). Un altro
aspetto della mentalità del lavoro indigena è che il prodotto del lavoro non va
al lavoratore, ma per tre quarti al capo mentre un’altra parte al marito della
sorella o della madre e alla loro famiglia: “il trobriandese lavora in modo indiretto, in larga misura per amore del lavoro in sé e bada molto
alla raffinatezza estetica nella disposizione e nell’apparenza generale del suo
giardino. Non è guidato principalmente dal desiderio di soddisfare i suoi
bisogni, ma da una serie molto complessa di forze tradizionali, di doveri, di obbligazioni, di credenze magiche, di
ambizioni sociali e di vanità. Egli vuole, se è un uomo, distinguersi socialmente come buon giardiniere e buon lavoratore in generale” (68)
3. Potere politico, potere
plutocratico e influenza del capo di alto rango
“La ricchezza, nelle Trobriand, è il segno
esteriore e la sostanza stessa del potere oltre che il mezzo per esercitarlo.
Ma come acquista il capo la sua ricchezza?” (70). Va detto,
preliminarmente, che l’autorità politica più significativa è quella
caratterizzata dalla persona di alto
rango, fatto che non si verifica sempre. Il rango è definito dall’appartenenza alle caste/famiglie generatesi
dai 4 clan totemici maggiori legati, a loro volta, all’importante figura dell’antenato, ovvero a chi avrebbe
dato origine al luogo in cui il
gruppo si sarebbe insediato. Un capo del genere esercita l’autorità all’interno non solo del suo villaggio, ma
anche su altri villaggi che sono suoi tributari ed alleati in caso di guerra.
Egli deve pagare questi servizi servendosi delle sue ricchezze accumulate nel
modo seguente.
Dai villaggi
vassalli il capo prende una moglie la cui famiglia dovrà fornirgli una grande
quantità di prodotto agricolo. Se le mogli diventano molte, è facile capire a
quale livello di ricchezza si possa arrivare: “Attraverso il suo privilegio di praticare la poligamia, il grande capo
è costantemente rifornito di abbondanti ricchezze sotto forma di viveri e di
oggetti di valore che egli adopera per mantenere la sua posizione elevata,
organizzare feste e imprese tribali, pagare i suoi servizi” (71). Il potere
politico svolge la funzione della ricompensa ma anche della punizione. E’
sempre il capo, infatti, ad esercitare il potere giudiziario servendosi della
stregoneria e degli stregoni che la esercitano (raro è il caso in cui la
punizione avviene tramite la messa a morte diretta del colpevole): “Il rango elevato ispira a tutti nei suoi
confronti il più grande ed autentico rispetto e timore reverenziale (…) egli
possiede un alto grado di autorità all’interno del suo villaggio, ma la sua
sfera di influenza si estende molto
al di là di esso. Un certo numero di villaggi sono suoi tributari e per
parecchi aspetti soggetti alla sua autorità (…) la posizione di un grande capo
si può, quindi, capire solo rendendosi conto della grande importanza della
ricchezza e della necessità di pagare qualsiasi cosa, anche quei servizi che
gli sono dovuti e che non possono essergli negati. Questa ricchezza viene al
grande capo dai suoi affini ed è attraverso il suo diritto di praticare la
poligamia che egli effettivamente raggiunge la sua posizione ed esercita il suo
potere” (70). Malinowski riassume le 3 prerogative del capo: il privilegio
poligamico e la ricchezza che se ne ricava; il prestigio derivante dal rango;
il riconoscimento della sua superiorità personale.
4. Origini ed aspetti
dell’influenza
Da queste considerazioni si può ricavare
quanto segue. Per quanto riguarda il lavoro, esso pare influenzato da una serie
di valori e concezioni diffuse a livello collettivo: sono sicuramente di questo
tipo i doveri, le obbligazioni e le credenze magiche. Meno chiara è la
provenienza di elementi quali l’ambizione sociale e la vanità rispetto ad una
concezione, come quella occidentale, che li vorrebbe più espressione di
individualismo che non di collettivismo.
L’influenza esercitata, invece, dal capo di rango, sembra
legata a diversi fattori: l’appartenenza tribale e le origini nobili; la
ricchezza accumulata grazie al privilegio poligamico; il riconoscimento della
superiorità della persona probabilmente legata ai fattori precedenti.
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