mercoledì 28 novembre 2012

UNO STUDIO SU MASS MEDIA. MARCO PACIONI, Derealizzazione ed etica: un saggio 'impolitico' di Giovanni Gurisatti, IL MANIFESTO, 25 novembre 2012






Nel secondo Ottocento e nei primi decenni del Nove lo sviluppo della tecnologia e delle sue applicazioni alla comunicazione e alle arti producono nuovi media e oggetti culturali. Il telegrafo, il telefono, la fotografia, il grammofono, il cinema e poi la radio e la televisione determinano un cambiamento radicale nella ricezione estetica, nella percezione delle cose e della soggettività. Da questo momento i filosofi interessati ai fenomeni che formano il consenso sociale, nonché quelli che studiano in che cosa consiste un’opera d’arte, devono misurarsi con queste novità. La realtà e la finzione, l’originale e la copia, l’autentico e l’inautentico, il naturale e l’artificiale, il fatto e l’interpretazione, la struttura e la sovrastruttura di Marx, a partire da questo momento devono essere pensati anche considerando i mezzi e i prodotti della tecnica. Da un lato la dialettica della maschera in Nietzsche, la sua riflessione sul rapporto extra-morale fra menzogna e verità, nonché la sua idea delmondo come conflitto di interpretazioni; e dall’altro lato la più specifica indagine estetica e politica sui possibili effetti liberanti della fotografia e del cinema in Benjamin, costituiscono il fulcro per lo sviluppo di una riflessione che vedrà avvicendarsi teorie e critiche su questi temi fino ai nostri giorni.
Di questa vicenda il notevole libro di Giovanni Gurisatti, Scacco alla realtà. Estetica e dialettica della derealizzazione mediatica (Quodlibet, pp. 343, € 24,00) offre una costellazione selettiva che mette insieme alcuni dei protagonisti della riflessione mass-mediatica, ora che proprio dall’Italia nuovi realismi filosofici riprendono quota. Oltre a Nietzsche e Benjamin, Gurisatti passa in rassegna anche Adorno, Anders, Debord, Baudrillard, per finire con quella che è la propria tesi, sviluppata attraverso Vattimo e il confronto fra il Foucault delle Tecnologie del sé e uno Schopenhauer attualizzato.
L’intento principale di Gurisatti è quello di definire un’etica delladerealizzazione: una filosofia pratica per una realtà il cui fondamento ontologico e la cui certezza metafisica sono stati scossi e indeboliti. Una realtà che però proprio per lo scuotimento e la debolezza sarebbe «più reale» e offrirebbe maggiori chance di emancipazione e liberazione. In questo atteggiamento propositivo
nei riguardi degli effetti che i mass-media hanno prodotto sull’idea di realtà, Gurisatti si trova in sintonia, pur con profonde differenze, con Nietzsche, Benjamin, Vattimo e Foucault. È invece lontano da Adorno, Anders, Debord e Baudrillard, e cioè da coloro chehanno elaborato una visione tutto sommato negativa del mutamento che i nuovi mass-media hanno provocato nella realtà e nella soggettività. Uno degli aspetti più interessanti della riflessione di Gurisatti è l’emergere continuo di Benjamin quando la discussione tocca l’aspetto della progettualità politica.
In tutti gli altri interlocutori Gurisatti vede una carenza o un’inadeguatezza nel momento in cui la loro proposta di resistenza etica, di rassegnazione apocalittica, di atteggiamento critico o di
abbandono alla derealizzazione massmediatica interferiscono con la politica. Tale inadeguatezza, Gurisatti in parte la ritrova anche nel pensatore più vicino alla sua visione propositiva della derealizzazione e cioè in Vattimo, che pure considera il Benjamin politico dei media, ma lo schiaccia troppo su Heidegger e sul costitutivo indebolimento della realtà che per Vattimo avrebbe la caritas cristiana. Proprio per la sottolineatura del «politico» in Benjamin, sorprende l’approdo finale all’etica del discorso di Gurisatti. Benché si tratti di un’etica a forte propensione collettiva, comunitaria, di «cura est-etica degli altri e delle alterità», sembra però voler indietreggiare riguardo a un più diretto coinvolgimento nel politico, che al massimo potrebbe comparire come
«valore aggiunto». A questo Gurisatti preferisce un’ascesi non cristiana, ma neo-stoica o buddista, la quale però al dunque mostra forse inavvertitamente i tratti di quella disciplina neutralizzante la politica, la soggettività e la realtà che è la governance: «misura in cui», scrive Gurisatti, «governo di sé e governo degli altri fanno tutt’uno».

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