H. KELMAN, DIGNITA’ E DISUMANIZZAZIONE. L’IMPATTO
DELL’OLOCAUSTO SUI TEMI CENTRALI DEL MIO LAVORO - 2001
(…) sarebbe comunque un errore costruire tutta la mia
formazione attorno all’impatto esercitato dall’olocausto sulla mia vita. Ci
sono state molte altre influenze che hanno determinato la mia formazione e i
miei interessi professionali. Per esempio, l’influenza della religione ebraica.
Poi ci sono le influenze della lingua ebraica e yiddish. Verso i 10 anni ero
già orientato verso interessi per le scienze sociali; uno dei miei libri
preferiti era un libro per bambini sull’etnologia; uno degli autori preferiti
era J. Nestroy mentre ero già sensibile agli orrori della guerra e alla
irrazionalità dei pregiudizi sociali. Partecipai, poi, all’esperienza di un
gruppo religioso giovanile sionista che mi introdusse alle idee socialiste e
all’ideologia del kibbutz; poi ci sono le esperienze negli USA con i movimenti
antirazzisti e pacifisti, con la filosofia anarchica e con quella
esistenzialista.
Le problematiche a cui cominciai ad interessarmi divennero
il conformismo e l’obbedienza, il nazionalismo e l’identità nazionale, i
conflitti etnici e le loro soluzioni, l’etica della ricerca sociale.
Il mio lavoro sul conformismo e l’obbedienza mostra meglio
di altri l’influenza dell’olocausto sebbene esso rifletta anche altre
influenze.
I primi lavori mi portarono alla distinzione fra tre
processi di influenza sociale, compliance,
identification e internalization – che ha continuato a
funzionare come fondamento teoretico per altri lavori nel corso degli anni.
I 3 processi di influenza non rappresentano una gerarchia
che si muove a partire da un piano più basso verso l’alto, in senso morale ed
evolutivo. Due o tutti e tre i processi possono aver luogo nella stessa situazione
o relazione. Tutti noi, non importa quanto alto sia il nostro grado di sviluppo
morale, siamo coinvolti allo stesso tempo nei processi di identificazione e di
acquiescenza. Essi sono spesso necessari per potersi sentir-bene e per il
mantenimento dell’ordine sociale. L’interiorizzazione non è sempre buona; è
possibile interiorizzare ANCHE attitudini distruttive
Ancorate ad un sistema di valori che nega la dignità e
l’eguaglianza ad alcune categorie di esseri umani. Poi la distinzione ha anche
un valore connotativo. Essa pone l’accento sui pericoli dell’acquiescenza
automatica, senza considerare quanto i propri interessi impattino sugli
interessi degli altri; e della
identificazione senza considerare quanto una particolare relazione impatti sul
resto della comunità all’interno della quale è inserita.
(…) L’olocausto è sfortunatamente uno dei molti casi storici
contemporanei di genocidio che sono suscettibili di uno studio comparativo da
parte di scienziati sociali e storici. Lo studio di casi differenti ci può
portare più vicini alla comprensione delle cause del genocidio e delle
dinamiche dei processi genocidari cercando i modi per prevenirli. Uno dei modi
per cui sono stato influenzato dall’olocausto è proprio quello legato all’idea
di portare un piccolo contributo a questo processo di comprensione.
(…) i miei studi sul nazionalismo sono stati caratterizzati
dall’attenzione riposta sui pericoli legati all’esclusione.
Un nazionalismo esclusivista può facilmente scivolare verso
la disumanizzazione dell’altro. Quando la linea che demarca l’in-group
dall’out-group diventa … di ogni comunità morale – la comunità i cui membri
hanno il senso dell’obbligazione morale l’uno per l’altro- allra il massacro,
la tortura, lo stupro, la pulizia etnica, il genocidio diventano ipotizzabili e
fattibili. E’ chiaro, allora, che l’olocausto, cominciato con l’esclusione
degli ebrei dalla comunità morale di tanti tedeschi ed austriaci, mi
sensibilizzò nei confronti dell’ideologia nazionalista e dei suoi pericoli.
(…)
Una delle lezioni più importanti che ho tratte
dall’olocausto è la seguente: bisogna essere assolutamente vigili nei confronti
di ogni atto che degrada gli altri principalmente a causa della categoria in
cui sono posti e li esclude da ogni altra comunità morale.
L’etica della ricerca
sociale.
La quarta area di cui mi sono occupato è stata quella
dell’etica della ricerca sociale.
Mi sono accorto che molta della conoscenza che la ricerca
sociale di base ed applicata andava producendo, inclusi gli studi sulla
comunicazione persuasiva e sulla dinamica di gruppo, poteva essere usata con propositi di manipolazione. Mi sono
anche occupato dell’etica della sperimentazione umana. Un primo articolo del
1967, intitolato L’uso umano di soggetti
umani, si occupava dei problemi creati dall’uso estensivo dell’inganno
negli esperimenti socio-psicologici. Molti dei problemi etici sorgono nel
confronto, in termini di potere, che si istituisce fra soggetti sperimentali,
da un lato, e i ricercatori dall’altro, soprattutto il potere di investigazione
di questi ultimi. Occorre essere attenti a non intaccare la dignità umana di
quanti vengono usati nelle ricerche. Anche in questo caso non è difficile
rinvenire tracce dell’impatto che l’olocausto può aver prodotto anche su questo
tipo di ricerca.
Non c’è dubbio che gli abusi nazisti negli esperimenti su
soggetti umani e la loro forte dipendenza dalle teorie razziali propagandate da
scienziati sociali e da biologi a quel tempo hanno contribuito
significativamente a sensibilizzarmi nei confronti di problemi etici.
Nessun commento:
Posta un commento