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Da lì cominciò il viaggio dell'«abito alla Sun Yat-sen» e il passato rimase indietro. Lo indossò il cognato Chiang Kai-shek, il leader nazionalista che di Sun si considerava erede e continuatore. Quando Mao Zedong, l'antagonista di Chiang, si impossessò a sua volta della giacca «alla Sun», aveva attraversato altre stagioni estetiche: l'abito tradizionale fino ai piedi, i cappotti della Lunga Marcia, i pantaloni imbottiti di Yan'an. A proclamare la Repubblica Popolare, il 1° ottobre 1949, Mao era vestito così e, in parallelo, a Taiwan il generalissimo Chiang Kai-shek avrebbe continuato a sua volta ad alternarla alla divisa militare.
La presa di Mao, però, fu più profonda, al punto da usurpare il nome dell'oggetto, diventato «giacca alla Mao» (ma — attenzione — solo per noi occidentali: in Cina è soltanto «alla Sun»). L'indumento, nella nuova Cina comunista, impose una seconda rivoluzione, unificando i sessi. Spazzata via l'era dei qipao dallo spacco peccaminoso e con zero millimetri tra la seta e la pelle, caro all'immaginario orientalista. Rivestite, invece, le contadine dalle stoffe informi che coprivano e basta. La rivoluzione e il potere si materializzarono dunque in una giacca universale di colori neutri, sulla quale spiccava il rosso di spille e mostrine, colore feticcio speculare al giallo dell'imperatore.
La giacca non muore con Mao. Accompagna Deng Xiaoping, rimane addosso ai vecchi rivoluzionari come prova di sobrietà e come memento. Occorrerà arrivare agli anni Ottanta di Hu Yaobang, riformista riformato, e di Zhao Ziyang, epurato ancora più duramente, per vedere leader in giacca e cravatta. Era per dire al mondo che la Cina era scesa finalmente sulla Terra dalla sua orbita distante benché gli ortodossi continuassero a guardare con sospetto i revers e la cravatta. Il berretto, questo sì, «alla Mao» continuò a vivacchiare nelle sacche di nostalgia maoista in giro per l'Asia.
Il segno del potere però non svanisce. La giacca alla Sun appare quando il leader — Jiang Zemin prima, Hu Jintao ora, presto Xi Jinping — agisce come presidente della commissione militare. Nelle ispezioni delle forze armate il capo veste alla maniera dei rivoluzionari di una volta. È tutto il resto a essere cambiato. Oggi la goffaggine dei primi blazer non è meno remota della dinastia Ming. Il grigio Tirana, il nero Bucarest, l'etichetta cucita sulla manica dei burocrati hanno ceduto sotto i colpi della consapevolezza del marchio. Il rango esige il riconoscimento del lusso. Il taglio dei completi di Bo Xilai, stella abbattuta della politica, era esemplare e dei leader si racconta di una certa predilezione per Ermenegildo Zegna. Tutto l'apparato estetico para-rivoluzionario o simil-tradizionale è lasciato agli stranieri in vena di esotismi. A non essere coperte dall'abito del potere sono le donne. Che dalla Cina della politica sono di fatto ancora escluse. Il potere è maschio. Quello femminile però sta nel prendere tutto il resto. E c'è molta più libertà: la rivoluzione non ha più bisogno di divise.
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