Manchester e Londra, da La
situazione della classe operaia in Inghilterra, Rinascita, 1955 (Die Lage
der arbeitenden Klasse in England nach eigner Anschauung und authentischen
Quellen, 1845)
Friedrich Engels nacque a Barmen (Wuppertal) nel 1820, primogenito di
un ricco industriale tessile. Vincolato suo malgrado all’attività familiare,
assunse le vesti atipiche di imprenditore-rivoluzionario, volgendo la sua lunga
consuetudine con il proletariato urbano in critica teorica della società
capitalistica e in organizzazione della lotta politica contro di essa. Dopo il
ginnasio si trasferì a Brema e poi a Berlino (1841), dove iniziò a collaborare
alla “Gazzetta renana”, di cui conobbe il direttore, Karl Marx, diventandone in
seguito amico. A compimento della sua formazione imprenditoriale fu inviato dal
padre a Manchester, nel cotonificio Ermen & Engels, appunto di comproprietà
paterna: questo primo soggiorno inglese si trasformò in un’occasione per
raccogliere una vasta documentazione sulla composizione del proletariato
britannico, da cui sarebbe poi nato La situazione della classe operaia in
Inghilterra, scritto al ritorno in Germania e pubblicato nel 1845. La
collaborazione con Marx prese avvio con gli interventi sugli “Annali
franco-tedeschi”, pubblicati a Parigi nel 1844, e continuò con opere di critica
filosofica (La sacra famiglia, 1844, e L’ideologia tedesca, 1845-46, entrambe
rivolte contro la sinistra hegeliana) e con la redazione de Il manifesto del
partito comunista (1848). Partecipò alla rivoluzione tedesca degli anni
1848-49, fallita la quale riparò in Inghilterra, riprendendo l’attività
industriale e, a partire dal 1864 (Prima internazionale), la militanza
politica, quale figura di primo piano del marxismo europeo. Morì nel 1895.
La situazione della classe operaia in Inghilterra è una delle fonti
più note per la conoscenza della prima rivoluzione industriale inglese, sulla
quale Engels raccolse una grossa mole di materiale documentario. Il libro
esamina la formazione del proletariato industriale, i diversi settori di
lavoro, le associazioni e i movimenti degli operai, e l’atteggiamento della
borghesia nei confronti del proletariato. Il capitolo terzo, di cui
riproduciamo alcune pagine, descrive alcune città industriali.
(…) Manchester
[...] comprende quattrocentomila persone, piuttosto più che meno. La città
stessa è costruita in modo singolare e si potrebbe abitarvi per anni e entrarvi
e uscirne ogni giorno senza mai venire a contatto con un quartiere operaio o
anche soltanto con operai, almeno fino a quando ci si limitasse a seguire i
propri affari o ad andare a passeggio. E ciò deriva principalmente dal fatto
che, per un tacito, inconsapevole accordo, come pure per una consapevole ed
espressa intenzione, i quartieri operai sono nettamente separati dai quartieri
destinati alla classe media, ovvero, dove ciò non è possibile, sono stati
coperti con il manto della carità. Nel centro Manchester ha un quartiere
commerciale abbastanza esteso, lungo circa mezzo miglio, e largo altrettanto,
composto quasi esclusivamente di uffici e di magazzini (warehouses). In tutto
il quartiere non vi sono quasi case d’abitazione, e di notte esso è deserto e
solitario, e solamente i poliziotti di guardia con le loro lanterne cieche
percorrono le sue strade anguste e buie. Questa zona è attraversata da alcune
vie principali, sulle quali si affolla l’immenso traffico, e nelle quali il
pianterreno delle case è occupato da eleganti negozi; qua e là in queste vie
alcuni dei piani superiori sono abitati, e alla sera fino a tardi vi è una
certa animazione. Ad eccezione del quartiere commerciale, tutta la vera
Manchester, tutta Salford e Hulme, una parte notevole di Pendleton e Chorlton,
due terzi di Ardwick e singole strisce di Cheetham Hill e di Broughton non sono
che un unico quartiere operaio, che, simile ad una fascia larga in media un
miglio e mezzo, cinge il quartiere commerciale. Fuori, oltre questa fascia,
abita la media e alta borghesia. [...] Ma il più bello in tutto ciò è che
questi ricchi aristocratici del denaro possono attraversare i quartieri operai
seguendo la strada più diretta per arrivare ai loro uffici al centro della
città, senza neppure accorgersi di passare accanto alla più sudicia miseria che
si stende tutt’intorno. Infatti le strade principali che dalla Borsa conducono
in tutte le direzioni fuori di città sono occupate ai due lati da una fila
quasi ininterrotta di negozi, e si trovano così nelle mani della piccola e
media borghesia, la quale se non altro per motivi di interesse mantiene e può
mantenere un aspetto più decoroso e pulito. [...]
Dirò ancora che gli stabilimenti industriali sono
disposti quasi tutti lungo il corso dei tre fiumi o dei diversi canali che si
diramano per la città, e passo quindi direttamente a illustrare i quartieri
operai. Ecco in primo luogo la città vecchia di Manchester, che si stende tra
il margine settentrionale del quartiere commerciale e l’Irk. Qui le strade,
anche le migliori, sono strette e tortuose, le case sporche, vecchie e cadenti,
e l’aspetto delle strade laterali è assolutamente orribile. Giungendo a Long
Millgate dalla Chiesa vecchia, si ha subito a destra una fila di case
antiquate, nelle quali neppure uno solo dei muri frontali è rimasto diritto;
sono i resti della vecchia Manchester pre-industriale, i cui antichi abitanti
si sono trasferiti con i loro discendenti in quartieri meglio costruiti,
lasciando le case, divenute per essi troppo misere, ad una razza di operai
fortemente mescolata con sangue irlandese. Qui siamo realmente in un quartiere quasi
dichiaratamente operaio, poiché anche i negozi e le osterie non si prendono la
briga di apparire un po’ puliti. Ma questo non è ancor nulla a paragone delle
viuzze e dei cortili che si stendono dietro di esse, e ai quali si arriva
soltanto per mezzo di stretti passaggi coperti attraverso i quali non passano
neppure due persone l’una accanto all’altra. È difficile immaginare la
disordinata mescolanza delle case, che si fa beffe di ogni urbanistica
razionale, l’ammassamento, per cui sono letteralmente addossate le une alle
altre. E la colpa non è soltanto degli edifici sopravvissuti ai vecchi tempi di
Manchester: in tempi più recenti la confusione è stata portata al massimo,
poiché dovunque vi fosse un pezzetto di spazio tra le costruzioni dell’epoca
precedente, si è continuato a costruire e a rappezzare, fino a togliere tra le
case anche l’ultimo pollice di terra libera ancora suscettibile di essere
utilizzata. [...]
In basso
scorre, o meglio ristagna l’Irk, un fiume stretto, nerastro, puzzolente, pieno
di immondizie e di rifiuti che riversa sulla riva destra, più piatta; con il
tempo asciutto su questa riva resta una lunga fila di ripugnanti pozzanghere
fangose, verdastre, dal cui fondo salgono continuamente alla superficie bolle
di gas mefitici che diffondono un puzzo intollerabile anche per chi sta sul
ponte, quaranta o cinquanta piedi sopra il livello dell’acqua. Per di più ad
ogni passo il fiume si trova ostacolato da alti argini, dietro i quali si
depositano e imputridiscono in grandi quantità il fango e i rifiuti. In capo al
ponte, stanno grandi concerie, più sopra ancora tintorie, mulini per
polverizzare ossa, e gasometri, i cui canali di scolo e rifiuti si riversano
tutti nell’Irk, che raccoglie inoltre anche il contenuto delle attigue
fognature e latrine. È facile immaginare, dunque, di quale natura siano i
depositi che il fiume lascia dietro di sé. A piè del ponte si vedono le
macerie, l’immondizia, il sudiciume e la rovina dei cortili che danno sulla
ripida riva sinistra; una casa segue immediatamente l’altra, e, per
l’inclinazione della riva se ne vede di ciascuna un pezzo: tutte nere di fumo,
sgretolate, vecchie, con le intelaiature e i vetri delle finestre in pezzi. Lo
sfondo è formato da vecchi stabilimenti industriali simili a caserme. Sulla
riva destra, più pianeggiante, vi è una lunga serie di case e di fabbriche; già
la seconda casa è diroccata, senza tetto, piena di macerie, e la terza è così
bassa che il piano inferiore è inabitabile e quindi è sprovvisto di finestre e
di porte. Lo sfondo è costituito qui dal cimitero dei poveri, dalle stazioni
delle ferrovie di Liverpool e di Leeds, e dietro ad esse è la casa di
correzione, la «Bastiglia della legge sui poveri» di Manchester, che come una
cittadella guarda minacciosa dall’alto di una collina, dietro alte mura e
merli, verso il quartiere operaio che si trova di fronte.(…)
(…) Non
conosco nulla di più imponente della vista che offre il Tamigi quando si naviga
dal mare verso il ponte di Londra. Gli ammassi di case, i cantieri da ambedue
le parti, soprattutto dopo Woolwich, gli innumerevoli bastimenti che si
ammucchiano sempre più fitti lungo le due rive e da ultimo non lasciano libero
che uno stretto passaggio nel mezzo del fiume, un passaggio nel quale si incontrano
e si sorpassano a vicenda con grande rapidità decine e decine di piroscafi:
tutto ciò è così grandioso, così immenso da dare le vertigini, e si resta
sbalorditi dalla grandezza dell’Inghilterra ancor prima di mettere piede sul
suolo inglese.
Ma è solo in seguito che
si scopre quanti sacrifici sia costato tutto ciò. Dopo aver calcato
per qualche giorno il selciato delle strade principali, dopo esser penetrati
con grande fatica nel brulicare umano, tra le file interminabili di carri e
carrozze, dopo aver visitato i “quartieri brutti” della metropoli, soltanto allora si rileva che questi londinesi hanno dovuto
sacrificare la parte migliore della loro umanità per compiere tutti quei
miracoli di civiltà di cui la loro città è piena, che
centinaia di forze latenti in essi sono rimaste inattive e sono state soffocate
affinché alcune poche potessero svilupparsi più compiutamente e moltiplicarsi
mediante l’unione con quelle di altri. Già il traffico delle strade ha
qualcosa di repellente, qualcosa contro cui la natura umana si ribella. Le centinaia di migliaia di individui di tutte le classi e di
tutti i ceti che si urtano tra loro non sono tutti quanti uomini con le stesse
qualità e capacità, e con lo stesso desiderio di essere felici? E non devono forse tutti quanti, alla fine, ricercare la
felicità per le stesse vie e con gli stessi mezzi? Eppure si passano davanti in fretta come se non avessero
nulla in comune, nulla a che fare l’uno con l’altro, e tra loro vi è solo il
tacito accordo per cui ciascuno si tiene sulla parte del marciapiede alla sua
destra, affinché le due correnti della calca, che si precipitano in direzioni
opposte, non si ostacolino a vicenda il cammino; eppure nessuno pensa di
degnare gli altri di uno sguardo. La brutale
indifferenza, l’insensibile isolamento di ciascuno nel suo interesse personale
emerge in modo tanto più ripugnante ed offensivo, quanto maggiore è il numero
di questi singoli individui che sono ammassati in uno spazio ristretto; e anche
se sappiamo che questo isolamento del singolo, questo angusto egoismo è
dappertutto il principio fondamentale della nostra odierna società, pure in
nessun luogo esso si rivela in modo così sfrontato e aperto, così consapevole
come qui, nella calca della grande città. La
decomposizione dell’umanità in monadi, ciascuna delle quali ha un principio di
vita particolare ed uno scopo particolare, il mondo degli atomi, sono stati
portati qui alle sue estreme conseguenze. È per questo che la guerra sociale,
la guerra di tutti contro tutti, è dichiarata qui apertamente. […] Gli uomini considerano
gli altri soltanto come oggetti utilizzabili: ognuno sfrutta l’altro, e ne
deriva che il più forte si mette sotto i piedi il più debole, e che i pochi
forti, cioè i capitalisti, usurpano ogni cosa, mentre ai molti deboli, ai
poveri, a malapena resta la nuda vita. [...]
Le case sono abitate dalle cantine fin sotto i tetti, sporche di dentro
e di fuori, ed hanno un aspetto tale che nessuno vorrebbe abitarci. Ma questo è
ancora niente di fronte alle abitazioni negli angusti cortili e nei vicoli tra
una strada e l’altra, in cui si entra attraverso passaggi coperti tra le case,
e dove la sporcizia e la rovina superano ogni immaginazione: qui è difficile
trovare un vetro intatto, le mura sono sbriciolate, gli stipiti delle porte e
le intelaiature delle finestre spezzati e sgangherati, le porte sono formate da
vecchie tavole inchiodate insieme o non vi sono affatto, in questo quartiere di
ladri non sono necessarie le porte, poiché non vi è nulla da rubare. Dappertutto sono sparsi mucchi di immondizie
e di cenere, e l’acqua sporca gettata dinanzi alla porta si raccoglie in
pozzanghere puzzolenti. Qui abitano i più poveri tra i poveri, gli operai
peggio pagati, insieme con ladri, furfanti e vittime della prostituzione in un
miscuglio eterogeneo; la maggior parte sono irlandesi o discendenti di
irlandesi, e coloro i quali non sono ancora naufragati nel gorgo della
corruzione che li circonda, tuttavia ogni giorno scendono più in basso, ogni
giorno di più vanno perdendo la forza di contrapporsi all’influsso degradante
della miseria, della sporcizia e dell’ambiente malsano.
Comprensione e
collegamenti
Esistono molte fonti per la descrizione delle città
industrializzate. Metti per esempio a confronto la descrizione di Engels con
quella contenuta nel testo di Mumford di un fiume inquinato nel 1862.
Confronta questa descrizione di Manchester con il
quinto capitolo di Tempi difficili
di Dickens, dove è descritta la città immaginaria di Coketown, prodotto ideale,
in senso negativo, del processo di industrializzazione. Evidenzia i punti di
contatto e le differenze tra i due documenti.
(F. Engels, La situazione
della classe operaia in Inghilterra (1845) Editori
Riuniti, Roma, 1972)
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