Martinelli: la cittadinanza europea antidoto al populismo
Se un tempo per l?Europa si aggirava il fantasma del comunismo, evocato da Karl Marx e Friedrich Engels, oggi lo spettro che turba i sonni della classe dirigente è piuttosto quello del populismo. Si tratta di una minaccia per il processo d?integrazione europea ? scrive il politologo Alberto Martinelli nel suo nuovo saggio ? dal volto «multiforme e variabile», che non risulta affatto «facile da definire».Per la verità gli studi sull?argomento non mancano: dal classico Populismo e democrazia di Yves Mény e Yves Surel (Il Mulino), al lavoro di Marco Tarchi L?Italia populista (Il Mulino), dedicato alla situazione attuale del nostro Paese, fino al recentissimo Il populismo di Loris Zanatta (Carocci, pp. 166, e 14), che collega invece il fenomeno a un?«antica visione del mondo». Senza dimenticare i libri riguardanti singoli movimenti, quali il pamphlet Clic. Grillo, Casaleggio e la demagogia elettronica (Cronopio, pp. 146, e 12) pubblicato in questi giorni da Alessandro Dal Lago. Ma il libro di Martinelli, come suggerisce il titolo stesso Mal di nazione. Contro la deriva populista (Università Bocconi Editore), si distingue per la stretta connessione che individua tra i movimenti antieuropei e la radicata permanenza delle identità nazionali nell?Unione. Un legame che generalmente in Italia non è stato enfatizzato perché da noi appare più tenue che altrove, per la vocazione localista della Lega e per le forti venature cosmopolite della partecipazione digitale vagheggiata da Beppe Grillo.Martinelli invece insiste sul ruolo dello Stato nazionale, da lui definito «la principale innovazione istituzionale della società europea moderna, accanto al capitalismo di mercato e all?università di ricerca». Si tratta di un prodotto relativamente recente, perché connesso «alla formazione dell?economia industriale, della società di massa, e all?espansione della comunicazione culturale». Non siamo insomma di fronte a un ferrovecchio in disuso: la retorica patriottica può sembrare bolsa e antiquata, ma la politica, l?identità, il rapporto tra cittadino e istituzioni continuano ad avere una dimensione nazionale di gran lunga prevalente.Martinelli è un convinto fautore dell?integrazione europea, boccia l?idea di restituire quote di sovranità ai Paesi membri dell?Ue. Ma riconosce che il populismo fa leva su contraddizioni reali, rese stridenti dall?effetto della crisi finanziaria globale sull?euro. Chi geme sotto i colpi della recessione, vive come un grave sopruso il fatto che decisioni destinate a incidere pesantemente sul proprio tenore di vita vengano assunte da organismi privi di legittimazione democratica, espressione dell?algida tecnocrazia di Francoforte e Bruxelles.In effetti, ammette l?autore, è già un?operazione acrobatica «costruire una unione sopranazionale usando gli Stati nazionali come elementi costitutivi». Ma diventa ancora più difficile nel momento in cui alla cessione di sovranità verso il livello europeo, fortemente accelerata dalla nascita della moneta unica, non corrisponde affatto un paragonabile «trasferimento d?impegno e lealtà» delle persone appartenenti ai singoli Paesi verso le istituzioni comunitarie. Senza una vera cittadinanza europea, il populismo ha la strada spianata.Martinelli chiede quindi d?investire nella creazione di una nuova identità, intensificando gli scambi culturali, omogeneizzando i percorsi formativi, attribuendo consistenza politica alla dimensione europea. Auspica per tutti i giovani tre mesi di servizio civile obbligatorio in un Paese dell?Unione Europea diverso da quello di nascita, ipotizza referendum di portata continentale «sulle questioni più importanti dell?agenda politica», invoca l?armonizzazione fiscale, «l?emissione di eurobond» e anche «l?elezione diretta dei leader del governo europeo».Proposte molto radicali, temperate però con il suggerimento di prendere atto che non tutti gli Stati membri sono disposti a incamminarsi su questa via. Si tratterebbe allora di procedere, secondo Martinelli, «verso un assetto a geometria variabile», in cui i Paesi dell?euro realizzerebbero «un federalismo innovativo», mentre gli altri (tipo la Gran Bretagna) rimarrebbero loro partner in «una più ampia associazione di libero scambio», in cui potrebbero più facilmente entrare nuovi Stati come la Turchia.Ciò comporta però una riforma profonda delle istituzioni comunitarie, con la costruzione di un?architettura assai complicata. Che rapporto avrebbero i Paesi esterni all?euro con gli organi di governo dell?Unione? In che misura contribuirebbero al bilancio? Parteciperebbero all?elezione di un vertice comunitario legittimato democraticamente, oppure uscirebbero anche dal Parlamento di Strasburgo? Martinelli non entra in questi dettagli, ma ammette le difficoltà del percorso da lui tracciato. È ovvio infatti che esso andrebbe definito attraverso negoziati complessi e presumibilmente molto lunghi. Mentre l?ondata del populismo antieuropeo bussa alla porta adesso.
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