Spiaggia di Lombok, estate dell’anno scorso. Prima di imbarcarsi su una piccola lancia per il transfer alle minuscole isole Gili, due turiste europee aspettano un po’ spazientite con le mani sulle anche, lanciando occhiate all’impiegato del tour operator locale che assiste il gruppo. Non fatelo mai in Indonesia: è considerato un gesto di sfida nei confronti del vostro interlocutore. Senza arrivare al caso estremo dei turisti arrestati ed espulsi dalla Malesia per aver posato nudi sul monte sacro Kinabalu - e accusati di aver provocato un forte terremoto sei giorni dopo - molti piccoli gesti che in Occidente sono routine quotidiana, in altri Paesi possono causare perlomeno imbarazzo. Il viaggiator cortese sa che l’Oriente non ama la superficialità e - dato per davvero raro il caso degli «spogliarellisti» della Malesia - ci sono molte accortezze che vanno adottate.
Non è più il tempo dell’«innocente» Mark Twain («Gli innocenti all’estero») che con la sua ironia (chiama i visitatori dell’Italia «I nuovi pellegrini») e autoironia precorre di un secolo le frotte di turisti «mordi e fuggi» che poco o niente sanno di usanze e tradizioni altrui; semmai servirebbe l’occhio acuto di uno osservatore come l’inglese Evelyn Waugh che a partire dal suo essere anglo-centrico spiazzato dalle “bizzarrie” etiopi riuscì a creare memorabili pagine satiriche ma anche ricche di riflessioni: «Per me, e per molti migliori di me, c’è un fascino nei luoghi remoti e barbari, e soprattutto in quelli che si trovano in una zona di confine fra culture in conflitto o fra livelli di sviluppo contrastanti: dove le idee, sradicate dalle tradizioni che le hanno generate, subiscono nel processo di trapianto bizzarre trasformazioni».
Alla vista di un bellissimo bambino thailandese un’affettuosa carezza sulla testa è l’ultima cosa da fare perché (non solo in Thailandia ma anche Birmania e in Vietnam) è il punto più sacro del corpo, considerato dalle tradizioni religiose e popolari la sede dell’anima. Se volete invece incrociare le dita in segno di scongiuro in Vietnam lasciate perdere: questo gesto rappresenta i genitali femminili e rivolto a un uomo è una grave offesa.
Il Giappone, proprio per le sue differenze culturali rispetto all’Occidente, è affascinante ma per godersi serenamente la ritualità nipponica le accortezze sono più numerose che altrove, essendo un paese dove è facile incorrere nella «gaffe culturale». Nell’apprestarsi a un brindisi con una bevanda alcolica non esclamare «cin cin»: è un suono che in giapponese ricorda la parola che descrive l’organo sessuale maschile. «Kanpai» è la formula nipponica per il brindisi ed è il padrone di casa che versa da bere all’inizio del pasto. L’etichetta poi prevede che si faccia attenzione ai bicchieri dei commensali vicini, per poterli riempire prima che siano vuoti, concludendo col proprio. Dalla tavola a un albergo (ad esempio) lasciare il passo a una donna in segno di gentilezza non è contemplato ma è invece da riservare alle persone più anziane e di sesso maschile.
Nei meandri della medina di Marrakech o Fès è facile, anzi facilissimo, che i venditori vi offrano un thé dopo una breve conversazione, ma se non siete interessati all’acquisto declinate con gentilezza. Mai rifiutare un «shay» in un contesto conviviale, è un atteggiamento offensivo per il vostro ospite marocchino; un modo di comportarsi che si estende a tutti i paesi arabi; anche in Senegal il rito del thé è una forma usuale di ospitalità casalinga. Se siete in Medio Oriente, India o in molti paesi africani, fate attenzione a non usare la mano sinistra quando si mangia poiché è considerata impura. Ma anche vicino a noi, in Grecia, basta poco per essere fraintesi: indicare per qualsiasi necessità il numero cinque con il palmo aperto o voler intendere un deciso «basta!» è l’esatta riproduzione del gesto moutza (palmo verso l’interlocutore con le dita estese), offensivo come il dito medio alzato. Ma non si vive solo di gaffe e fraintendimenti e un italiano sorride pensando che il popolare «gesto dell’ombrello» ha varianti in mezzo mondo: chiamato «banana» in Brasile, «botifarra» in Catalogna e come «gesto di Kozakiewicz» in Polonia dall’atleta Władysław Kozakiewicz che lo rivolse al pubblico russo dopo essersi aggiudicato una medaglia d’oro.
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