Non è semplice provare ora a bocce non proprio ferme, ma già militarmente instradate verso il loro lido sicuro, parlare della riforma della scuola, così come è passata grazie al voto di fiducia in Senato e come si appresta ora a passare, senza turbolenze di sorta, alla Camera. E non è semplice perché la questione sembra coinvolgere solo marginalmente la scuola, le sue dinamiche specifiche, l’idea di formazione che questa normativa in qualche modo veicola, e coinvolgere invece molto di più i rapporti di forza politici che su di essa hanno preso corpo.
Sul piano politico pare chiaro a tutti che ha vinto Renzi; rispetto a chi sperava che questa prova portasse a un indebolimento del governo, sembra che il governo ne sia uscito invece rafforzato. Ma è davvero così? E’ davvero più forte un governo che per far passare una riforma della scuola (cioè l’ambito su cui si gioca per molti il futuro di questo come di ogni Paese) è disposto a mettere la fiducia piuttosto che discutere, cercare di capire, trovare un equilibrio con la quasi totalità degli insegnanti lì a dire che così non va bene? Ovviamente si dirà che il governo ci ha provato eccome a discutere, ma che si è trovato di fronte solo il muro, solo un no preconcetto, solo ostruzione.
Eppure chiunque può verificare che se c’è stata forse discussione, questa non ha di fatto coinvolto il mondo della scuola, in nessuna delle sue componenti. E la farsa della consultazione online – strumento con il quale Renzi, in questo in linea con tutti i populismi, cerca di far fuori tutti i corpi intermedi per trovare una legittimazione diretta negli individui coinvolti – che chiedeva di esprimersi su quel documento imbarazzante che era la Buona Scuola e di cui non si è poi sentito più nulla ne è di fatto testimonianza. Per cui a chi dice che sindacati e insegnanti hanno perso una buona occasione per farsi partecipi di un processo di riforma della scuola, viene da dire che ad aver perso un’occasione, attraverso questa azione di forza, è stato proprio il governo. Renzi dice sempre che a lui va benissimo discutere, ma che alla fine bisogna decidere.
E ha ragione da vendere, nel dire questo. Anzi, direi di più: quello che ci si aspetta da un governo minimamente di centrosinistra è proprio la forza di mostrare che si può decidere discutendo. Che anzi si deve decidere passando attraverso le forche caudine della discussione più aspra, nella convinzione che, passandovi attraverso, ne emerga la decisione più condivisa, che tiene conto anche delle ragioni di cui non si era prima tenuto conto, nella quale, se si è forti, ci si dimostra anche in grado di tornare indietro e ripensare ciò che si riteneva essere, forse frettolosamente, ponderato. Se invece in nome del totem decisionale si è disposti a sacrificare tutto, si fa una politica presumibilmente efficace ed efficiente, la quale però è, dignitosamente, la politica della destra.
L’alternativa, caro Renzi, non è semplicisticamente tra chi si assume il peso e la responsabilità della decisione e chi pur di non assumersi questo peso e questa responsabilità è disposto a chiacchierare all’infinito lasciando di fatto le cose così come stanno. Se si vuole parlare seriamente del funzionamento del potere e non semplicemente della sua rappresentazione, l’alternativa è fra chi ritiene che la decisione debba essere partecipata e condivisa (e questo è ciò che caratterizza in termini molto generali la sinistra e che rende anche terribilmente difficile essere di sinistra) e chi invece ritiene che la decisione debba essere imposta e che anzi quanto meno i soggetti implicati dall’atto decisionale sono coinvolti nell’elaborazione dello stesso, tanto meglio sarà per ciò che viene deciso (e questo è ciò che caratterizza la cultura politica della destra, da sempre, proprio per questo, più efficiente).
Per questo, se un governo il cui leader è anche il leader del maggiore partito della sinistra (ammesso che in questa vecchia categoria in qualche modo si voglia ancora riconoscere) è costretto a imporre una decisione attraverso quell’atto di forza che è il voto di fiducia e contro la quasi totalità dei lavoratori della scuola, questa è evidentemente un’occasione persa per il governo, un giorno triste per l’idea stessa di una sinistra di governo, il segno di una sconfitta per coloro che ritengono che non solo si possa, ma si debba coniugare decisione e partecipazione, responsabilità e condivisione.
Una questione, quella che chiama in causa il nodo complicato tra decisione, responsabilità e partecipazione, che è peraltro presente anche all’interno del testo sulla scuola, in relazione al potere dei dirigenti scolastici, in relazione cioè a quelle figure del preside-sindaco o preside-sceriffo di cui si è forse fin troppo parlato mettendo sullo sfondo aspetti molto più problematici e ben più radicali presenti nella legge, come la questione, davvero tutta retorica, e tuttavia gravida di conseguenze che saranno nefaste, della valutazione.
L’idea di dare maggiore potere discrezionale ai presidi non è di per sé scandaloso. E la ratio che sta dietro a un’idea di questo tipo è anche condivisibile nella misura in cui essa mira a creare appunto dei centri di responsabilità; nella misura in cui essa cerca di mettere nelle mani di qualcuno che deve anche risponderne una possibilità decisionale e giocoforza discrezionale. Ma questi soggetti in realtà risponderebbero davvero, sarebbero cioè davvero soggetti di responsabilità se fossero eletti, se fossero cioè sottoposti alla verifica concreta dei diversi attori in campo nella scuola. Fuori da questo c’è solo la competizione, il mercato, che necessariamente porterà a scuole di serie A che saranno sempre più di serie A e scuole di serie B che saranno sempre più di serie, C, D, ecc.
Claudio Giunta, in un articolo su Internazionale nel quale si dice contento che la legge sia passata anche se nella legge, così scrive, non c’è quasi nulla di buono, riconduce l’opposizione massiccia dell’opinione pubblica di sinistra a questo provvedimento (anche se la sensazione è che non tutto il personale della scuola che si opponeva fosse di sinistra) a una diffidenza nei confronti del potere che sarebbe tipica di certa sinistra e in generale a un’idea “democratica” del potere che egli trova “nefasta”.
E forse qui si gioca un discorso che va davvero al di là della questione delicatissima e per questo complicatissima della scuola. Si gioca un discorso che riguarda davvero la possibilità di una sinistra di governo; la quale, a seguire il discorso di Giunta, per mostrarsi davvero capace di decisione dovrebbe in qualche modo farsi destra. Come se il potere fosse qualcosa che o è autoritario o non è. Il che magari può anche essere. Ma dicendolo si deve anche essere consapevoli che ciò a cui si è rinunciato è alla possibilità stessa di qualcosa come la sinistra. Basta dirlo.
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