martedì 28 febbraio 2023

DEPRESSIONE CONSUMO DI FARMACI IN EUROPA. DUSI E., Depressione, uso dei farmaci raddoppiato in Europa. E presto spazio agli allucinogeni, REPUBBLICA, 28.02.2023

 Abbiamo raddoppiato gli sforzi. La depressione però non siamo riusciti a scacciarla. Se nel 2000 per star meglio avevamo chiesto aiuto a 30,5 pasticche (calcolate fra quelle assunte in un giorno ogni mille persone), nel 2020 siamo saliti a 75,3, con un aumento in vent’anni del 147%.

L’Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha misurato il consumo degli antidepressivi in Europa dal 2.000 a oggi. La sua statistica è stata ripresa da Euronews, che l’ha affiancata alla mappa della prevalenza della depressione nei vari paesi.


Il paradosso del Nord Europa

Sarà forse effetto della scarsità di luce, ma al primo posto per uso dei farmaci ci sono i paesi nordici: l’Islanda con 153 dosi, la Gran Bretagna con 108 e la Svezia con 105. In mezzo, al secondo posto, spicca l’eccezione del Portogallo con 131. L’Italia, con 39 dosi e un aumento del 14%, resta sotto alla media europea.

L’aspetto strano è che i paesi in cima alla classifica per consumo di farmaci sono anche quelli che si dichiarano più soddisfatti della loro vita. L’Islanda ad esempio nel 2020 era al secondo posto nel World Happiness Report, il rapporto sulla felicità nel mondo. La Svezia è al sesto posto per soddisfazione, ma al quarto per uso di antidepressivi, con 105 dosi giornaliere per mille abitanti.

La scarsità di luce man mano che ci si avvicina al polo c’entra, ma fino a un certo punto, secondo Alfonso Troisi, che insegna Psichiatria all’università di Roma Tor Vergata. “Il contesto sociale conta molto. La depressione va spesso a braccetto con solitudine e mancanza di affetto”.

I misteri della depressione

Il paradosso dei paesi nordici allora ci porta dritti al perché nemmeno una razione doppia di farmaci oggi riesca a scacciare la tristezza profonda. “La realtà è che non abbiamo una definizione soddisfacente di depressione” ammette Troisi. “Né conosciamo con precisione le sue cause o il meccanismo che la genera. E’ come se volessimo trattare il diabete senza saper bene se è di tipo 1 o 2 o da cosa sia provocato”.

Il risultato è che nessuno degli antidepressivi in uso oggi – alcune decine – ha un’efficacia convincente. Le revisioni sulla loro capacità di migliorare la condizione dei pazienti si aggirano tra il 30% e il 60% delle persone trattate.

“Usiamo la parola depressione – prosegue lo psichiatra – come usiamo la parola febbre: dietro a una singola espressione si nascondono condizioni di origine e gravità diversa. I farmaci che abbiamo per combattere la depressione poi non sono nati dalla conoscenza dei meccanismi del cervello. Per caso, a partire dagli anni ’50, abbiamo notato che alcune sostanze messe a punto per usi diversi erano efficaci anche contro i sintomi psichiatrici”.

Maggiori informazioni sulla sicurezza di questi farmaci, l’allargamento delle prescrizioni anche ai medici di famiglia, la tendenza che abbiamo a dirci depressi anche senza saper dare contorni precisi al nostro malessere sono allora i fattori che hanno fatto più che raddoppiare le dosi delle pillole contro il dolore psicologico.

La promessa degli allucinogeni

Il problema di fondo della depressione – non sappiamo cos’è, né da dove nasce – resta intatto però anche con l’arrivo di una categoria completamente nuova di farmaci. Quelli che fino a ieri erano chiamati droghe o allucinogeni.

Psilocibina (il principio attivo dei funghi magici), Lsd, Mdma (più nota come Ecstasy) e l’anestetico ketamina sono da alcuni anni testati come antidepressivi, per combattere le dipendenze o alcuni disordini alimentari. In diversi casi hanno anche ricevuto l’approvazione delle autorità regolatorie e possono essere comunemente usati nella cura dei pazienti.

Gli Stati Uniti in questo sono più avanti, ma anche in Europa nel 2019 è stato autorizzato un farmaco – Spravato – a base di ketamina (o esketamina, come è anche conosciuta). E’ uno spray nasale riservato ai casi più gravi di depressione che non hanno tratto benefici dai farmaci tradizionali. La particolarità è che il paziente deve restare nello studio dello psichiatra, sotto osservazione, fino a quando l’azione della sostanza non è terminata: anche per diverse ore.

Da droga a farmaco

“Il rischio è che la persona cada in uno stato dissociativo. Per questo è necessaria la supervisione medica” spiega Troisi. “Nel Regno Unito una sperimentazione con la psilocibina richiedeva la presenza di ben due psichiatri. Se ci si pensa, è quel che avviene quando nelle società tradizionali si somministrano allucinogeni sotto la guida di uno o più sciamani”.

Dopo tante pillole inghiottite, però, ha senso oggi tornare agli sciamani? Per Troisi cercare strade nuove potrebbe rivelarsi utile. “Anche se non vedo come, dal punto di vista pratico, si possa somministrare su larga scala un farmaco che ha bisogno della presenza continuativa di un medico”.

Anche il confine tra droga e farmaco, secondo lo psichiatra, è meno granitico di quanto si pensi. “La ricerca su alcuni psicofarmaci, ad esempio gli antidepressivi dopaminergici, è stata frenata in passato dal timore che queste sostanze diventassero droghe d’abuso. Allo stesso tempo però negli anni ’60 si era diffusa la psichiatria degli allucinogeni. Diversi psicoterapeuti ritenevano che la loro assunzione da parte dei pazienti facilitasse l’esplorazione psichica”.

Nessun tabù quindi. Anche perché l’arrivo di funghi magici o Ecstasy in Europa, probabilmente, è solo questione di tempo. “Ma poi tanto altro tempo servirà per capire la vera efficacia di questi nuovi antidepressivi” avverte Troisi. “Ogni categoria di farmaci suscita grandi entusiasmi all’inizio. Poi le aspettative vengono spesso smussate dal passare degli anni”. La vera sfida, nel frattempo, non sarà solo provare a curare la depressione. Ma anche capire cos’è.

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