L’autrice dell’articolo (Daniela Ovadia, Donare una parte, Mente&cervello, 106, 2013, pp. 76-83) cerca di chiarire alcuni dei motivi che starebbero alla base degli atteggiamenti di difficoltà e di rifiuto nei confronti della donazione di organi.
Le difficoltà di fronte alla donazione
degli organi e la rappresentazione sociale diffusa della malattia e della morte
Componenti religiose e sfiducia nel sistema
sanitario
In primo luogo “una
certa difficoltà, non priva di
connotazioni superstiziose, a parlare della propria morte o a considerarla come
un evento che va affrontato in modo razionale”. Sulla base di questa
riluttanza sono pochissime le persone che hanno il tesserino di una
associazione di donatori oppure la tessera di donatore compilabile on line sul
sito del ministero della salute. E’ la stessa ragione per cui gli italiani,
ancora in vita, non esprimono le proprie volontà riguardo al testamento, ai
lasciti o a direttive anticipate in materia di cure di fine vita.
Di queste cose non si parla neppure in famiglia che sembra
costituire “l’ostacolo principale alla donazione di organi non solo in Italia,
ma un po’ in tutto il mondo” (78).
Una ricerca
effettuata negli USA (1990-2008)
mostra che le motivazioni addotte al rifiuto della donazione di organi sono
tutte legate alle componenti religiose, molto più potenti in USA che non in
Italia: “Il rifiuto della donazione dipende, spesso, dalla volontà di mantenere
l’integrità del proprio corpo anche dopo la morte per arrivare, in sicurezza,
alla vita eterna. Alcuni sono convinti che il prelievo di parti del corpo sia
in contrasto con i rituali di sepoltura della propria religione. Spesso i
partecipanti percepivano la donazione di organi come un gesto contrario alla
volontà di Dio o di un’altra entità superiore” (80).
In Italia le
motivazioni sono diverse. Accanto a quelle religiose ce ne sono altre legate
alla scarsa fiducia di cui gode il sistema sanitario: “I casi di cronaca che
coinvolgono episodi di malasanità o addirittura di commercio d’organi
influenzano molto anche la decisione in vita” (80). Una sfiducia, questa, non
solo italiana, ma verificata anche in Paesi come l’Australia.
Necessità di tradurre
i concetti medici specialistici nel linguaggio del ‘senso comune’
C’è, inoltre, un
altro motivo, interessante proprio dal punto di vista della questione relativa
alle rappresentazioni sociali: “Sia i singoli, sia i familiari hanno difficoltà
a comprendere il concetto di ‘morte cerebrale’, così diverso dal sentire comune
secondo il quale è cadavere solo il corpo nel quale il cuore non batte più”
(80). Nel saggio contenuto nel rapporto “La
donazione in Italia” (Springer, 2011) gli autori scrivono che “spesso i
familiari, in particolare, si creano un’immagine mentale fantastica sulla
reversibilità delle condizioni cliniche del loro congiunto e sul trapianto in
base alle modeste ed incomplete informazioni in loro possesso. Le loro
conoscenze derivano solo dalle informazioni pubblicate dai giornali e dal
riviste oppure diffuse dai media che non vengono presentate in maniera adeguata
e corretta. La scarsa accuratezza con cui le informazioni vengono divulgate ha
generato, e genera ancora, non poca confusione fra gli stati di coma, la morte
cerebrale e altre situazioni patologiche come il coma vegetativo cosicché la
paura di consentire il prelievo quando ancora tutte le speranze di
sopravvivenza sono perse è molto frequente” (80).
Molti studi
effettuati in materia dimostrano che un basso livello socio-culturale può
essere un ostacolo alla donazione sia da parte del singolo sia dei familiari,
proprio per via della complessità dei concetti medici legati a questa pratica.
Una dimostrazione del fatto che l’educazione può cambiare le cose viene dalla
Turchia dove la disponibilità verso la donazione ad estranei è particolarmente
bassa e 3 organi trapiantati su 4 – in particolare fegato e reni- provengono da
parenti stretti. Tonguc Ylmaz,
membro di un centro di trapianti di Ankara, ha chiesto ad un gruppo di maschi
musulmani di diversa estrazione sociale che cosa pensassero della donazione e
quali conoscenze avessero già sull’argomento. In seguito i partecipanti hanno
ricevuto una formazione sul trapianto d’organi ed informazioni sulle leggi in
materia. Per esempio è stato spiegato loro che cosa stabiliscono le norme in
vigore, quali parti del corpo si possono donare, quale posizione abbia il
Corano sull’argomento o che cosa significano termini medici come ‘morte
cerebrale’. All’inizio della ricerca più della metà degli intervistati
rifiutava la donazione di organi, mentre dopo due mesi la quota era scesa ad un
ottavo. Inoltre quasi tutti erano capaci di spiegare con parole proprie il
concetto di ‘morte cerebrale’” (83).
Nessun commento:
Posta un commento