DIFFICILE dire se abbia ragione il ministro Pisanu, quando afferma che la prima causa di morte per tante persone anziane più ancora del caldo è la solitudine. Certo è che i due fenomeni insieme formano una specie di nodo scorsoio, che letteralmente toglie il respiro, toglie la vita.
Sono fenomeni diversi fra loro, ovviamente; ma qualcosa li
accomuna, e perciò risultano esiziali nel momento in cui si manifestano
contemporaneamente. In comune la solitudine dei vecchi e l’attuale
ondata di caldo hanno il fatto che non sono calamità naturali, bensì il
prodotto di comportamenti umani. Questo vale naturalmente per la
solitudine: se i nostri vecchi sono soli, è perché li lasciamo soli, o,
peggio, li trattiamo come pesi di cui liberarsi in modo più o meno
ipocrita, sia che li scarichiamo gli uni agli altri sia che li affidiamo
ad estranei. Ma vale anche per il caldo. Un caldo tanto anomalo, come
dovremmo ormai sapere anche se un certo negazionismo pseudoscientifico
sostiene il contrario, è il frutto di un consumo energetico che il Pianeta
non è in grado di assorbire se non surriscaldandosi. Non è il clima a
essere impazzito. Semmai i pazzi siamo noi, che stravolgiamo le condizioni
di vita sulla Terra fino a mettere a repentaglio la nostra sopravvivenza.
Ma c’è dell’altro. Non ci vuol molto per ammettere che di fronte alla
solitudine che affligge gli anziani, così come di fronte al caldo che
affligge tutti, dovremmo sentirci colpevoli. Infatti siamo noi a portarne
la responsabilità, e non la natura. Questo doppio flagello è opera nostra.
Eppure facciamo finta di niente, o quasi. La coscienza comune accetta
tranquillamente, come se fossero innocenti, stili di vita che gridano
vendetta: e tra questi c’è lo sfruttamento scriteriato delle risorse
naturali, ma anche l’abuso della tecnologia, e prima ancora l’idea che gli
abitanti della Terra abbiano diritto di restarci solo se servono. Del
resto, chi è senza peccato scagli la prima pietra. Che senso ha
lamentarsi, se troviamo del tutto normale affidare la vecchia madre alla
badante (o, peggio ancora, parcheggiarla in ospedale) e partire per le
vacanze al mare, dove ci aspetta una casa con l’aria condizionata? Nessuno
può tirarsi fuori. Troppo a lungo abbiamo creduto di autoassolverci
invocando la tecnica, il progresso, le trasformazioni sociali, e così via.
Tutte cose vere, sia chiaro. E a cui dobbiamo far riferimento, se vogliamo
capire il mondo in cui viviamo. Prendendo atto ad esempio che la famiglia
oggi non è più quella di una volta, comunque non è più quella società di
mutuo soccorso che era. Oppure riconoscendo che certi agi o certi bisogni
sono diventati ormai come una seconda pelle. D’accordo. Purché non si
faccia confusione sul punto essenziale. E il punto è la
disumanizzazione del mondo. I grandi processi in corso, si dice, sono
governati da immensi apparati anonimi. Che mettono l’uomo fuori gioco. O
lo rendono succube di potenze troppo più grandi di lui, potenze disumane e
disumanizzanti. In realtà è vero il contrario. Ciò che un tempo incombeva
sull’uomo e si abbatteva su di lui come da un altro mondo, oggi è opera
sua. Fenomeni come la siccità, o la desertificazione di intere regioni, o
qualsiasi altra perturbazione climatica, non dipendevano dall’uomo, ma
dalla natura, su cui l’uomo non poteva nulla. Lo stesso si deve dire di
fenomeni come la vecchiaia, con il carico di solitudine e di disperazione
che essa comporta: tutto ciò in altre epoche apparteneva all’ordine
naturale delle cose piuttosto che alla buona o alla cattiva volontà
dell’uomo. Invece oggi sono precisamente questi i fenomeni dietro i
quali noi vediamo immediatamente un volto d’uomo. E giustamente. Infatti
sono cosa interamente sua: è lui a scatenare il caldo, è lui a lasciar
morire i suoi vecchi di solitudine. Se poi questo volto d’uomo ha
tratti di disumanità, la risposta è una sola: è l’uomo (non la natura, non
la tecnica) a farsi disumano. Peggio per lui, se non interviene ad
aggiustare la rotta.
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