L’etologo studiava i babbuini per capire meglio la natura della nostra specie, compresi i comportamenti sociali. Perché la filosofia non si può comprendere senza la scienza. E le disuguaglianze sono contrarie all’evoluzione
Chissà che cosa avrebbe pensato delle elezioni farsa in Russia il primatologo Frans De Waal, morto il 14 marzo ad Atlanta. In uno dei suoi libri più belli (Primati e filosofi, Garzanti, 2008), scriveva: «Ai biologi piace tanto un giocattolo come la matrioska. Possiedo una bambola che all’esterno raffigura il presidente russo Vladimir Putin e al cui interno si scoprono nell’ordine Eltsin, Gorbaciov, Breznev, Krusciov, Stalin e Lenin. Scoprire dentro Putin un piccolo Stalin difficilmente stupirà la maggior parte degli analisti politici. La stessa cosa succede per i tratti biologici: il vecchio rimane sempre presente nel nuovo» (p. 44).
Nei tempi che viviamo, con due guerre drammatiche e la sostanziale cecità del mondo sulle altre guerre e la catastrofe climatica, la tentazione di pensare che l’etica non sia che una posa, una specie di patina di rispettabilità fragilissima, è forte. Dentro Putin c’è Stalin. E alla base di tutto c’è la natura bestiale e crudele degli esseri umani. Ma De Waal ha combattuto tutta la vita proprio contro quest’idea.
LA NATURA DELL’ETICA
Nei suoi taccuini, Charles Darwin scrisse che l’origine degli esseri umani e il mistero del senso morale si sarebbero potuti capire solo spiegando il comportamento dei babbuini.
Partendo da migliaia di osservazioni del comportamento dei primati, De Waal ha mostrato che le scimmie antropomorfe sono altruiste, compassionevoli e persino giuste. Certe scimmie si rifiutano di tirare la catenella che fa arrivare il cibo nella gabbia se, facendolo, un loro simile verrà colpito da una scossa elettrica. Dei macachi si sono letteralmente lasciati morire di fame pur di evitare di infliggere dolore a un compagno.
Gli scimpanzè si spartiscono il cibo preferendo chi li ha favoriti, per esempio chi più frequentemente ha fatto loro il cosiddetto grooming, cioè la pulizia del mantello o della pelle per liberarli da parassiti fastidiosi. Le scimmie cappuccine, che sono capaci di realizzare piccoli baratti (per esempio, riportare un piccolo oggetto in cambio di cibo), odiano le ingiustizie: reagiscono rabbiosamente se viene dato loro un pezzo di cibo più piccolo rispetto alla compagna che ha fatto lo stesso lavoro.
Questi animali giudicano la ricompensa facendo confronti con gli altri: il meccanismo dei nostri giudizi sull’importanza dell’eguaglianza è già presente nelle scimmie, dunque. Non solo la disuguaglianza, il dominio del più forte, le classi e le caste non sono affatto naturali.
Naturali sono l’eguaglianza, la reciprocità, la compassione. Le forme elementari dell’etica – rispetto degli altri, empatia, giustizia – sono un fatto naturale, che troviamo nei babbuini e nelle scimmie bonobo e negli esseri umani.
L’UMANO NON È ECCEZIONALE
E non c’è nulla di strano in questo. Per animali sociali e dipendenti dai loro simili, come i primati e come gli esseri umani, sarebbe impossibile vivere senza cooperare e senza farlo altruisticamente e con un minimo di reciprocità. Queste spinte alla solidarietà sono quello che ha consentito agli animali sociali di sopravvivere.
Darwin l’aveva capito e De Waal più di tutti ne ha trovato conferme: la differenza di intelligenza fra noi e gli animali non umani non è una differenza di capacità morali, anche perché solo animali che si aiutano reciprocamente potevano evolversi con successo.
Non c’è nessuna eccezionalità dell’umano: tutte le parole che usiamo per descrivere e giudicare i nostri comportamenti e i nostri sofisticati pensieri si sono sviluppati su una base di emozioni che condividiamo con i nostri parenti prossimi nella scala evolutiva e con la maggior parte degli animali.
Per tutta la sua vita, e in molte pagine bellissime, De Waal ha raccontato storie tenere di amicizia e compassione fra animali e fra animali e umani. In tutte le sue opere ci ha mostrato la continuità fra noi e loro (per esempio, in L’ultimo abbraccio, Raffaello Cortina, 2020). L’etica non è una nostra invenzione, fragile e artificiosa: è un collante dei meccanismi della vita animale, un collante fatto di sentimenti, non di ragionamenti o idee astratte.
SOLO PREGIUDIZI
L’indagine della moralità dei nostri parenti primati ci aiuta a capire i confini dell’etica. Ci sono buone e cattive notizie. La buona notizia è che molte delle cose che crediamo morali sono solo pregiudizi.
De Waal lo scrive nella solita maniera brillante in Primati e filosofi: «Il campo d’azione della moralità è aiutare o non arrecare danno agli altri. Qualsiasi cosa che non sia in rapporto con queste due cose esula dalla moralità. Coloro che si appellano alla moralità in rapporto, per esempio, ai matrimoni tra persone dello stesso sesso o alla visione di un seno nudo in televisione in prima serata, stanno semplicemente cercando di occultare le convenzioni sociali sotto un linguaggio morale. Poiché le convenzioni sociali non necessariamente ancorate ai bisogni degli altri o a quelli della comunità, spesso il male che si compie trasgredendole è opinabile» (p. 194).
Aiutare o non danneggiare. Chissà come cambierebbe la nostra vita sociale se ci limitassimo a questo. Pensare a regolare come si nasce – se da parto biologico o in provetta –, come si crescono i figli – padre o madre biologica o intenzionale – e come si muore – fra molte sofferenze, o quando lo si decide – guardando solo chi si aiuta e chi non si deve danneggiare. Che rivoluzione!
GLI INSEGNAMENTI DELLA SCIENZA
La cattiva notizia è che, alla fin fine, la moralità è un affare di gruppo. Siamo naturalmente portati a privilegiare i nostri simili, i membri del gruppo di chi condivide con noi forme di vita, risorse, imprese.
Come scrive De Waal: «Visto quanto il privilegio riservato al proprio gruppo ha servito efficacemente l’umanità per milioni di anni, e quanto efficacemente ancora ci serve, è impossibile che un sistema morale mostri pari considerazione nei confronti di tutte le forme di vita sulla terra. Il sistema deve stabilire delle priorità. La moralità si è evoluta innanzitutto per avere rapporti con la propria comunità e solo di recente ha cominciato a includere i membri di altri gruppi, l’umanità in genere e gli animali non umani. Quest’espansione risulta condizionata dalla disponibilità economica, vale a dire che i cerchi si possono allargare in tempi di abbondanza, ma si restringeranno inevitabilmente nel momento in cui le risorse si assottiglieranno» (pp. 195-6).
La nostra difficoltà a concepire il dolore delle generazioni future, a ricordarci delle molte altre guerre del mondo, a provare solidarietà con tutte le vittime, la nostra prontezza a dividerci e prendere parte per chi sentiamo nostro simile – occidentale, ebreo, palestinese, russo, ucraino – è spiegata benissimo da queste parole.
E uno studioso come De Waal è più utile di mille predicatori e pensosi censori. De Waal diceva che la morale non si poteva lasciare in mano ai filosofi. Intendeva i filosofi digiuni di scienza, o avversi alla scienza. Per tutta la vita ha lavorato con filosofi che hanno riflettuto sui risultati delle scienze naturali. Se c’è una via per capire il mondo e migliorarlo, è seguire le sue orme.
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