Nel 2013 Guy Birenbaum lavora alla radio. Per produrre un minuto e 30 di trasmissione nel prime time della mattina Guy sta al computer fino a mezzanotte e si sveglia prima delle cinque; per tutta la giornata twitta, instagramma, naviga. Quando accompagna le figlie a scuola, «non so dire come scendo le scale a chiocciola di casa, né chi porto davvero a scuola.
All’orecchio sinistro passo tra Europe 1 e le altre radio, al destro mia moglie Géraldine cerca, forse, di parlarmi. O magari è una delle mie figlie. Grugnisco qualcosa. 8h30. Non ho visto né ricordo quasi niente di quel che ho fatto in quei dieci minuti di pilota automatico». La sera, Guy dà un bacio della buonanotte alle bambine e Géraldine racconta loro una storia. Lui mangia da solo, davanti al pc.
Guy Birenbaum, 53 anni, è uno degli opinionisti più seguiti dei media francesi, fa parte della nuova «editocrazia»: c’è stato un tempo non lontano in cui twittava decine di volte al giorno per i suoi follower (oggi 145 mila), scriveva una rubrica quotidiana «modestamente intitolata “le ore 13 di Guy Birenbaum”» e soprattutto controllava di continuo le notifiche sullo smartphone per verificare se c’erano novità da commentare. Quel Guy Birenbaum, un giorno, non è riuscito ad alzarsi da letto. È crollato.
Guy Birenbaum, 53 anni, è uno degli opinionisti più seguiti dei media francesi, fa parte della nuova «editocrazia»: c’è stato un tempo non lontano in cui twittava decine di volte al giorno per i suoi follower (oggi 145 mila), scriveva una rubrica quotidiana «modestamente intitolata “le ore 13 di Guy Birenbaum”» e soprattutto controllava di continuo le notifiche sullo smartphone per verificare se c’erano novità da commentare. Quel Guy Birenbaum, un giorno, non è riuscito ad alzarsi da letto. È crollato.
« Vous m’avez manqué - Histoire d’une dépression française » (Arènes) è il libro appena uscito nel quale Birenbaum racconta la sua ri-connessione alla vita, al prezzo di una depressione dalla quale è uscito grazie a «amore, amicizia, psichiatria e farmaci». Non è affatto un libro del genere catastrofico-luddista anti-Internet, e questo lo rende più interessante. «La mia iper-connessione è stata un sintomo della malattia, non la causa: la sofferenza esisteva già. Il web e le sue applicazioni non hanno fatto altro che moltiplicare il malessere, ma sarebbe stupido dare la colpa allo strumento. Il problema era come io lo usavo, e cioè in modo ossessivo. E poi picchiavo duro nei miei pezzi di opinione, ero dominato dalla collera. Grazie alla depressione, e allo psichiatra, sono arrivato a capire che la rabbia dipendeva dal mio passato, dalla mia storia famigliare mai digerita davvero». Ovvero l’essere figlio di ebrei perseguitati, resistenti e scampati per miracolo all’Olocausto.
Per anni Birenbaum ha avuto un’opinione su tutto, ed era ossessionato dalle reazioni: di recente ha scoperto che molti trovavano facile litigare con lui su Twitter dandogli dello «sporco ebreo», o assicurandogli un posto sui futuri treni verso i campi di sterminio. Come gli interventi radiofonici e gli articoli, il suo libro è adesso al centro dell’attenzione in Francia. Vous m’avez manqué , «Mi siete mancato», è la frase che Birenbaum rivolge allo psichiatra dopo le vacanze estive, ma sembra rivolta a tutte le persone care tenute a distanza dagli schermi luminosi. Histoire d’une dépression française indica che la sua depressione è legata al Paese: «Per due ragioni: perché la Francia è malata, e io mi sono ammalato come lei. L’ascesa del Front National non è che un sintomo. Nei commenti sul mio blog o su Twitter, sperimento il vomito degli insulti, qualche volta razzisti e antisemiti. Questa violenza ha finito per schiantarmi». La seconda ragione è «che la storia della mia famiglia è molto francese, con la collaborazione e la resistenza». Dopo anni di latenza, il crollo definitivo di Guy avviene quando cerca di leggere Proust. «Prendere in mano Alla ricerca del tempo perduto quando si è perduto tanto tempo su Internet è significativo».
Il fascino del libro di Guy Birenbaum sta nell’intrecciare la storia francese, quella irripetibile famigliare e personale, con un tema universale, l’abuso del web e dei social network e l’odio che possono diffondere. Descrive la dipendenza dalla connessione, e vengono in mente i racconti degli alcolisti o dei bulimici. Web, vino e cibo non sono mali in sé. «E il web è fantastico, mentre l’alcol in eccesso non lo è mai. Si possono prendere dosi eccessive di ottimo web, è straordinario, è la conoscenza».
L’abuso è un rischio che riguarda tutti, dai giornalisti agli impiegati perseguitati dalle email dei superiori. «La risposta non è rinunciare al web ma provare a imporre i nostri ritmi, prendere un po’ di distanza. Non siamo fatti per il tempo reale». Guy Birenbaum oggi lavora ancora alla radio ed è tornato su Twitter, ma non è più un uomo in collera. Quando porta fuori il cane, lascia a casa gli occhiali «così non controllo lo smartphone». Nei giorni delle stragi di Parigi, l’opinionista che tutti aspettavano ha rinunciato a commentare in diretta. Forse è davvero guarito.
L’abuso è un rischio che riguarda tutti, dai giornalisti agli impiegati perseguitati dalle email dei superiori. «La risposta non è rinunciare al web ma provare a imporre i nostri ritmi, prendere un po’ di distanza. Non siamo fatti per il tempo reale». Guy Birenbaum oggi lavora ancora alla radio ed è tornato su Twitter, ma non è più un uomo in collera. Quando porta fuori il cane, lascia a casa gli occhiali «così non controllo lo smartphone». Nei giorni delle stragi di Parigi, l’opinionista che tutti aspettavano ha rinunciato a commentare in diretta. Forse è davvero guarito.
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