venerdì 15 luglio 2016

TERRORISMO ITALIANO. A. FERRARI, Gli ultimi mesi accanto a Tobagi raccontando insieme il terrorismo, CORRIERE DELLA SERA, 27 maggio 2016

Il 28 maggio di 36 anni fa la «Brigata 28 marzo» di Marco Barbone assassinò il giornalista del Corriere. Ecco come il nostro inviato, che condusse con lui le inchieste sulle Brigate Rosse, ricorda quel periodo terribile
Ogni anno questa data, 28 maggio, riaccende la sofferenza e il dolore. Quarantadue anni fa quel giorno si collegava a un’orrenda strage, quella di piazza della Loggia, a Brescia. Trentasei anni fa, sempre in quel giorno, cadeva, assassinato vigliaccamente, Walter Tobagi: un collega, un amico, un compagno di tante missioni come inviati delCorriere della Sera in giro per l’Italia, per seguire il calvario del terrorismo, la sequenza degli attentati, per raccontare le inchieste per contrastarlo, per documentare le verità e le tante omissioni dei processi 




Il piglio dello studioso

Non conoscevo personalmente Walter, ma ne conoscevo la storia del suo esordio: dagli anni della Zanzara. Avevo letto un suo libro, Gli anni del manganello, e mi era piaciuto quello stile serio e asciutto, sempre rigorosamente documentato. Cominciò la sua vita professionale All’Avanti!, il quotidiano socialista. Poco dopo fu assunto all’Avvenire, il quotidiano cattolico: una perfetta staffetta delle sue convinzioni, cattolico e socialista. Arrivò alCorriere della Sera dopo una parentesi al Corriere d’Informazione, allora il nostro quotidiano del pomeriggio. Si occupava di politica, di sindacato, e ovviamente di terrorismo. Su quest’ultimo campo ci siamo incontrati più volte. Eravamo molto diversi: lui aveva il piglio dello studioso, io ero più indocile. Lui si era sposato da poco, e avendo molti impegni sindacali, come presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti, spesso era molto stanziale. Io giravo senza sosta, e quando potevo mi godevo la vita (toccando l’icona blu, il videoreportage di Corriere.it scritto da Luca Tobagi: «La morte di mio padre e l’Italia simile a oggi su quel vecchio Corriere»).

Il blitz di via Fracchia

Siamo diventati amici a Padova, durante l’inchiesta sul «7 aprile», con l’arresto dei professori in odor di terrorismo. Ricordo che andammo insieme a Radio Sherwood, l’emittente degli autonomi di ultrasinistra. Fummo respinti con rabbia da una bella ragazza, che non ci voleva fare entrare. Dissi: «Andiamocene, Walter!». Lui insistette. La guardò: «Perché è così dura con quei suoi splendidi occhi blu?». Riuscimmo a entrare, e per la mia insofferenza fu una salutare lezione. Il 28 marzo del 1980, fummo svegliati assieme al collega Giancarlo Pertegato dall’allora direttore Franco di Bella, che ci voleva subito a Genova dove il blitz dei carabinieri nel covo di via Fracchia aveva neutralizzato una delle colonne più importanti, forse la più importante, delle Brigate Rosse, uccidendo quattro terroristi.


Marco Barbone, l’assassino

Walter non poteva certo immaginare che quella missione giornalistica in Liguria gli sarebbe costata la vita, esattamente due mesi dopo. Un gruppo di terroristi milanesi, guidato da Marco Barbone, aveva creato una sigla proprio con il nome di «Brigata 28 marzo». Qualche settimana dopo esordirono sparando alle gambe del caro collega di Repubblica Guido Passalacqua. Il 28 maggio, aspettarono Walter sotto casa, in via Salaino, e lo ammazzarono vigliaccamente. Io mi trovavo a Padova, per seguire un processo contro l’Autonomia operaia organizzata. Mi avvisò un collega, Giuliano Marchesini della Stampa, ma non mi disse tutta la verità. Quando la seppi, crollai: per il dolore e per la paura. Il pericolo si avvicinava.

Caterina Rosenzweig, la fidanzata dell’assassino

Ricordo che quel pomeriggio non riuscivo a scrivere la mia corrispondenza sul processo di Padova. Un amico e collega, Giovanni Cerruti, scrisse l’articolo per me. Tornai a Milano sconvolto, con Cerruti e con il collega dell’UnitàBruno Enriotti. Ho seguito naturalmente l’inchiesta che portò all’arresto della banda di giovani assassini. Eravamo sollevati a sapere che le indagini, condotte personalmente dai carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e da intrepidi magistrati, erano giunte in fretta al clamoroso risultato. Sono stato tra i testimoni al processo, e ricordo che mi rifiutai di guardare Marco Barbone. Non solo. Mi sono sempre trovato pienamente d’accordo con il papà di Walter che continuava a chiedere perché dall’inchiesta erano stati cancellati un nome e una persona, Caterina Rosenzweig.

Il mistero della complicità negata

Una delle tesi di quegli anni è che Barbone avesse accettato di collaborare a patto che la sua ragazza, appunto Caterina, fosse liberata da qualsiasi accusa. La Rosenzweig appartiene a una delle ricche famiglie della borghesia milanese. Questo naturalmente non può assolverla. Immaginate poi che le riunioni preparatorie dell’attentato si sarebbero svolte nell’appartamento della ragazza di Barbone, in via Solferino 36, cioè quattro portoni dopo quello del Corriere, in via Solferino 28. Mi ha sempre colpito il fastidio che avvertivo ogni volta che si parlava di Caterina Rosenzweig, come se quella presenza nascondesse un segreto. Anche quest’anno vorrei ricordare Walter, Maristella e i figli Luca e Benedetta. E tutti i pensieri raccontati nel bel libro di Benedetta Come mi batte forte il tuo cuore. Al giornalismo e a tutti noi, Tobagi mancherà sempre.

Nessun commento:

Posta un commento