Nel suo ultimo libro, Emergenza (Einaudi), il filosofo torinese Maurizio Ferraris affronta, tra i temi dell’essere contemporaneo, quello della tecnologia. Ne aveva trattato anche in suo saggio passato, ma non dimenticato, Anima e iPad (Guanda). Così gli abbiamo fatto alcune domande.
I mezzi tecnologici come stanno cambiando la nostra vita?
«In modo radicale, come è sempre avvenuto. Il fuoco è tecnologia tanto quanto il web, e ha introdotto nella vita dei nostri remoti antenati una trasformazione incalcolabile. Stesso discorso per la ruota o la scrittura».
Ci sono dei rischi?
«Non si scherza col fuoco, né col web».La filosofia come ci può aiutare?
«Riflettendo. Non sono sicuro che siamo davvero riusciti a capire cosa sia il web. Si pensa sia un mezzo di comunicazione, quando è molto di più: un sistema di registrazione, un archivio e un sistema di costruzione della realtà sociale».
Secondo la ricerca di Daniele Marini confrontiamo di più le nostre vite. Vale per la vita privata, ma anche tra popoli e favorisce l’emigrazione. Che ne pensa?
«Il confronto è ovvio, ma non credo che ci siano popoli, a questo punto: solo individui. Il web frammenta e le comunità, se si formano, non si costituiscono più su base territoriale. Ed è un bene: nessuno mai potrà convincere i tedeschi che è giusto invadere la Polonia, al massimo dei pensionati tedeschi troveranno conveniente andare a vivere in Polonia e dei polacchi cercheranno lavori qualificati in Germania».
Qual è la malattia del pensiero più pericolosa oggi?
«L’imbecillità e non da oggi, da sempre, perché è connaturata all’essere umano».
Come dovremmo pensare per superare le incertezze del nostro tempo?
«Non dovremmo pensare».
In generale, bisogna essere pessimisti sulle sorti italiane? O la filosofia può aiutare a sperare?
«Una filosofia che aiuti a essere ottimisti sulle sorti dell’Italia o di un qualunque altro paese mi sembra una follia. La filosofia non serve a sperare, ma a capire e, possibilmente, a cambiare».
In questi giorni si è pessimisti anche per i tanti fatti di terrorismo e economici negativi, ma se si guarda alla Storia in passato non mancavano episodi ancora più gravi. Dovremmo recuperare più senso di prospettiva o è giusto preoccuparci tanto oggi?
«La prospettiva aiuta moltissimo. Il terrorismo è la forma attuale della guerra, e per tragico che sia non è paragonabile, per ora e anche per le popolazioni civili, a quello che si è visto nella Seconda guerra mondiale».
E le sorti dell’uomo in generale? Questo essere umano sempre più tecnologico verrà sopraffatto dalla macchina o saprà gestirla?
«L’umano è tecnologico dall’origine e ha sempre gestito molto poco la tecnica. Ma se si pensa che miseria è l’umano senza tecnica (una vita breve, debole e violenta), meglio la tecnica».
I social network sono influenti, ma da un altro lato sembrano stancare. Così come gli smartphone. Sono mode o tendenze durevoli?
«Ci si può stancare di un social network o di un tipo di smartphone, ma l’apparato da cui dipendono - la Rete - non è una moda, ricorda appunto più il fuoco o la scrittura che non i calzoni a zampa».
Spesso sui social si discute animatamente, come lo spiega?
«Gli umani litigano al bar, nelle riunioni di condominio, in ufficio: ovvio che litighino anche sui social».
Qual è la scoperta degli ultimi anni che più ci ha cambiato?
«Alla luce di quanto abbiamo detto sinora, il computer e la Rete».
E la più grande scoperta che l’uomo deve ancora fare?
«La propria debolezza e dipendenza. Bisogna partire di lì per essere liberi».
francesco.rigatelli@lastampa.it
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