mercoledì 8 aprile 2020

EPIDEMIE PANDEMIE E DEMOCRAZIA. L. BACCELLI, Il rischio, già forte, dell’assenza di conflitto sociale, IL MANIFESTO, 27 marzo 2020

È nello stato di eccezione che si manifesta l’essenza del politico? Non dobbiamo seguire Carl Schmitt fino in fondo, ma non c’è dubbio che in questi giorni siamo costretti a riconsiderare radicalmente il significato stesso di concetti come democrazia, diritti fondamentali, Stato di diritto.


All’ingrosso si fronteggiano due visioni: chi paventa i rischi del ricorso a misure di emergenza per la tenuta del sistema democratico (se non l’«abolizione del prossimo» e la sostituzione di ogni contatto umano con le macchine, come ha scritto Giorgio Agamben), e chi viceversa individua i limiti della democrazia nell’affrontare emergenze di questo tipo, enfatizzando la maggiore efficienza di altri regimi politici.
I costituzionalisti, da Azzariti a Zagrebelsky, ci mandano per ora messaggi tutto sommato rassicuranti su quanto è stato finora fatto dal governo. Perché, magari nelle mani di un governo diverso, non diventi un altro passo di quella normalizzazione dell’emergenza che negli ultimi decenni ha stravolto molti aspetti dei nostri ordinamenti giuridici occorrerà forse rilanciare quella resistenza costituzionale che ci ha più volte salvato dalle sciagure più gravi. In ogni caso, i numeri della quotidiana ecatombe italiana non ci permettono facili certezze.
I successi del sistema autoritario cinese nel fronteggiare l’epidemia in un paese di un miliardo e mezzo di abitanti vanno riconosciuti, senza ovviamente sottovalutare le aberrazioni denunciate dalla controinformazione.
Del resto, che per la democrazia è arduo affrontare le sfide globali, a cominciare da quelle ecologiche, è stato rilevato già trent’anni fa da Hans Jonas, un filosofo insospettabile di filo-maoismo, nel suo Il principio responsabilità.
E non è vero, come si diceva qualche anno fa, che la democrazia si trovi in una condizione di «solitudine normativa», che sia l’unica forma di governo considerata legittima; ci sono alternative di successo.
Nadia Urbinati, in un accorato video disponibile online, sostiene che è ingiustificato auspicare forme più autoritarie di governo perché le democrazie costituzionali hanno tutti gli strumenti per fronteggiare queste emergenze.
Sono d’accordo, purché ci si chieda «quale democrazia costituzionale?» nello stile di Norberto Bobbio che denunciava le «promesse non mantenute» della democrazia, cui si aggiungono quelli che Danilo Zolo definiva i «rischi evolutivi» derivanti dall’influenza onnipervasiva dei media.
Colin Crouch ha introdotto l’inquietante termine «postdemocrazia» per connotare i nostri sistemi, nei quali sempre più «la politica viene decisa in privato dall’integrazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici». Peraltro proprio Urbinati è fra le più acute e autorevoli studiose dei processi di «sfiguramento» che la democrazia sta subendo anche dove è più consolidata.
Democrazie costituzionali possono essere definiti sia gli ordinamenti in cui il diritto alla salute e lo stesso diritto alla vita sono significativamente tutelati dal welfare universale, sia quelli che si affidano al mercato della sanità privata. Sappiamo bene qual è stata la tendenza degli ultimi decenni, come dimostrano i tagli lineari alla sanità italiana, con la drammatica contrazione dei posti di terapia intensiva.
In questa situazione occorre mettere in questione le proprie certezze e rivedere i propri schemi di interpretazione (un po’ il contrario di quanto fa Agamben, che ci ripropone le sue categorie di «stato di eccezione» e di «nuda vita» senza neppure declinarne il contenuto).
Occorre qualificare il «costituzionale» al di là del suo significato strettamente formale dei limiti al potere della maggioranza: senza la tutela universale dei diritti sociali la stessa libertà è a repentaglio, come hanno mostrato le politiche securitarie che hanno mostrato l’altra faccia del neoliberalismo.
Condizione necessaria perché un sistema sia democratico in senso non meramente formale, oltre alle elezioni libere e alla tutela dei diritti civili, è la pressione, l’ «assedio» sule istituzioni rappresentative da parte dei cittadini e dei movimenti che esprimono: la partecipazione del popolo nasce dai tumulti, come ci ha insegnato Machiavelli cinque secoli fa.
Una democrazia senza conflitti e con le piazze vuote si svuota a sua volta, e anche questo è un motivo di inquietudine.
* Professore ordinario di Filosofia del diritto, Università di Camerino

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