domenica 30 novembre 2014

FEMMINISMO E NEOLIBERALISMO. A. PIGLIARU, Una libertà in rotta con il libero mercato. Recensione a Femminismo e neoliberalismo, IL MANIFESTO, 28 novembre 2014

"Da una parte, il regi­stro impren­di­to­riale, il mer­cato e la con­cor­renza, tutto quello che riguarda il gioco diretto dei pro­cessi eco­no­mici; e dall’altro, la valo­riz­za­zione del vivente, la sua signi­fi­ca­zione, il suo valore, letto in chiave evo­lu­tiva, cioè la pro­messa d’individuazione di una ten­denza vin­cente». 


Così acu­ta­mente Angela Putino chio­sava nel 2007 quando sul secondo numero della rivi­sta ada­teo­ria­fem­mi­ni­sta si inter­ro­gava su «‘O sistema». In par­ti­co­lare il rife­ri­mento risie­deva allora nella rela­zione tra neo­li­be­ra­li­smo e camorra eppure risul­ta­vano già alcuni ele­menti inte­res­santi: il regi­stro impren­di­to­riale, la costru­zione del mer­cato che si fonda non sullo scam­bio ma sulla con­cor­renza insieme alla signi­fi­ca­zione di un vivente che viene fago­ci­tato den­tro il dispo­si­tivo stra­te­gico neo­li­be­rale dell’«individuoimpresa». Ci sono anche i temi della «pro­messa» e dell’«evoluzione» che in qual­che modo aprono a bio­po­tere e bio­po­li­tica, quando cioè – pro­se­gue Putino — «le forme inso­ste­ni­bili che ren­dono effet­ti­va­mente pre­ca­rie le nostre esi­stenze non le scor­giamo, e pro­prio que­sta nostra cecità rende pos­si­bile a un potere di inve­stire le nostre vite».

IL GOVERNO DELLA VITA

Forme di sog­get­ti­va­zione dun­que, spo­sta­mento da un piano ogget­tivo a quello più pro­pria­mente sog­get­tivo in cui ne va delle vite e della loro rela­zione con il potere e si deve di neces­sità fare i conti con l’ordine sim­bo­lico, capire dove scric­chiola e lì – pro­prio in quel punto — agire. È in que­sta dire­zione che Tri­stana Dini e Ste­fa­nia Taran­tino, che con Angela Putino hanno con­di­viso per­corsi e pra­ti­che poli­ti­che, hanno deciso di squa­der­nare ulte­rior­mente il dibat­tito attra­verso la cura del volume a più voci che va sotto il nome di Fem­mi­ni­smo e neo­li­be­ra­li­smo. Libertà fem­mi­nile ver­sus impren­di­to­ria di sé e pre­ca­rietà (Natan edi­zioni, euro 11, pp. 192). A oggi nume­rosi sono infatti gli inter­venti cri­tici riguardo il neo­li­be­ra­li­smo ormai inteso come «la nuova ragione del mondo» (che dà il titolo a un volume diPierre Dar­do­te­Chri­stian Laval); nes­suno di que­sti tut­ta­via si è con­cen­trato sui rap­porti tra il cosid­detto «governo dell’autogoverno» e il femminismo.
Gli undici saggi con­te­nuti nel volume met­tono in campo e rilan­ciano l’analisi com­plessa di alcune cate­go­rie della poli­tica facen­dole inter­lo­quire in un momento in cui, come ricorda Ste­fa­nia Taran­tino nella pre­fa­zione «le con­trad­di­zioni scop­piano e la libertà fem­mi­nile è sem­pre più minac­ciata dalle dif­fi­cili con­di­zioni mate­riali del tempo pre­sente». Biso­gna tut­ta­via fare chia­rezza su ciò che si intende per neo­li­be­ra­li­smo e ciò che si intende per fem­mi­ni­smo. Se il primo è una «razio­na­lità poli­tica», come nota Laura Baz­zi­ca­lupo nel suo inter­ventoè Ida Domi­ni­janni ad aggiun­gere che «non ne va “solo” del mer­cato, del lavoro, della pro­du­zione e della finanza, ne va di noi, di ciò che siamo, di come diven­tiamo sog­getti, di come ci auto­rap­pre­sen­tiamo». Allo stesso modo biso­gnerà chia­rirsi su cosa si intenda per fem­mi­ni­smo. Se non lo si fa si rischiano argo­men­ta­zioni con pre­messe vaghe o gene­ra­li­ste che non ten­gono conto dei con­te­sti e che spesso vanno in dire­zioni contrarie.
Il punto di avvi­sta­mento dal quale in que­sto volume si parte è quello del fem­mi­ni­smo della dif­fe­renza ita­liano. Certo che in gene­rale la diva­ri­ca­zione fra neo­li­be­ra­li­smo e fem­mi­ni­smo è stata posta da alcune, in par­ti­co­lare Nancy Fra­ser che l’anno scorso sul Guar­dian tuo­nava di Come il fem­mi­ni­smo è diven­tato ancella del capi­ta­li­smo. Lad­dove non può sfug­gire che il neo­li­be­ra­li­smo «non coin­cide col capi­ta­li­smo e con le sue ‘mosse’, anche se ne mutua miti e imma­gi­na­rio e si strut­tura sul suo regime di verità» (Baz­zi­ca­lupo), è anche vero che il discorso di Fra­ser sulle diver­sità tra fem­mi­ni­smo della prima ondata e quello della seconda ondata risente di un dato con­te­sto. Spe­ci­fica inol­tre Domi­ni­janni come il fem­mi­ni­smo della dif­fe­renza ita­liano «non nasce come con­tri­buto al com­pi­mento del pro­getto eman­ci­pa­to­rio del moderno, bensì come un taglio al suo interno; e di quel pro­getto svi­luppa una cri­tica che parte dalla presa d’atto della sua già accla­rata crisi, e che per­ciò non punta a un suo rilan­cio, ma bensì a un suo superamento».
Se è chiaro come il con­flitto tenda a essere espunto e neu­tra­liz­zato nelle maglie neo­li­be­rali è pur vero che è pro­prio il con­flitto per la dif­fe­renza ha signi­fi­cato un pas­sag­gio dal para­digma dell’oppressione a quello dell’espressione (Fede­rica Giar­dini). Restando in tema di para­digmi, come ricorda Marianna Espo­sito, non potrà essere taciuto «il salto spe­ri­men­tato dalla libertà fem­mi­nile nel pas­sag­gio dal for­di­smo al post-fordismo». Qual è allora, pro­se­gue Espo­sito, «il com­pito filo­so­fico e poli­tico che spetta al fem­mi­ni­smo come pen­siero di cri­tica del pre­sente quando esso si misura nel pas­sag­gio dalla gover­na­men­ta­lità bio­po­li­tica a quella neoliberale?»
Nel volume si potranno leg­gere pagine note­voli sulla ses­sua­lità e l’imperativo iper­tro­fico e nar­ci­si­stico del godi­mento (Domi­ni­janni e Dini); così come sull’interrogazione delle cate­go­rie di capi­tale, lavoro e cit­ta­di­nanza (Marisa For­cina); sul lavoro e la pre­ca­rietà che si intrec­ciano varia­mente al debito pub­blico e la colpa (Elet­tra Sti­milli), il ben/essere (Gio­vanna Bor­rello) e le inter­se­zioni con il capi­ta­li­smo finan­zia­rio (Monica Pasquino), fino ad arri­vare allo stesso ruolo che l’epistemologia fem­mi­ni­sta pre­siede alla costru­zione del pro­cesso di cono­scenza (Maria Rosa­ria Garo­falo). I temi, che scon­fi­nano dal solo dibat­tito ita­liano ed euro­peo, arri­vano fino al sudest asia­tico attra­verso il post­co­lo­nial femi­nism (Ales­san­dra Chiricosta).

ROVE­SCIA­MENTO RELAZIONALE

Certo alcuni punti riman­gono comuni e inner­vano l’intero testo. L’imprenditoria di sé di cui si tratta è in fri­zione con la libertà fem­mi­nile. Di fatto il con­fronto tra i due ter­mini diviene il rove­scia­mento di due posture pre­cise di rela­zio­na­lità con il sé e con il mondo. Men­tre nell’imprenditorialità di sé si assi­ste alla costru­zione di una sog­get­ti­vità fal­sa­mente auto-sussistente che ade­ri­sce con il mer­cato per­ché lo incre­menta e che mette al ser­vi­zio le pro­prie qua­lità come poten­ziali punti di giun­tura con la razio­na­lità neo­li­be­rale, la libertà fem­mi­nile sostan­zia la sog­get­ti­vità femminile .
Il nodo tra libertà e impren­di­to­ria­lità di sé sug­ge­ri­sce let­ture della mate­ria­lità che oggi ci tocca vivere. Appunto per­ché quella mate­ria­lità tocca varia­mente e in maniera com­plessa le vite di cia­scuno. Quelle vite che sì, sono prese nella tagliola del neo­li­be­ra­li­smo ma che ascol­tate una per una nella sin­go­la­rità delle espe­rienze, illu­mi­nano una vul­ne­ra­bi­lità con cui è bene fare i conti. Sono conti poli­tici e di presa in carico che pur non pre­scin­dendo dallo sfondo in cui si agi­tano, spesso ecce­dono. Conti che aprono a una domanda che è appro­priato riba­dire: le mappe di con­trad­di­zione alle quali stiamo assi­stendo, dove vi sono pro­getti esi­sten­ziali di chi non arriva nep­pure alla soglia minima della pre­ca­rietà, con­sen­tono di inter­ro­garsi ancora sui lin­guaggi per tro­vare anche pra­ti­che poli­ti­che effi­caci? Lo spiega bene Tri­stana Dini quando afferma che il fem­mi­ni­smo «si trova esat­ta­mente nel punto in cui la razio­na­lità neo­li­be­rale può venire forata, per fare spa­zio ad altro». Che occorra dun­que un eser­ci­zio costante di atten­zione? Che quel foro sia la vita stessa quando eccede e si sot­trae e non può in alcun modo venire dedotta in nes­suno sfondo?

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