domenica 3 febbraio 2019

POLEMICHE. FILOSOFIA E GENOCIDI. S. NASH-MARSHALL, I germi della violenza genocida vengono dal pensiero di Cartesio, LA LETTURA, 6 gennaio 2019

Sono arrivata in Italia per il Natale, e mi sono trovata sulla scrivania la «polemica» che Marcello Flores ha scritto contro il mio libro e pubblicato su «la Lettura» #368 del 16 dicembre scorso. Conosco da tempo Marcello (abbiamo fra l’altro entrambi partecipato a un seminario sul genocidio tenutosi a Lugano un paio di anni fa) e apprezzo il suo lavoro. Lui sembra non apprezzare il mio, e per ragioni che non posso che credere radicate in un’involontaria incomprensione di me e del mio lavoro. Scrivo per chiarire entrambe queste cose.


Per cominciare, non sono «docente di filosofia cristiana», come scrive Flores. Sono professore ordinario di filosofia teoretica. Ho anche l’onore di avere un’endowed chair: la Mary T. Clark Chair of Christian Philosophy. Definirmi docente di filosofia cristiana simpliciter è confondere il nome della mia endowed chair con la mia disciplina accademica. Sarebbe come dire che sono Mary T. Clark.
Quanto al mio libro, non ho affatto «messo sotto accusa l’intera tradizione filosofica occidentale degli ultimi due secoli e mezzo … di avere preparato il terreno alla violenza genocidaria», come sostiene Flores nella sua «polemica». Sarebbe stato sciocco farlo. La filosofia occidentale non è mai stata – né potrebbe essere – monolitica. Non lo è stata nella sua prima grande fioritura in Atene, quando Aristotele fece intendere che per quanto amicus Plato, magis amica veritas. E non lo è stata ovviamente neppure negli ultimi due secoli e mezzo: Kant non sopportava le teorie morali di Bentham, Jacobi tuonava contro Fichte, Burke contro i philosophes, Russell non sopportava Sartre o Wittgenstein e così via.
In secondo luogo, se Flores avesse capito il ragionamento dell’introduzione che cita, avrebbe visto che io sostengo che è stato l’approccio cartesiano alla realtà e alla conoscenza ad «aver preparato il terreno alla violenza genocidaria». Avrebbe anche compreso che contestare quel ragionamento richiede una di due cose: 1) dimostrare come quell’approccio – la distinzione cartesiana tra la res cogitans e la res extensa, il suo disprezzo per i fatti concreti, la sua affermazione che lo Stato debba essere «rovesciato per essere riedificato», e la sua certezza che il nuovo metodo avrebbe evitato all’essere umano ogni errore – non prepari (o abbia preparato) «il terreno alla violenza genocidaria»; oppure, 2) dimostrare che l’approccio cartesiano non è quello che io dico che sia.
Terzo. Non affermo mai che «regicidio» equivale a «genocidio», come farebbe intendere la citazione tagliata che Flores riporta: «Non c’è nessuna distinzione logica o formale tra rovesciare un Ancien Régime tramite spargimenti di sangue e distruggere un popolo e una cultura: un genos. Se si è convinti che un’idea possa giustificare l’uccisione di un re … allora non si può non giustificare il genocidio». Quello che io invece affermo in quel passaggio è: 1) che non vi è distinzione formaletra ciò che fecero i rivoluzionari francesi agli aristocratici e ai Vandeani e un genocidio; 2) che sia il Terrore che la guerra in Vandea avevano la precisa intenzione di imporre un ordine razionale sulla Francia. Tutto questo è chiaramente detto nella parte omessa della citazione: «della sua corte e di coloro che lo difendono e che la morte di una categoria di persone sia una condizione necessaria per rendere il mondo conforme a un’idea razionale».
Non comprendere questo punto sull’attività del Comitato di salute pubblica è fraintendere sia ciò che condusse Lemkin a definire il crimine di genocidio, sia la Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite. La Convenzione, infatti, afferma inequivocabilmente che è l’intenzione genocidaria a definire il crimine di genocidio. E l’intenzione genocidaria è, per citare la Convenzione stessa, quella di «distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». L’intenzione del Comitato di salute pubblica per quanto concerne «il re, la sua corte e coloro che la difendevano» era inequivocabilmente quella di «distruggerla» nella sua interezza. La fonte di questa intenzione, poi, era quella di ricostruire il mondo ad immagine e somiglianza di un’idea. Flores ha forse dimenticato il Tempio alla Dea Ragione?
Quarto, non ho mai proposto nel mio libro una nuova definizione di genocidio che «sembra sfidare tutte quelle finora suggerite da giuristi, storici, sociologi, e filosofi». Anzi, ho esplicitamente scritto che accetto come definizione di genocidio quella della Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite – e invito gli storici a fare la stessa cosa (p. 51).
Quinto, spero che l’orrore mostrato da Flores verso la mia affermazione che il genocidio è «un esempio tremendo e radicale di male morale» non indichi che crede il contrario. Di certo non può credere che il genocidio sia un bene, una cosa «deliziosa» o «normale». Per quanto concerne la mia affermazione che il male è intrinsecamente irrazionale, lo inviterei alla lettura delle opere dei filosofi che hanno come me sostenuto che lo è. Includono, tanto per citarne alcuni, Platone, Aristotele, Boezio, Kant e Hannah Arendt. Quanto al suo rifiuto della mia affermazione che l’irrazionale è cosa che non ammette spiegazione esaustiva razionale, gli chiederei di insegnarmi come si fa a spiegare razionalmente l’irrazionale.
Sesto, la frase che Flores riporta e definisce sillogismo («se è vero che le politiche negazioniste … sono parte integrante del Genocidio armeno … ne consegue che il Genocidio armeno è ancora in atto») tecnicamente proprio non lo è, come neppure il mio ragionamento completo sull’argomento.
Per concludere, c’è qualcosa di cui la nostra epoca ha bisogno disperato: l’abitudine al vero dialogo filosofico, cioè comprendere i ragionamenti altrui, mettere in discussione se stessi e le proprie cognizioni acquisite. Questo serve sia a me che all’amico Marcello Flores. L’atmosfera che ci circonda oggi sembra avercelo fatto dimenticare.

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