“Battito del cuore” terrestre. Così l’hanno definito. Una pulsazione ogni 26 secondi, registrata da sismografi e satelliti. Blip. Un “microsisma” troppo debole, però, per essere percepito dall’uomo. Delle cause (i vulcani, le onde marine?) non si sa molto, né della distribuzione geografica. Ma forse, più del dettagliato studio scientifico in corso, conta la sua “poesia”: questo pianeta pulsa come noi. Perché è noi.
Nella lingua krenak parlata dagli indios dell’Amazzonia la parola “ambiente” non esiste: è una creazione dell’Occidente. Quell’idioma ci insegna che non c’è separazione fra l’uomo e ciò che lo circonda, perché l’ambiente siamo noi
Ogni giorno riceviamo molti allarmi. Il più recente è quello del crollo nel Mediterraneo della popolazione di ricci di mare viola, chiave per gli ecosistemi marini. La colpa (serve dirlo?) è dell’aumento delle temperature dei fondali, oltre che del loro sovra-sfruttamento da parte dell’uomo: sulle coste di Puglia e Sicilia le densità medie (0,2 individui per metro quadrato) non sono mai state così basse. Il baratro del collasso.
È arrivata anche la previsione dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (agenzia Onu) per il quinquennio 2025-2029: se il ’24 è stato l’anno più caldo mai registrato, è altamente probabile che i prossimi cinque andranno oltre. La frana del ghiacciaio svizzero del Birch, con la devastante valanga che ha travolto la valle, è l’ennesimo, sinistro monito legato allo stato critico dei ghiacciai alpini, conseguenza della crisi climatica.
Non c’è però solo questo. C’è pure l’annuncio della Commissione Ue secondo cui l’Europa ha colmato in modo significativo il divario rispetto al conseguimento degli obiettivi per il 2030: i 27 si avvicinano insieme a una riduzione del 55% delle emissioni di gas serra, raggiungendo anche quota 42,5% di energia rinnovabile.
È una lotta metro per metro, quella per la difesa dell’Ambiente, che celebriamo oggi nella sua Giornata Mondiale, con la 2ª edizione del Festival del Corriere (che esce per il sesto anno tutto verde, carta e online) e del suo inserto Pianeta 2030. Tre giorni di talk, incontri, workshop e spettacoli, fino al 7 giugno alla Triennale di Milano. Per poter andare anche “oltre” l’ambiente: parola, ricordano gli indios dell’Amazzonia che parlano la lingua krenak (sempre meno), che è una creazione – pur con buoni intenti – dell’Occidente. Nel loro idioma non esiste: non c’è separazione fra l’uomo e ciò che lo circonda (com’è per noi, dal latino ambiens, o in inglese environment, tratto dall’identico francese: en, intorno, e virer, girare). In fondo sta qui il segreto per la tutela del Pianeta: l’ambiente siamo noi
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