sabato 14 gennaio 2012

DURKHEIM. LE REGOLE DEL METODO SOCIOLOGICO, 1895. Capitolo primo

CHE COSA SONO I ‘FATTI SOCIALI’?


   Il saggio “Le regole del metodo sociologico” fu scritto nel 1895 e si compone di sei parti a cui si aggiungono una Introduzione ed una conclusione. La traduzione italiana è disponibile per i tipi di Einaudi (2008).

Nella prima parte l’autore cerca di precisare quale sia l’oggetto della ricerca sociale. Questo oggetto è proprio ciò che D. chiama “FATTO SOCIALE”. Ma che cos’è un ‘fatto sociale’?




I FATTI SOCIALI PRE-ESISTONO AGLI INDIVIDUI E SONO DOTATI DI CARATTERE IMPERATIVO E COERCITIVO



   “Vi sono modi di agire, di pensare e di sentire che presentano la notevole proprietà di esistere AL DI FUORI delle coscienze individuali.”. L’autore fa una lunga serie di esempi:

“adempiere  doveri definiti dal costume e dal diritto”, “praticare la vita religiosa e credere”, “usare dei sistemi di segni e delle regole logiche per esprimere i propri pensieri”, “usare monete ed altri mezzi di scambio per svolgere le proprie attività di scambio e commercio”, “dover osservare regole nelle varie professioni”. Più avanti D. parla di “regole giuridiche e morali, dogmi religiosi, sistemi finanziari, credenze e pratiche  cristallizzatesi nel tempo” (27).

Una seconda caratteristica è, poi, quella di possedere un “carattere IMPERATIVO e COERCITIVO in virtù del quale essi si impongono agli individui con o senza il suo consenso” (26). La coercizione si attenua quando l’individuo si conforma spontaneamente, ma tende ad affermarsi quando si cerca, invece, di resistere. Scrive, infatti, D.:



   “Se cerco di violare le regole del diritto, esse reagiscono contro di me in modo da impedire il mio atto, se si è ancora in tempo, oppure in modo da annullarlo e da ripristinarlo nella sua forma normale se è compiuto e riparabile, oppure in mdo da farmelo espiare se non si può riparare in altro modo.

Quando si tratta di massime puramente morali, la coscienza pubblica contiene tutti gli atti che la offendono mediante la sorveglianza che essa esercita sulla condotta dei cittadini e le pene specifiche di cui dispone, in altri casi la costrizione è molto violenta, ma non cessa di esistere.

Se non mi sottometto alle convenzioni del mondo, se nel mio abbigliamento non tengo conto degli usi del mio Paese e della mia classe sociale, il riso e l’ilarità che provoco, la distanza in cui sono tenuto producono, per quanto in modo più attenuato, gli effetti di una pena propriamente detta.

In altri casi, la costrizione non è meno efficace. Non sono, certo, obbligato né a parlare francese con i miei compatrioti né ad impiegare le monete legali: ma mi è impossibile fare altrimenti. Se cercassi di sottrarmi a questa necessità, il mio tentativo fallirebbe miseramente” (26).



I FATTI SOCIALI SONO FORME DI AZIONE E DI RAPPRESENTAZIONE COLLETTIVE. I FATTI SOCIALI SONO CREDENZE, TENDENZE E PRATICHE DEL GRUPPO CONSIDERATO COLLETTIVAMENTE



   Un ‘fatto sociale’ è, dunque, costituito da tipi di condotte e di credenze che sono esterne agli individui e che gli individui trovano già presenti all’atto del loro nascere nella società. D. scrive che esso “consiste di AZIONI e di RAPPRESENTAZIONI” (26). Ecco che allora non possono essere confusi né con fenomeni organici né con fenomeni psichici (“i quali esistono solo e mediante le coscienze individuali”).

Questi tipi di fatti costituiscono “una nuova specie e ad essi soltanto deve essere data e riservata la qualifica di FATTI SOCIALI (…) Il loro substrato non è l’individuo ma la società” (27).

D. sottolinea più volte questo aspetto. Queste forme collettive si rifrangono negli individui che finiscono per interiorizzarli attraverso l’educazione, la ripetizione, la costrizione e l’imperatività. Esse si condensano e cristallizzano in forme che “costituiscono una realtà del tutto distinta dai fatti individuali che la manifestano (…) esse possono esistere perfino senza venir applicate attualmente” (29). Più avanti D. scrive:

   Il fatto sociale è uno stato del gruppo che si ripete negli individui perché si impone loro. Questo è evidente soprattutto quando si tratta di credenze e di pratiche che ci sono trasmesse già fatte dalle generazioni anteriori: noi le riceviamo e le adottiamo perché, essendo nello stesso tempo un’opera collettiva e secolare, sono investite di una autorità particolare che l’educazione ci ha insegnato a riconoscere e rispettare. Non bisogna dimenticare che l’immensa maggioranza dei fenomeni sociali ci viene per questa via. Ma neppure quando il fatto sociale è dovuto in parte alla nostra collaborazione diretta esso cambia natura. Un sentimento collettivo che erompe in una assemblea non esprime solo ciò che era comune a tutti i sentimenti individuali: esso è qualcosa di totalmente diverso, come abbiamo mostrato. Esso costituisce una risultante della vita comune” (31).



Alla fine del capitolo D. formula questa definizione:

“E’ un fatto sociale ogni modo di fare, più o meno fissato, capace di esercitare sull’individuo una costrizione esterna, oppure un modo di fare che è generale nell’estensione di una società data, pur avendo esistenza propria, indipendente dalle sue manifestazioni individuali” (33)



INDIVIDUALISMO E CONFORMISMO SOCIALE



   Se le cose stanno così, precisa D., chi crede nell’individualismo e nella libertà personale potrebbe, a questo punto, spaventarsi:

   Professando la credenza che l’individuo è perfettamente autonomo, essi si sentono menomati tutte le volte che si rende l’individuo consapevole del fatto di non dipendere solo da se stesso. Ma dal momento che è ormai incontestabile che la maggior parte delle nostre idee e delle nostre tendenze non vengono elaborate da noi, ma ci vengono dal di fuori, esse non possono penetrare in noi se non imponendosi ed è questo il significato della parola che abbiamo usato (costrizione). Sappiamo, d’altra parte, che la costrizione sociale non esclude necessariamente la personalità individuale” (27).



LA PARTECIPAZIONE A MANIFESTAZIONI COLLETTIVE



Per capire che cosa significa subire comportamenti e credenze particolari basti pensare anche ad altri tipi di esperienza come quelle che si vivono nelle manifestazioni collettive (assemblee, grandi movimenti di entusiasmo, di indignazione e di pietà):

   Quando l’assemblea si scioglie e le influenze sociali cessano di agire su di noi, ci ritroviamo soli con noi stessi. Allora i sentimenti che avevamo provato ci fanno l’effetto di qualcosa di estraneo in cui non ci riconosciamo più. Ci accorgiamo allora che li avevamo subiti piuttosto che prodotti ed accade perfino che ci facciano orrore tanto sono contrari alla nostra natura. E’ così che individui in massima parte perfettamente inoffensivi possono, riuniti in folla, lasciarsi trascinare a commettere atti di atrocità” (28).



L’EDUCAZIONE COME COSTRUZIONE DELL’ESSERE SOCIALE



   Che la costrizione sia un elemento caratterizzante i fatti sociali lo dimostra il meccanismo dell’educazione. Attraverso di essa, infatti, non si impone al bambino l’intera gamma di credenze, valori, pratiche, comportamenti vigenti e dominanti in quel momento storico all’interno di quella società?

L’educazione “ha appunto lo scopo di COSTRUIRE L’ESSERE SOCIALE: si può quindi vedere in essa la maniera in cui questo essere si è costituito nella storia. La pressione ininterrotta che il bambino subisce non è altro che la pressione dell’ambiente sociale il quale tende a plasmarlo a sua immagine e somiglianza e di cui i genitori ed i maestri sono solitamente i rappresentanti e gli intermediari” (28-29).



LE PERCENTUALI STATISTICHE RAFFIGURANO NUMERICAMENTE IL FATTO SOCIALE COME  “STATO DEL SENTIMENTO COLLETTIVO” IN UN DETERMINATO TEMPO



   Come si fa ad osservare un fatto sociale allo stato puro? Secondo D. è la statistica che consente di realizzare questo intento. Quando essa ci fornisce dei dati in percentuale, ad esempio, sullo stato della nuzialità, dei divorzi, della natalità o della denatalità, noi veniamo a conoscere quello che D. chiama “stato dell’anima collettiva” in un determinato momento della sua storia, lo “stato del gruppo”, vale a dire la quantità di individui che si sono sposati oppure no, che hanno divorziato, che sono nati oppure morti. Quindi, i fatti sociali possono anche essere quantificati numericamente da un disciplina specifica.


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