sabato 21 gennaio 2012

DURKHEIM. LE REGOLE DEL METODO SOCIOLOGICO, 1895. REGOLE RELATIVE ALL’OSSERVAZIONE DEI FATTI SOCIALI. Capitolo secondo

PRIMA REGOLA. OCCORRE CONSIDERARE I FENOMENI SOCIALI COME ‘COSE’


   “Tutti i fenomeni sociali sono COSE e devono venire trattati come cose” (44). Ma che cos’è una “cosa”? “E’ una cosa tutto ciò che è dato, tutto ciò che si offre o che si impone all’osservazione. Considerare i fenomeni come cose significa considerarli in qualità di data (dati, al plurale, nella lingua latina) che costituiscono il punto di partenza della scienza (…) E’ necessario, quindi, considerare i fenomeni sociali in se stessi, distaccati dai soggetti coscienti che se li rappresentano; è necessario studiarli dal di fuori come cose esterne dato che si presentano a noi in questa veste” (44-45).



Il considerare i fatti sociali delle ‘cose’ comporta, conseguentemente, ritenerli degli ‘oggetti’, qualcosa che “non dipende da noi”, elementi esteriori che, come è stato detto nel primo capitolo, ci si presentano come capaci di determinare la nostra volontà, degli “stampi in cui siamo costretti a versare le nostre azioni” (45).

LA SOCIOLOGIA DEVE PRENDERE ESEMPIO DALLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA

   La psicologia degli ultimi 30 anni, scrive D., ha operato una rivoluzione nei metodi di indagine dei fatti psichici. Infatti essa ha capito che “gli stati di coscienza possono e devono essere considerati DAL DI FUORI e non già dal punto di vista della coscienza che li prova” (46). Procedendo con il metodo introspettivo, quella psicologia ha finito per scambiare il dato con la sua rappresentazione, con l’idea soggettiva, cioè, che il ricercatore introspettivo finiva per formulare. Allo stesso modo la sociologia deve passare dallo “stadio soggettivo alla fase oggettiva” (46).
   Secondo l’autore la sociologia si troverebbe in una posizione di vantaggio rispetto alla psicologia nel cogliere i fatti sociali come cose esterne al soggetto:

   I fatti psichici sono dati come stati del soggetto dal quale non sembrano neppure che possano separarsi: interiori per definizioni, sembra che non si possa trattarli come esteriori senza far violenza alla loro natura. E’ necessario non solo uno sforzo di astrazione, ma anche tutto un insieme di procedimenti e di artifici per giungere a considerarli sotto questo aspetto.

   I fatti sociali, invece, hanno ben più naturalmente e immediatamente tutti i caratteri della ‘cosa’. Il diritto esiste nei codici, i movimenti della vita quotidiana si traducono nelle cifre della statistica e nei monumenti della storia, le mode nell’abbigliamento, i gusti nelle opere d’arte. Essi tendono, in virtù della loro stessa natura, a costituirsi al di fuori delle coscienze individuali, perché le dominano” (46).

COROLLARIO ALLA PRIMA REGOLA. LA RICERCA SOCIALE PRESUPPONE LA SOSPENSIONE DEI SENTIMENTI E DI QUELLE NOZIONI SENTIMENTALMENTE DEFORMATE FORMATESI AL DI FUORI DELL’ATTIVITA’ SCIENTIFICA (educazione, senso comune, vita sociale e pratica)

   Il sociologo si astenga risolutamente dall’uso di concetti che si sono formati al di fuori della scienza e per bisogni che non hanno nulla di scientifico; occorre che gli si svincoli dalle false evidenze che dominano lo spirito del volgo” (47).

   In particolare sono estremamente ‘pericolose’ e fuorvianti tutte quelle “rappresentazioni appassionate” che utilizziamo quando ci riferiamo a fatti di natura politica, religiosa o morale. Infatti, mentre fatti fisici quali possono essere la caduta di un grave o il movimento parabolico di un proiettile, non ci appassionano, siamo sicuramente più coinvolti sentimentalmente di fronte a fatti sociali di quel tipo:

    “Inoltre –aggiunge D., - questo carattere passionale si comunica alla maniera in cui concepiamo e ci spieghiamo” quelle credenze al punto da dar vita a rappresentazioni deformate dai nostri sentimenti che finiscono per assumere una tale autorità che ne rende difficile la messa in discussione:

   Per esempio, se una proposizione non concorda con l’idea del patriottismo o della dignità dell’individuo, essa viene negata prescindendo dalle prove sulle quali si basa. Non si può ammettere che sia vera, le si oppone un rifiuto e, per giustificarsi, la passione non evita di suggerire anche motivi che potranno rivelarsi decisivi. Queste nozioni possono, anzi, avere un tale prestigio da non tollerare neppure un esame scientifico. Il solo fatto di sottoporle, insieme ai fenomeni che esse esprimono, ad una fredda e precisa analisi, rivolta certi spiriti” (48).
   Lo stesso fenomeno avviene ancora di più di fronte allo studio della morale o della religione. Così un importante storico delle religioni può scrivere quanto segue:

   Guai allo studioso che si accosta alle cose di Dio senza avere nel profondo della coscienza, nella scaturigine indistruttibile del suo essere, là dove dorme l’anima degli antenati, un santuario sconosciuto dal quale si eleva a tratti un profumo di incenso, un verso di un salmo, un grido doloroso e trionfante che lo rimette in comunione con i profeti di un tempo” (48).

   Questa ‘partecipazione sentimentale’ allo studio del fenomeno è fuorviante, rischia di creare degli stati d’animo forti e torbidi, renderli preponderanti rispetto all’applicazione della ragione chiarificatrice: “il sentimento è oggetto di scienza, non è criterio della verità scientifica” (49).


COME CONDURRE UNO STUDIO OGGETTIVO DEI FATTI?


   “Il primo passo del sociologo deve essere la definizione delle cose che tratta per sapere di che cosa deve occuparsi. Questa è la prima e la più indispensabile condizione di ogni prova e di ogni verifica: una teoria, infatti, può venire controllata solo se si sanno riconoscere i fatti di cui deve rendere conto” (49)

Aggiunge Durkheim che è proprio la definizione a trasformare l’oggetto che si intende studiare in ‘fatto’ suscettibile di indagine. Per essere una definizione oggettiva, essa dovrà mettere in evidenza le proprietà inerenti e gli elementi integranti della natura dell’oggetto.

All’inizio i soli caratteri che possono essere attinti sono quelli esteriori, percepibili dai sensi. Questi caratteri percepibili possono offrire la materia sulla base della quale provare a formulare la definizione la quale dovrà comprendere “tutti i fenomeni che presentano ugualmente questi caratteri”. Da ciò deriva la regola seguente:


COME COSTRUIRE DEFINIZIONI


assumere sempre come oggetto di ricerca solo un gruppo di fenomeni precedentemente definiti mediante certi caratteri esterni ad essi comuni e comprendere nella stessa ricerca tutti quelli che rispondono a questa definizione” (50).

Durkheim fornisce degli esempi di costruzione dell’oggetto della ricerca:

1.       osserviamo, all’interno di tutte le società conosciute, l’esistenza di una società parziale, riconoscibile in base al segno esterno di essere formata da individui, per lo più consanguinei, uniti da vincoli giuridici. Dai fatti che si riferiscono a tale società facciamo un gruppo particolare al quale diamo un nome specifico: essi sono i fenomeni della vita domestica. Chiamiamo “famigliaogni aggregato di questo genere e facciamo della famiglia così definita l’oggetto di una indagine specifica che non ha ancora ricevuto una denominazione determinata nella terminologia della sociologia” (50)

2.       Vogliamo, ora, costruire la definizione di ‘fatto morale’. Quando ci troviamo di fronte ad un fatto del genere? “Per decidere se un precetto sia o meno morale dobbiamo esaminare se esso presenta il segno esteriore della moralità il quale consiste in una SANZIONE REPRESSIVA DIFFUSA, vale a dire in un BIASIMO DELL’OPINIONE PUBBLICA che così vendica ogni violazione del precetto. Tutte le volte che ci troviamo di fronte ad un fatto che presenta questo carattere non abbiamo il diritto di negargli la qualifica di fatto morale: quel carattere prova infatti che esso partecipa della stessa natura di cui partecipano anche gli altri fatti morali. Ma regole di questo genere non solo si incontrano nelle società inferiori, ma vi esistono in numero maggiore che nelle società civili. Una molteplicità di atti che sono attualmente lasciatial libero apprezzamento degli individui erano allora imposti obbligatoriamente” (54)

Questo modo di fare e di classificare i fenomeni consente alla comunità scientifica di verificare l’attendibilità della definizione e di apportare, eventualmente, modifiche e miglioramenti. Se queste definizioni entrano in conflitto con quei termini in uso nel senso comune, poco importa. Anzi. La caratteristica dell’attività scientifica è proprio quella di ‘costruire concetti nuovi, appropriati ai bisogni della scienza ed espressi mediante una terminologia specifica’. I concetti comuni devono servire allo scienziato da indicatori; solo che, essendo formato per altri bisogni, esso non può coincidere con il termine di cui, invece, ha bisogno l’attività scientifica. C’è una nota interessante:

Nella pratica si parte sempre dal concetto volgare e dal termine volgare cercando se, fra le cose che il termine descrive confusamente, ve ne siano alcune che presentano caratteri esterni comuni. Se ve ne sono e se il concetto formato mediante il raggruppamento dei fatti così accostati coincide – se non totalmente, almeno in parte – con il concetto volgare, si potrà continuare a designare il primo mediante il termine con il quale si designa il secondo e conservare nella scienza l’espressione in uso nella lingua corrente. Ma se il divario è troppo considerevole, se la nozione comune confonde una pluralità di nozioni distinte, si impone la creazione di termini nuovi e specifici” (51).



EVITARE L’AMBIGUITA’ SEMANTICA


   Qui Durkheim ripropone questioni già note all’interno della comunità scientifica moderna, già a partire da Galilei per arrivare ad empiristi come Locke (INSERIRE)

   Si tratta, cioè, di evitare l’ambiguità semantica, la polisemia (l’equivocità, avrebbe detto Galilei; le ‘parole’ avrebbe ripetuto Leopardi): “Le nozioni comuni sono spesso ambigue e l’ambiguità fa sì che vengano riunite sotto lo stesso nome e nella stessa spiegazione cose in realtà molto differenti; da ciò derivano inestricabili confusioni”.

Durkheim mette in guardia dal fare certi errori nella costruzione di questi nuovi concetti: si tratta sempre di riunire nella stessa definizione tutti i fenomeni che hanno le stesse proprietà esteriori; sbaglia, dunque, chi ne toglie alcuni perché gli sembra non corrispondano alla sua idea mentale dell’oggetto!



A COSA SERVE LA DEFINIZIONE?



La definizione non esprime l’essenza della realtà che deve essere indagata. Se fosse così, una volta ‘definita’, la cosa o il fatto avrebbero svelato ciò che la ricerca aveva il compito di svelare. “la sua unica funzione- scrive D.- è di farci prendere contatto con le cose” il che lo possiamo fare soltanto dal di fuori, cioè utilizzando l’osservazione metodica e corretta capace di rilevare le apparenze.


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