sabato 22 settembre 2012

STORIA DELLA SOCIOLOGIA. UN TESTO DEDICATO ALL'OPERA DI PIERRE BOURDIEU. MACHEREY P., il triste dominio dell'"uomo accademico", IL MANIFESTO, 21 settembre 2012

Un progetto di ricerca centrato sulla critica al riflesso elitario e autocelebrativo della filosofia
Nel 1997, in un momento in cui molto probabilmente ha avuto delle ragioni particolari per sentirsi mortale, Bourdieu pubblica Meditazioni pascaliane, libro-bilancio di tutta una vita da «antropologo sociologo», per riprendere la definizione che egli stesso si dà nella quarta di copertina dell'edizione francese del testo. Questa copertina nera che contrasta con i colori piuttosto pimpanti con cui sono state pubblicate altre opere nella stessa collana «Liber» dell'editore Seuil, fa pensare all'oscuro lavoro di un lutto, o di un addio modulato attraverso pagine scandite da toni aggressivi o pacati, che seguono i risultati di una ricerca contrastata, allo stesso tempo sovrana e tormentata: è un modo di procedere alla Bourdieu, il cui riferirsi a Pascal sembra perfettamente appropriato visto che si serve di un fondo di pessimismo e di angoscia.
 
 


Un progetto antiaristocraticoIn questo libro strano, sotto molti punti di vista fuori dalle regole, monumentale e accidentato, ripetitivo e creativo che, a seconda dei momenti, suscita l'esasperazione e costringe al convincimento, Bourdieu, come sua abitudine, sembrerebbe prendersela con il mondo intero, in realtà porta avanti innanzitutto un dialogo con se stesso: si rivolge a quella che lui chiama la buona coscienza del «filosofo-normalista», l'homonculus academicus che è stato all'origine e si assicura, ancora una volta, di averlo effettivamente svalutato e di essersene sbarazzato diventando il fondatore di una scienza sociale che, pur conservando tutte le risorse del pensiero concettuale, avrebbe respinto i pensatori e i vincoli della «ragione scolastica», presa come capro espiatorio di tutto il libro. Solo questo modo di pensare completamente riservato, passato al rasoio di Occam, secondo lui potrebbe prendere il posto della vera filosofia, quella che, secondo Pascal, «si prende gioco della filosofia»: questa vera filosofia è quella che la filosofia dei filosofi non è riuscita ad essere proprio a causa di queste pesantezze e di questi vincoli «scolastici» da cui essa si ritiene esente in virtù di un miracolo di stato, a cui fa appello per professare un aristocratismo d'eccezione appropriato alla sua condizione di attività piacevole, secondo la definizione della filosofia data da Platone nel Teeteto. A quest'ultima pretesa Bourdieu oppone «l'estraneità del mio progetto, una sorta di filosofia negativa presentata per sembrare autodistruttiva» (Meditazioni pascaliane).

Il dio dei filosofiL'espressione «filosofia negativa», che comprare anche sulla quarta di copertina del libro, riassume questo atto di abiura ispirato dall'odio di sé con cui Bourdieu firma la sua impresa: «Non mi sono mai veramente sentito giustificato di esistere in quanto intellettuale. E ho sempre provato - e anche qui - di esorcizzare tutto ciò che, nel mio pensiero, fosse legato a questo status, come l'intellettualismo filosofico. Non amo in me l'intellettuale e quello che può risuonare come anti-intellettualismo in ciò che scrivo è diretto soprattutto contro ciò che resta in me, a dispetto di tutti i miei sforzi, di intellettualismo o d'intellettualità».
Non si può evitare di pensare che quest'ultimo ritorno sul sé negativo del peccatore che implora un Dio nascosto affinché gli faccia dono del buon uso delle sue malattie, ritorno su di sé che fornirà tre anni dopo a Bourdieu l'oggetto dell'ultimo corso tenuto al Collège de France dal titolo «Scienza della scienza e riflessività», potrebbe avere per una parte valore di denegazione: ciò significherebbe, allora, in maniera indiretta, che il solco della frattura, una vera conversione nel senso che la religione assegna a questo termine, resta ancora e sempre da scavare, come se non l'avesse mai finita con ciò che è stato, l'homonculus academicus dedito al culto del Dio dei filosofi, proprio quando sono stati consacrati tanti e tanti sforzi nel tentativo di liberarsene, quelli fatti dedicandosi allo studio delle strategie matrimoniali dei contadini del Béarn, dei giri e rigiri all'interno della casa kabyla, o dei dispositivi ereditari legati alla scolarizzazione, per citare solo tutti i primi lavori sviluppati da Bourdieu in questa prospettiva durante gli anni Sessanta.
In questo senso, il lutto a cui le Meditazioni pascaliane invitano è tra gli altri, ma prima di tutti gli altri, il lutto del filosofo che da per l'ultima volta il suo addio alla filosofia, o piuttosto, a un certo modo di fare filosofia che si è sforzato di ridurre al silenzio e che, forse, teme si attacchi ancora alla pelle tanto è difficile liberarsi dell'abitudine d'interpretare il mondo quando questo ci chiede, con maggiore o minore insistenza, di essere trasformato. Ed è per questo che non è completamente inutile leggere questo libro come un sintomo del rapporto ambiguo, essenzialmente reattivo, che la filosofia intrattiene con una scienza sociale che pretende di soppiantarla o superarla, nella figura di un congedo o di un rifiuto; quest'ultimo va di pari passo con una certa dose di nostalgia, sarebbe a dire con un ritorno del rimosso, che fa nascere il sospetto che lo specialista in scienze sociali non l'abbia mai smessa di farla finita con la filosofia e che, la fine della filosofia di cui proclama l'ineluttabilità, sia ancora filosofia.
Pertanto l'ultimatum che Bourdieu lancia ai filosofi è radicale, sembra esigere da essi una resa totale: «È a condizione di prendersi il rischio di mettere realmente in questione - diversamente dalle messe in scena della sovversione radicale con cui l'«accademismo antiaccademico» si è sempre deliziato - il gioco filosofico al quale è legata la loro esistenza in quanto filosofi o la loro partecipazione riconosciuta a questo gioco, che i filosofi potrebbero assicurarsi le condizioni di una vera libertà in rapporto a tutto ciò che li autorizza e li fonda a chiamarsi e a pensarsi filosofi e che, come contropartita di questo riconoscimento sociale, li rinchiude nei presupposti inscritti nella postura e nella posizione di filosofi» (Meditazioni pascaliane).

Vie d'uscitaQuesto proposito remoto e altezzoso decreta, d'altra parte, la necessità della rottura e la volontà di non lasciarsi contare tra quelli le cui acrobazie sono solo puro spettacolo, perché credono di poter rompere dall'interno rimanendovi dentro e sperano così di cadere all'in piedi, e dunque, di recuperare i benefici collegati allo statuto usurpato dei sovrani del pensiero. Ora, come tutti i dominanti, i filosofi sono in realtà assoggettati alla dominazione che esercitano, ed è per questo che il miglior servizio che si possa rendere loro è di mostrargli la via d'uscita al di là della quale saranno effettivamente liberi dal loro assoggettamento che è, allo stesso tempo, quello che essi prescrivo e subiscono. Ma bisogna aggiungere che questo servizio è un servizio interessato, perché il vero obiettivo perseguito dal ricercatore in scienze sociali liberando la filosofia, è di liberare la scienza sociale dalla filosofia: «Bisogna liberare la filosofia per liberare le scienze sociali dalla critica reattiva - per non dire reazionaria - che essa non smette di opporre loro» (Meditazioni pascaliane).
Liberare la filosofia non è esattamente la stessa cosa di liberarsi della filosofia, sarebbe a dire di sbarazzarsene definitivamente. Fino alla fine e proprio nel suo «addio alla filosofia», Bourdieu è rimasto filosofo e anche filosofo della filosofia, tentando, forse inutilmente, di farla uscire dalle sue impasse.

traduzione di Fabrizio Denunzio

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