giovedì 24 gennaio 2013

TEORIE DEL CONFLITTO SOCIALE. DA AXEL HONNETH AD EMMANUEL RENAULT. E. RENAULT, La scena oscura del riconoscimento, IL MANIFESTO, 18 gennaio 2013


Il filosofo Axel Honneth ha da sempre sottolineato la sfida morale fra le motivazioni e giustificazioni dell'azione rivoluzionaria. Esistono molte altre letture, fino all'idea degli individui «maschere economiche» che giocano ruoli teatrali. Oggi a Roma un incontro

AXEL HONNETH

EMMANUEL RENAULT



La riflessione honnethiana sulle motivazioni dei conflitti sociali ha condotto ad affrontare la questione del riconoscimento in Marx in una prospettiva diversa da quella dell'opposizione habermasiana tra lavoro e interazione, contribuendo ad aprire nuovi dibattiti. In Lotta per il riconoscimento, Honneth ha proposto di distinguere, tra le motivazioni dei conflitti, delle motivazioni utilitaristiche da altre che rinviano al riconoscimento, e ha sostenuto che il giovane Marx ha tentato «di interpretare i conflitti sociali della sua epoca come una lotta morale che i lavoratori oppressi conducono per ristabilire le condizioni sociali di un pieno riconoscimento». Tra i marxisti, però, sono pochissimi a pensare che la questione del riconoscimento potrebbe chiarire l'immagine che Marx si faceva delle lotte del proletariato, o il modo in cui bisogna comprendere le lotte popolari attuali.
In questo dibattito, nel quale si intrecciano molteplici questioni, la problematica honnethiana ha consentito di prestare attenzione al fatto che i sentimenti di vergogna, disprezzo e umiliazione giocano un ruolo importante in Marx, che li riconduce alla loro origine sociale e li presenta nella loro dimensione di protesta. Nella Questione ebraica, si sostiene che la società dominata dal denaro fa del «disprezzo dell'uomo un fine in sé». Le Note su James Mill sottolineano che nella società alienata il lavoratore non soffre soltanto di povertà, ma anche di umiliazione: «chi non ha nessun credito non è giudicato semplicemente come un povero, ma anche, moralmente, come qualcuno che non merita fiducia né riconoscimento, come un paria, un uomo malvagio; oltre alle privazioni, il povero subisce l'umiliazione di abbassarsi a mendicare il credito del ricco».

Etica del sentimentoNell'Introduzione alla critica della filosofia hegeliana del diritto il sentimento di vergogna è presentato come una motivazione e una giustificazione dell'azione rivoluzionaria. In un passaggio celebre Marx parla dell'«imperativo categorico che comanda di capovolgere tutte le condizioni nelle quali l'uomo è diminuito, asservito, abbandonato, disprezzato». Un altro passaggio non meno celebre afferma che «bisogna rendere l'oppressione reale ancora più opprimente aggiungendole la coscienza dell'oppressione, la vergogna ancora più vergognosa, rendendola pubblica. Bisogna dipingere ogni sfera della società tedesca come la parte vergognosa di questa società». Nel periodo della maturità i riferimenti a questi sentimenti morali sono senza dubbio meno frequenti, ma Marx torna a più riprese sul fatto che il capitalismo si accompagna a una degradazione materiale e morale dei lavoratori. L'idea che le esperienze morali negative appartengono alle motivazioni delle lotte del proletariato non sembra abbandonata.
Per il giovane Marx come per il Marx della maturità, l'azione storica è guidata piuttosto dagli interessi che dalla coscienza morale. Ma la soddisfazione dei bisogni fonda l'agire rivoluzionario solo negativamente, attraverso la mediazione di quelli che potremmo chiamare dei bisogni negativi. Ciò che è in gioco, infatti, è il rifiuto della miseria fisica e morale. Marx scrive nella Sacra famiglia che il proletariato «si sente annientato in questa alienazione, vi vede la sua impotenza e la realtà di un'esistenza inumana. Esso si ritrova, per usare un'espressione di Hegel, nell'avvilimento, nell'indignazione contro questo avvilimento, un'indignazione alla quale lo spinge necessariamente la contraddizione che oppone la sua natura umana alla sua situazione, che costituisce la negazione franca, categorica, totale di quella natura».
In Valore, prezzo e profitto, ossia vent'anni più tardi, le lotte sull'orario di lavoro sono interpretate secondo lo stesso modello, quando Marx afferma che in esse i lavoratori «non fanno che adempiere a un dovere verso la loro razza». Infatti, «tutta la storia dell'industria moderna mostra che il capitale, se non lo si ostacola, opera senza scrupolo né pietà a gettare tutta la classe lavoratrice in uno stato di estrema degradazione». «Ostacolando questa tendenza del capitale, lottando per un salario più alto, corrispondente alla più elevata intensità del lavoro, l'operaio non fa che opporsi alla svalutazione del suo lavoro e alla degradazione della sua razza». Secondo il Marx della maturità le lotte per la riduzione della giornata di lavoro e per l'aumento del salario si radicano dunque in un bisogno di resistere alla degradazione fisica e morale. Sembra legittimo ritenere che le esperienze del disprezzo e le situazioni lavorative e abitative umilianti siano restate per Marx degli elementi di questa degradazione e dei fattori della rivolta contro questa degradazione. L'analisi delle motivazioni delle lotte operaie proposta in Valore, prezzo e profitto, come l'utilizzo dei rapporti di salute pubblica nel Capitale, sembrano allora indicare che su questo punto egli non abbia cambiato posizione dai tempi della Sacra famiglia.
È chiaro che da un punto di vista marxiano le lotte del proletariato non possono essere concepite come delle lotte per il riconoscimento (o come delle lotte volte ad ottenere un maggiore riconoscimento). Per alcuni aspetti, però, esse possono comunque essere concepite come delle lotte contro le forme di disprezzo e di avvilimento che accompagnano lo sfruttamento. La rivendicazione del riconoscimento non è più investita del ruolo, attribuitole nel 1844, di definire i fini delle lotte comuniste (come del resto neppure le rivendicazioni redistributive), ma non ci si può neppure domandare se la lotta contro il riconoscimento negativo costituisca una motivazione meno legittima della volontà di elevarsi al di sopra della miseria materiale, perché queste due motivazioni sono inseparabili, ed emergono entrambe dall'esperienza della degradazione fisica e morale.

Dramatis personae Ma mi pare che esista un altro approccio, diverso sia da quello appena tratteggiato, sia da quello dei Manoscritti del '44, al quale ora posso solo accennare. Esso riguarda il modo in cui il Capitale affronta la problematica dei ruoli sociali attraverso i termini «Charaktermasken», le maschere del teatro, e «dramatis personae», i personaggi di un dramma. Il primo di questi due termini è mobilitato per analizzare il riconoscimento tramite i ruoli sociali all'interno delle relazioni mercantili. Dopo aver osservato che non può esservi scambio se non dove i possessori di merci «si riconoscano reciprocamente come proprietari privati», Marx aggiunge: «le persone non esistono qui se non l'una per l'altra e solo come dei rappresentanti delle merci, e dunque come possessori di merci. Vedremo in seguito che le maschere economiche delle persone non sono altro che la personificazione dei rapporti economici, e che è solo come portatori di questi rapporti che le persone possono incontrarsi». Il fatto che le interazioni mercantili siano mediate da «maschere» è introdotto in una discussione sul ruolo del diritto negli scambi. Marx spiega che le merci possono essere scambiate solo se sono portate sul mercato da persone che vogliono scambiarle e che si riconoscono reciprocamente come dei proprietari privati. L'idea secondo la quale gli scambi mercantili presuppongono un riconoscimento reciproco come soggetti di diritto, o «persone», la si trova già in Hegel, e non presenta nessuna originalità. L'originalità di Marx sta nell'aggiungere che queste identificazioni giuridiche non sono altro che delle personificazioni di rapporti economici, e che il riconoscimento reciproco mediato da queste identificazioni non è altro che un riconoscimento attraverso delle maschere, ossia dei ruoli sociali che contribuiscono a dissimulare una parte della realtà dello scambio. Di nuovo, come nelle «Note su Mill» e contro Hegel, il riconoscimento reciproco è compatibile con l'illusione e l'inganno. Questa illusione è ora concepita come dimensione strutturale degli scambi e non più, come nel '43, come l'effetto del denaro e del sistema creditizio, giudicati responsabili di un inganno, di una ipocrisia e di una dissimulazione spinti all'estremo.
Nel Capitolo 2, che abbiamo appena citato, Marx non ha ancora spiegato perché i ruoli assunti dai soggetti dello scambio devono essere considerati come delle maschere di teatro piuttosto che come delle autentiche forme di riconoscimento reciproco. Questo punto non risulterà comprensibile che nel Capitolo 4, in cui l'immagine delle Charaktermasken è rimpiazzata da quelle delle dramatis personae. Diventa allora evidente che la falsità dei ruoli è legata ai rapporti di dominio: se il lavoratore si presenta al capitalista come libero possessore della propria forza-lavoro, è perché è costretto a venderla come merce da un rapporto sociale di dominio che, una volta ceduta la forza-lavoro, non è più compatibile con nessun riconoscimento della libertà: «Non appena usciamo da questa sfera della circolazione semplice, che fornisce al libero scambista volgare le sue nozioni, le sue idee, il suo modo di vedere e il criterio del suo giudizio sul capitale e sul salariato, noi vediamo operarsi una certa trasformazione nella fisionomia delle nostre dramatis personae. Il nostro antico possessore di denaro viene avanti e, in qualità di capitalista, avanza per primo; il possessore della forza lavoro lo segue da dietro come il suo lavoratore; quello lo guarda beffardo, indaffarato e con l'aria importante; questo, timido, esitante, restio, come qualcuno che ha portato la propria pelle al mercato, e non può aspettarsi altro che la sua conciatura».

Il dominio del mercatoCon queste osservazioni ironiche, Marx sottolinea la falsità del riconoscimento legale che avviene all'interno del mercato: in definitiva, il riconoscimento dell'eguale libertà delle volontà resta una semplice apparenza. Allo stesso modo, suggerisce che il dominio istituzionale del mercato da una parte, e quello della produzione dall'altra, si strutturano secondo logiche del riconoscimento contraddittorie: lo stesso lavoratore è riconosciuto ora come libero, ora come una pura forza-lavoro che può essere consumata a piacimento.
Così, il concetto di Charactermasken apre la via a due problematiche feconde, assenti nella problematizzazione hegeliana, ma dotate di numerose eco sociologiche, troppo spesso trascurate dalle discussioni contemporanee sul riconoscimento. La prima di queste due problematiche è quella del riconoscimento come misconoscimento. Il riconoscimento è misconoscimento in un doppio senso, nel senso di una doppia falsità di questi ruoli sociali che non sono che delle maschere: queste maschere sono false sia perché è solo un sistema di dominio ad obbligare gli attori sociali a indossare delle maschere di libertà, sia perché contribuiscono a dissimulare la realtà dei rapporti sociali. La seconda problematica rinvia al fatto che le differenti istituzioni del mondo sociale (in particolare le istituzioni del mercato e del lavoro) possono produrre degli effetti di riconoscimento differenti, che possono rivelarsi contraddittori. Se la prima problematica ci conduce verso Adorno (e alla sua critica della non-verità come inscritta nel concetto stesso di ruolo sociale) e Bourdieu (e alla sua identificazione degli effetti di riconoscimento con degli effetti di misconoscimento), la seconda ci conduce piuttosto verso l'interazionismo e l'istituzionalismo e l'idea di una pluralità di sfere del riconoscimento. Si tratta di prospettive assai differenti rispetto a ciò che in precedenza Marx ha pensato a partire da Feuerbach, a proposito del riconoscimento dell'essere generico, o a partire da Hegel, a proposito degli effetti pratici della negazione del riconoscimento. Ci sono, in Marx, diversi approcci eterogenei al riconoscimento, e sarebbe pericoloso tentare di unificarli in una sola teoria.

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