venerdì 28 ottobre 2016

SOCIOLOGIA ECONOMICA. A. FRANZI, Luca Ricolfi: «La caduta di Berlusconi è stata pilotata. Ma oggi stiamo peggio che nel 2011», LINKIESTA, 13 ottobre 2016

Cinque anni fa. Ancora una decina di giorni e si sarebbe materializzata l'immagine che ha restituito meglio di tutte (o peggio) la considerazione con cui veniva trattata in quei mesi l'Italia a livello internazionale: i risolini di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy in risposta a una domanda sulla capacità dell'ultimo Governo guidato da Silvio Berlusconi di realizzare le riforme chieste dall'Unione Europea. Il 23 ottobre 2011. Cinque anni fa, oggi, quell'immagine non c'era ancora ma il destino di quel Governo di centrodestra era ormai segnato.


Era già trascorsa l'estate della lettera della Bce, sui mercati lo spread schizzava alle stelle. La maggioranza parlamentare si era via via assottigliata, mentre gli scandali giudiziari avevano irrimediabilmente indebolito il ruolo di Berlusconi all'estero. La cancelliera tedesca e il presidente francese addirittura gli ridevano dietro in pubblico.In quei giorni maturava, in Italia, la stagione di Mario Monti e del suo Governo di professori. L'incarico ufficiale sarebbe arrivato il 16 novembre, qualche giorno dopo la nomina di Monti a senatore a vita da parte del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e le dimissioni di Berlusconi. L'Italia stava affondando, era sull'orlo del baratro, si diceva.
E servivano, si diceva ancora, misure d'emergenza per non farla colare a picco tirandosi dietro anche l'euro. In cinque anni è accaduto di tutto, Monti non è più un protagonista politico, Napolitano sì, anche se lontano dal Quirinale. Berlusconi è ai margini della storia. Un secondo premier, Enrico Letta, è durato poco. Un terzo, Matteo Renzi, si sta giocando tutto in un referendum sulle riforma costituzionale, mentre gli oppositori - dalla Lega a Forza Italia spodestate nel 2011, fino al Movimento 5 Stelle che ne ha approfittato nel 2013 - gli rinfacciano di non essere mai stato scelto dai cittadini, come Monti e come Letta.
Ma in questi cinque anni l'Italia è davvero cambiata? Abbiamo iniziato a chiederlo a Luca Ricolfi, sociologo e attento studioso della società italiana. La sua risposta è articolata ma, in fondo, chiara: "E' arrivato il momento di riconoscere che allora si è un po' accentuata la drammaticità della situazione dell'Italia. La caduta di Berlusconi è stata pilotata, lui era un corpo estraneo all'establishment europeo". Per Ricolfi, questa cacciata avrebbe anche potuto far del bene all'Italia, ma la stagione di Monti è stata "un'occasione mancata", perché l'Italia reagisce solo quando ha paura. Poi si dimentica presto del suo declino.

Andiamo con ordine: cinque anni fa di questi tempi venivamo descritti come un Paese sull'orlo del baratro: eravamo davvero messi così male?
Diciamo che è stata una valutazione un po' esagerata. Ho fatto un'analisi retrospettiva sull'andamento degli spread: allora erano tutti alti nei Paesi da sempre più deboli. L'Italia non stava subendo un atteggiamento particolarmente feroce, era dove le spettava in quella particolare situazione dei mercati. Non voglio minimizzare la gravità di come stavano le cose allora, però a mio parere è arrivato il momento di riconoscere che si è un po' accentuata la drammaticità della situazione dell'Italia, quasi che fosse l'unico Paese sotto attacco: se si guardano gli spread, erano sotto attacco anche la Spagna, il Portogallo, la Grecia, l'Irlanda. Sono fra quelli che pensano che Alan Friedman abbia detto sostanzialmente la verità quando ha scritto quello che ha scritto.

La fermo un attimo. Friedman ha ricostruito quei mesi del 2011, raccontando in un libro ('Ammazziamo il Gattopardo') che il presidente Napolitano aveva già contattato Monti mesi prima di nominarlo senatore a vita e, quindi, capo del Governo. Si riferisce a questo?
Sì, è evidente che a luglio era già tutto pronto, quando lo spread era relativamente tranquillo. La caduta di Berlusconi è stata pilotata. Che poi questo abbia fatto bene all'Italia, può darsi.

Chi ha voluto la caduta di Berlusconi? L'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha scritto di un "dolce colpo di Stato" ispirato da interessi economici e finanziari.
Non so che cosa intenda Tremonti, ma penso che non sia stata l'economia bensì la politica a estromettere Berlusconi. L'establishment europeo non lo tollerava e hanno trovato l'attimo giusto per farlo fuori. Vede, l'establishment europeo è un gruppo di persone che hanno certe idee, certi gusti, certe frequentazioni comuni e anche un certo condiviso stile di comunicazione interpersonale: Berlusconi, è facile immaginare perché, era un corpo estraneo, non era uno con cui si potesse dialogare secondo le regole comuni di quell'establishment. Ricordiamo i risolini di Merkel e Sarkozy, appunto. Devo fare però una premessa.
Dica...
Personalmente allora, non lo nego, ero montiano. Scrissi su la Stampa vari articoli speranzosi. Appena tre mesi dopo però avevo già cambiato idea.

Perché?
Proprio studiando l'andamento degli spread (in quel periodo ero in sabbatico a Oxford e lavoravo all'equazione dei rendimenti di Stato), mi accorsi che la loro principale fonte di aumento non era il deficit ma erano le prospettive di crescita del Paese. I mercati allora avevano paura dei Paesi che non crescevano, come l'Italia. Poi però Monti fece subito una manovra recessiva e vidi che la sua linea era in continuità con la solita linea della sinistra di aumentare le tasse in maniera permanente. Nel 1992, per dire, Amato fece innanzitutto una una tantum. Monti nel 2011 invece decise una manovra permanente sull'Imu, che secondo i miei calcoli ha avuto un effetto molto ampio sul valore del patrimonio immobiliare italiano: dall'inizio della crisi si è svalutato di 2.000 miliardi, anche (benché non solo) per effetto della tassa sulla casa. Questo ci costerà alla fine una riduzione permanente dei consumi dell'ordine di 20 miliardi l'anno, più o meno l'impatto di una manovra finanziaria. Perché la gente ha avuto, e ha, paura di consumare e di investire non avendo più riserve e patrimoni alle spalle.

Come si spiega che nonostante l'emergenza più o meno accentuata quel passaggio politico del 2011 non abbia rappresentato una vera svolta per l'Italia?
Con la figura di Monti ho appunto un rapporto ambivalente. L'aspetto negativo della sua azione di governo è che abbia attuato la politica recessiva di cui ho appena parlato. Il ruolo politico di Monti è stato però in un certo senso positivo, per me, perché ha comunque avuto il coraggio di prendere misure impopolari, senza badare al consenso: tanto di cappello a quei governanti che pensano al lungo periodo e non alla prima scadenza elettorale. Dunque quella stagione montiana sarebbe stata perfetta se il Governo avesse ridotto la spesa pubblica, anziché massacrarci di nuove tasse. Però non lo ha fatto.

E perché secondo lei non lo ha fatto?
Non lo so. Probabilmente perché Monti è molto legato all'establishment europeo, e in Europa c'è una visione burocratica, ragionieristica dell'equilibrio dei conti pubblici.

E che cos'altro non ha funzionato?

In un Paese in cui tutti sono commissari tecnici della Nazionale, anche in questi casi ciascuno ha le sue convinzioni. Personalmente le rispondo questo: i governanti riflettono il Paese. In Italia le scelte impopolari si possono fare solo davanti alle emergenze. Quella del 2011 è stata un'occasione sprecata, non solo perché Monti ha fatto una politica che non ha portato risultati, se non un po' più di ordine nei conti pubblici (vedi riforma delle pensioni, a dispetto dell'errore sugli esodati). Ma soprattutto perché, passata la paura, si è tornati a pensare al consenso, come sempre, alle misure popolari e al tornaconto dei partiti, più che alle soluzioni di lungo periodo. Da ultimo, è quello che sta facendo anche il Governo Renzi.
Par di capire, dunque, che rispetto a cinque anni fa, nulla sia cambiato...
L'Italia è questo Paese. Tutto cambia perché nulla cambi. Il Gattopardo, appunto. Il nostro problema è la lentezza del declino che stiamo vivendo. Se il declino fosse rapido, reagiremmo, ci daremmo da fare per fermarlo. Infatti nel 2011 ci siamo mossi perché l'Italia si era presa una strizza. Poi abbiamo cominciato a lamentarci dell'austerità, e lo facciamo ancora oggi. Ma sa una cosa? Noi, in Italia, non abbiamo mai fatto politiche di austerità. I conti pubblici non li abbiamo messi a posto, il Pil è diminuito e il rapporto fra debito e Pil è continuato ad aumentare anche quest'anno, tanto che anche Renzi ha dovuto ammetterlo dopo aver promesso di invertire la tendenza fin dal 2016.

Cinque anni dopo il dibattito politico nostrano sembra metterci di fronte a un altro, ennesimo momento decisivo. Si inizia a ipotizzare una successione a Renzi alla guida del Governo, in caso di vittoria del no al referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale. Lei vede possibile, nelle condizioni attuali, un ritorno di una proposta tecnica come quella del 2011?
Non credo. Checché se ne dica, dovesse davvero vincere il no (e al momento sembra questa la tendenza), non raggiungeremmo il livello di tensione del 2011. Come è accaduto con la Brexit o come si pensa accadrebbe in caso di vittoria di Trump negli Stati Uniti, vengono usati scenari allarmistici per fare del terrorismo psicologico. Ma dal giorno dopo il voto, tutto e tutti si riallineano, più o meno rapidamente. Certo, se vince il no, a mio giudizio, si aprirebbe in Italia un periodo di confusione, perché non vedo un'alternativa realistica a Renzi. Se vince il no, riprenderanno tutti a litigare come sempre, si ciancerà di nuovo di riforme ma promettendole per il futuro. Al limite potranno fare un Governo di unità nazionale o di 'larghe intese', ma la soluzione di un Governo tecnico mi pare possa emergere solo di fronte a un'emergenza economica forte.

E lei non la vede.
No, non vedo la situazione in termini di emergenza. Vedo appunto un declino economico lento e inesorabile, che sta sprofondando l'Italia non dico nel Terzo Mondo ma sicuramente in un ruolo di Paese bloccato, sempre più marginale nonostante i sogni di gloria di qualche politico. E' un declino iniziato quarant'anni fa e di cui, a parte qualche spaurto 'gufo' del passato come Ugo La Malfa e Franco Reviglio, ci si è accorti dopo, molto dopo. La produttività è ferma da vent'anni, come fa un Paese così a essere competitivo? È tardi.
In questi cinque anni, la disillusione degli elettori verso la politica si è strutturata, lo vediamo già nell'ampiezza dell'astensione dal voto. Vede un nesso, in Italia, fra l'operazione Monti e questo distacco dei cittadini verso le istituzioni, nazionali ma anche europee?
No, non mi sembra che l'anno di Monti sia stato un anno di distacco dalla politica, anzi io ricordo una stagione di mobilitazione e di impegno. Il distacco dei cittadini dalla politica, la delusione, lo scoraggiamento, sono interventi dopo e sono dovuti, a mio avviso, a due grandi meccanismi. Il primo è il mero trascorrere del tempo, ormai siamo nel decimo anno della crisi: l'europeismo ha retto fino a un certo punto, poi gli elettori hanno iniziato a presentare il conto. Il secondo meccanismo è l'esplosione della crisi dei migranti: senza controllo delle frontiere, la gente ha iniziato a spaventarsi. E il fatto che l'Europa non abbia dato nessuna vera risposta ha iniziato a far percepire l'élite che governa l'Europa come non in grado di risolvere i problemi. Quindi non sopravvaluterei il passaggio del 2011, se non altro perché allora si pensava che nel giro di uno o due anni si sarebbe usciti dalla crisi.
Però poteva andare diversamente? C'è chi dice che elezioni anticipate sarebbero state lo strumento migliore per affrontare la crisi, non la supplenza di un premier tecnico.
Posso testimoniare una circostanza. In quel momento, quando maturava la stagione di Monti, in Italia c'era una grande aspettativa di cambiamento, si credeva che Berlusconi avesse fatto il suo tempo e ci fosse bisogno di una svolta radicale. Allora coordinavo un ampio sondaggio commissionato da Luca di Montezemolo e la sua Italia Futura: Montezemolo, nel 2010-2011, si presentava come la figura che poteva rappresentare questa scelta di cambiamento. I dati di quel sondaggio gli davano un potenziale elettorale del 20%, il partito di Montezemolo poteva essere la nuova Forza Italia. Questi dati stavano per essere annunciati. Fui convocato a Roma per presentarli, ma a un certo punto mi dissero che si doveva fermare tutto. Pochi giorni dopo, Napolitano incaricò Monti di formare un nuovo Governo. Interpretai quella uscita di scena così: qualcuno, forse Montezemolo stesso, aveva deciso che la bandiera del cambiamento doveva passare a Monti.

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