lunedì 11 maggio 2020

EPIDEMIE PANDEMIE FORESTA AMAZZONICA FRA AMBIENTE E COMUNITA' INDIGENE. G. TALIGNANI,Amazzonia, il coronavirus non frena la deforestazione. "Aumenta il rischio di nuove pandemie", REPUBBLICA.IT, 11 maggio 2020

A circa 10 mila chilometri da noi, in silenzio, si sta consumando un dramma che presto anche in termini di future pandemie potrebbe ricadere sulle nostre vite. L'Amazzonia continua ad essere sventrata, bruciata, deforestata. I dati da poco diffusi dell'Inpe (National Institute of Space Research) dimostrano come nei primi quattro mesi del 2020 la deforestazione sia aumentata del 55% rispetto a un anno fa. Il mese scorso oltre 405 chilometri quadrati della foresta pluviale sono stati deforestati, rispetto ai 248 dell'aprile 2019.




Come ci avvertono oggi gli scienziati, ad esempio in uno studio appena pubblicato su Frontiers in Medicine, la distruzione di foreste e habitat dovrebbe preoccuparci seriamente: come avvenuto in Asia, il Sudamerica è oggi uno dei continenti dove più facilmente potrebbe svilupparsi il salto di nuovi virus da animali a uomo. Continuando a togliere spazio e habitat agli animali, che spingiamo sempre più verso aree antropizzate, favorendo future pandemie.

In questo momento l'Amazzonia, la più grande foresta pluviale tropicale al mondo, estremamente ricca di biodiversità e vitale per contenere l'avanzata della crisi climatica, sta soffrendo pesantemente: rispetto all'aprile di un anno fa ad oggi nella parte brasiliana la deforestazione è aumentata sino al 64%.

La foresta viene abbattuta per riconvertire i terreni ad uso agricolo, minerario e per l'allevamento di bestiame, con lo scopo principale di favorire l'economia del Paese. Questo sta portando, durante la pandemia, sia a distruggere l'ecosistema sia a mettere in ginocchio le già fragili tribù indigene che la popolano.


Se oggi la deforestazione amazzonica è salita a livelli massimi, per molti ambientalisti brasiliani buona colpa è parte delle politiche volute dal presidente brasiliano Jair Bolsonaro che, togliendo vincoli, avrebbe incoraggiato l'estrazione e la deforestazione in aree che dovevano essere protette. Inoltre, in questo periodo di lockdown e precauzioni a causa del Covid-19, le misure di sorveglianza nei territori amazzonici sarebbero state ulteriormente abbassate, lasciando indisturbata l'avanzata di attività illegali. Mentre Bolsonaro nega le accuse e rilancia inviando le forze armate nella regione per tentare di frenare il disboscamento illegale, la Human Right Watch Brasile insiste sostenendo che "le attività e le reti criminali continuano ad operare nella più assoluta impunità trovando porte ancora più aperte, minacciando le popolazioni indigeni e gli altri abitanti della foresta".

Paulo Barreto, ricercatore senior dell'istituto senza fini di lucro Imazon, ha dichiarato alla Reuters che negli ultimi mesi sono diminuiti i fondi destinati alla protezione, è aumentata la deforestazione e  "la pandemia non ha aiutato perché ci sono meno agenti là fuori e ovviamente i taglialegna illegali non si preoccupano del virus nelle aree remote dell'Amazzonia".

Se la risposta di Bolsonaro è stata usare le forze armate per scoraggiare i disboscatori illegali, le associazioni a protezione dell'Amazzonia e gli ambientalisti la giudicano una misura che non sarà comunque in grado di offrire una "soluzione duratura" al problema.

Inoltre, i dati sulla deforestazione potrebbero essere ancor più preoccupanti se letti attraverso la stagionalità. Secondo Erika Berenguer, ecologa dell’Università di Oxford, “l'inizio dell’anno non è il momento in cui si verifica normalmente la deforestazione, perché piove molto" e  quando in passato abbiamo assistito ad un aumento della deforestazione già nei primi mesi è sempre stato un indizio "per un aumento annuale del disboscamento".

Mentre in Amazzonia e in Africa si leggono segnali preoccupanti legati al disboscamento, nel mondo la deforestazione sembra rallentare, almeno secondo le prime anticipazioni del Global Forest Resources Assessment 2020 della Fao, che sarò pubblicato a giugno. Tra i dati disponibili ora si scopre infatti che la deforestazione continua ma a un ritmo inferiore: siamo a 10 milioni di ettari all'anno convertiti in altri usi dal 2015, in calo rispetto ai 12 milioni di ettari all'anno dei cinque anni precedenti.

Nella speranza di altri segnali globali positivi però, la deforestazione in Amazzonia non può più continuare a passare inosservata a livello internazionale. "C'è un doppio problema - spiega a Repubblica il ricercatore forestale Giorgio Vacchiano dell'Università Statale di Milano -. Il primo è che la foresta tropicale, con un 1 milione di specie ancora da scoprire, è un enorme serbatoio di potenziali virus che potrebbero fare il salto, se noi continuiamo a mutarne gli equilibri. Non sappiamo, modificando con la deforestazione le relazioni uomo-animale, cosa potrebbe accadere, con il rischio di nuove e devastanti pandemie. Il secondo è che la pandemia porta a crisi economica e, in Paesi con situazioni di povertà come il Brasile, questa potrebbe ripercuotersi ulteriormente sull'ambiente sfruttando i terreni per tentare di risollevarsi".

Ecco perché, chiosa il ricercatore, "ora più che mai è necessaria una cooperazione internazionale che ragioni sull'Amazzonia come un bene comune di tutta l'umanità da salvare e preservare. Dobbiamo subito avviare gli strumenti per proteggerla".

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