Winter is coming» dicevano gli Stark di Game of Thrones. L’inverno demografico è arrivato, dicono invece i dati Istat. Non è un romanzo fantasy né una serie HBO ma il puntuale schiaffo in faccia che ci prendiamo noi millennial ogni anno da quando abbiamo l’età per figliare. Perché diciamolo, il problema qua siamo noi.
Non voglio parlare a nome di nessuno, «a malapena rappresento me stesso» diceva Moretti in Sogni d’Oro e sottoscrivo, ma in quanto trentenne senza figli con gatto al seguito (Taylor Swift ci ha fondato un impero sul suo essere “Childless Cat Lady”), lavoro precario, affitto condiviso, nessuna proprietà se non quella di un lussuoso asciugacapelli Dyson – non avrò un appartamento, ma che piega – e futuro assai incerto, mi sento chiamata in causa.
A elencare le ragioni per cui non ci riproduciamo ci pensano già gli esperti: potere d’acquisto crollato, mercato immobiliare impazzito, stato sociale questo sconosciuto, mettiamoci anche una dose di egoismo, un cambio di ruoli di genere che non si incastrano col sistema del lavoro attuale che comunque paga poco, male, tardi o non paga proprio. Incassate queste amare verità, mi chiedo comunque, dal momento che i figli li vorrei e pure tanti, per non finire come sull’isola dei figli unici, altra cit. morettiana, perché io non ne ho.
Una delle risposte che mi do la trovo nel passato: dove stavo mentre i miei genitori giovani e precari si facevano il mazzo? Al nido, certo, ma anche da nonni, amici, dirimpettai. Avrei io questo genere di supporto? I nonni sono in un’altra città, gli amici sono all’estero, i miei vicini sono turisti di B&B. Forse potrebbe essere anche questo il problema. Siamo una generazione cresciuta in rete, ma che ha tessuto una rete sociale dalle maglie così larghe dall’esserci caduta dentro.
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