domenica 3 giugno 2012

ETOLOGIA E SOCIOLOGIA. GRECO P., L'uomo: naturalmente buono o scimmia assassina?, L'UNITA', 3 giugno 2012

La bomba di Brindisi, che ha reciso senza ragione e senza pietà una vita giovane e innocente, è purtroppo solo uno degli ultimi esempi. Homo sapiens sembra avere una ferocia gratuita sconosciuta in natura. Tanto che un etologo, come Konrad Lorenz, parlava di noi come della «scimmia assassina». Distinguendoci dalle altre scimmie che possono essere aggressive ma che, appunto, non sono mai gratuitamente assassine.



Dove ha origine l’inaudita violenza umana? Lo chiedeva esplicitamente il fisico pacifista Albert Einstein in una famosa
lettera a Sigmund Freud, il padre della psicanalisi. La missiva era datata luglio 1932. E ha preceduto di pochi mesi, con tragica preveggenza, l’ascesa al potere di quel distillato di violenza che è stato il nazismo. Freud fornì due risposte. La prima è: non lo sappiamo. L’origine della violenza umana è certo oggetto di indagine scientifica. Ma è ancora troppo presto per dare una risposta scientificamente fondata. Tuttavia è certo che sull’uomo agiscono due
pulsioni ineludibili, la pulsione sessuale e la pulsione di morte. Quando la pulsione di morte è proiettata verso l’esterno diventa violenza assassina. Entrambe le pulsioni derivano dalla nostra animalità. Siamo, dunque, naturalmente cattivi.
Il dibattito ha interessato anche i biologi evoluzionisti. Thomas Huxley,
il “mastino di Darwin” sosteneva, un po’ come Freud, che solo l’evoluzione culturale consente di limitare la nostra naturale aggressività: la cultura è la spada con cui l’uomo ha imparato a uccidere la sua violenta animalità. Charles Darwin, però, non
ne era del tutto convinto e, anticipando l’altra tesi di Freud, rimandava a tempi più maturi una risposta.
Ora quei tempi sono arrivati, sostiene in buona sostanza il biologo
evoluzionista Frans de Waal, intervenendo nel recente speciale che la rivista Science ha dedicato allo Human Conflict. Possiamo formulare alcune ipotesi scientificamente fondate. E il quadro che ne emerge è affatto diverso rispetto a quello dipinto da Lorenz, da Huxley e da Freud . L’uomo non è una “scimmia assassina”. Al contrario,
è «naturalmente buono». È l’evoluzione culturale che ci ha fornito le occasioni e gli strumenti per violare la nostra natura e renderci, talvolta, molto cattivi.
Frans de Waal fonda le sue affermazioni su alcuni dati. Non ci sono evidenze di guerre di sterminio condotte dall’uomo prima del neolitico. E ancora oggi, anche i soldati in guerra uccidono solo sotto pressione e, dopo aver ucciso il nemico, la gran parte di loro ne resta scioccata. Insomma, non amiamo la violenza. Non siamo “naturalmente cattivi”. Inoltre, le scimmie cui siamo più vicini sono gli
scimpanzé bonobo, che, per dirla con uno slogan, “fanno l’amore, non la guerra”. Gli altri scimpanzé, i comuni, conoscono la xenofobia, è vero, e hanno una marcata aggressività verso “l’altro”. Ma questa aggressività non è mai gratuita.
Inoltre in tutti i mammiferi – e, spesso, non solo in loro – la gran parte dei comportamenti sociali è fondata non sull’aggressività ma sull’empatia: sulla capacità di compenetrarsi nelle condizione degli altri e di provare anche solidarietà. L’empatia si esprime spesso in atti di autentico altruismo. Se una femmina di scimpanzé è oggetto di aggressione da parte di un maschio violento, può contare sulla difesa attiva delle sue compagne, che non esitano a rischiare la propria incolumità e ad affrontare fisicamente il maschio per dissuaderlo dal continuare. Dove sono le prove che sostengono questo nuovo e, per molti versi, clamoroso quadro? Nel nostro cervello, sostiene Frans de Waal (che, sia detto per inciso, è più simile a quello degli scimpanzé bonobo che degli scimpanzé comuni). E, in particolare, in quelle particolari cellule neurali scoperte (nel 1991) da Giacomo Rizzolatti e dai suoi collaboratori presso l’università di Parma e battezzate (nel 1996) dallo stesso Rizzolatti col nome di “neuroni specchio”.
Quello che videro i neuroscienziati italiani all’inizio degli anni ’90 è che ci sono dei neuroni, nelle scimmie (i macachi), che “sparano” – ovvero, si attivano – sia quando la scimmia compie un’azione, per esempio afferra una nocciolina e la porta alla bocca, sia quando vede compiere la medesima azione da parte di un’altra scimmia.
Negli anni successivi Rizzolatti e i suoi collaboratori hanno dimostrato che i “neuroni specchio” sono presenti anche nell’uomo e in altri animali, mammiferi e non. E che non sono coinvolti solo nel sistema motorio. Ma anche nel linguaggio. Alcuni “neuroni specchio” si attivano sia quando pronuncio una parola, sia quando la
sento pronunciare. Gruppi di “neuroni specchio” sono endono possibile anche il fenomeno di “empatia”. Se vedo qualcuno vomitare, per esempio, anch’io subisco qualche conato. I “neuroni specchio empatici” in realtà fanno molto di più che evocare
emozioni primordiali. Lo stesso gruppo di Rizzolatti ha dimostrato che si attivano anche in condizioni psicologiche più raffinate. Si attivano, per esempio, quando vedo una persona triste e mi sento triste anch’io. O quando, appunto, vedo un bambino cadere e sbucciarsi le ginocchia e anch’io “provo” una sensazione di dolore e
un’immediata solidarietà. L’empatia e i comportamenti solidaristici sono alla base delle particolare relazioni tra madri e figli nei mammiferi e consentono alla genitrice di accudire amorevolmente il proprio figlio per lungo tempo. Ma sono alla base anche delle relazioni nelle società di mammiferi e nelle società, vastissime, create dall’uomo.
I “neuroni specchio” ci dicono che l’empatia è un carattere forgiato
dall’evoluzione biologica. Che noi uomini siamo, per usare il titolo di un libro di Frans de Waal, “naturalmente buoni”. Forse più di altri animali. Certo più degli scimpanzé comuni e quanto gli scimpanzé bonobo. Ma allora, ripetendo la domanda di Einstein a Freud, dove ha origine la violenza a volte inaudita e gratuita dell’uomo? A questo punto è chiaro: la violenza dell’uomo non è una pulsione incontrollabile, ma una costruzione culturale. È il frutto della nostra mente. E, tuttavia, resta vero quello che sosteneva Freud nella
risposta ad Einstein: non cerchiamo né alibi né appigli nella natura. Solo la cultura (di pace) può risolvere i problemi creati della cultura (di guerra). 

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