mercoledì 7 novembre 2012

ANTROPOLOGIA CULTURALE E INFLUENZA. L'INFLUENZA NELLE COMUNITA' STUDIATE DA BRONISLAW MALINOWSKI


B. Malinowski, Argonauti del Pacifico occidentale, 1922 




1. L’ostentazione del cibo e delle ricchezze fra i trobriandesi
   Nella sua ricerca sull’economia nelle culture trobriandesi, B. Malinowski (Argonauti del pacifico occidentale, 1922; tr. It.  M. Arioti, Bollati Boringhieri, 2004 e 2011) ha cercato di dimostrare il carattere erroneo di alcune tesi circolanti negli ambienti culturali occidentali e relative alla vita economica dei cosiddetti ‘primitivi’. In queste culture è possibile verificare l’esistenza di comportamenti molto simili a quelli di individui viventi in società economicamente sviluppate.
   Per esempio, il cibo non è semplicemente qualcosa che serve per sopravvivere e, quindi, apprezzato per la sua utilità; il cibo viene accumulato perché piace ostentarlo (cap. 6, p. 175). Come mostra la foto (1), “nei villaggi in cui risiede un grande capo di rango elevato i magazzini dei sudditi devono essere chiusi con foglie di noce di cocco per non competere con quello del grande capo (…) Tutto ciò mostra che l’accumulazione del cibo non è solo il risultato della previdenza economica, ma è dettata dal desiderio di ostentare ed innalzare il prestigio sociale mediante il possesso di ricchezze” (175). Malinowski ricorda anche i riti magici che accompagnano l’accumulazione del cibo. Ebbene, una volta raccolto, il mago esegue una serie di riti volti non tanto al cibo, ma a far si che gli abitanti del villaggio dirigano le loro attenzioni non sul raccolto, ma su altri tipi di alimenti onde consentire al raccolto…di marcire nei magazzini ed essere buttato per far posto al nuovo raccolto! Questa pratica che a noi può sembrare assurda viene spiegata da Malinowski come la prova di quanto aveva sostenuto sul reale scopo del raccolto: ossia, la sua ostentazione: “Qui incontriamo ancora la tipica idea che l’obiettivo principale dell’accumulazione del cibo sia quello di tenerlo in mostra nelle case finché non marcisca e possa essere, poi, sostituito” (176). Attorno alla raccolta degli alimenti ci sono, insomma, una serie incredibile di rituali e cerimoniali finalizzati prevalentemente alla esibizione ed ostentazione: i tuberi vengono messi in mostra nei giardini; si costruiscono pergolati sotto ai quali vengono ammucchiati altri elementi raccolti: “Dopo aver tenuto nel giardino il raccolto per un paio di settimane affinché sia ammirato dai gruppi in visita, il proprietario dell’appezzamento convoca un gruppo di amici e di conoscenti affinché lo trasporti nel villaggio per essere consegnato al marito della sorella del proprietario” (176).

FOTO 1. Il magazzino degli alimenti

Giunto nel nuovo villaggio, il raccolto viene messo in mostra anche per due settimane, per poi essere immagazzinato.
   Anche gran parte dei cerimoniali sono accompagnati dall’esibizione di cibo: è così per le cerimonie funebri, per i riti che accompagnano il raccolto nelle sue varie fasi, per l’atto stesso del mangiare. In questo caso, infatti, ciò che diventa importante è l’esibizione e la preparazione cerimoniale del cibo (come avviene in occasione dell’uccisione del maiale: prima di essere ucciso, l’animale viene portato in giro e mostrato in più villaggi) non l’atto vero e proprio del mangiare: “L’oggetto fruito socialmente è l’ammirazione comune per il cibo buono ed abbondante e la consapevolezza di questa abbondanza (…) I trobriandesi si godono il loro cibo come uno dei piaceri principali della vita, ma questo rimane un atto individuale” (178).
Dunque, in cibo accumulato diventa un simbolo ed un veicolo di potere, da cui il “bisogno di immagazzinarlo e di esibirlo”.
   Il valore di alimenti e cose non deriva ad essi dall’utilità e dalla scarsità, ma dai sentimenti che si sviluppano attorno ad essi. Poi Malinowski ricorda anche il contributo che, alla creazione del valore, dà il lavoro*, in particolare il lavoro necessario alla costruzione di oggetti particolarmente raffinati al punto che, per la loro raffinatezza, non verranno mai usati ma solo posseduti: “questo atteggiamento affettuoso verso il materiale e il lavoro produrrà un sentimento di attaccamento ai materiali rari e agli oggetti ben lavorati e ciò avrà come risultato che verrà loro attribuito un valore (…) viene attribuito un valore a quell’oggetto al quale l’artigiano, avendo trovato un materiale particolarmente bello o fuori del comune, è stato indotto a dedicare una quantità di lavoro sproporzionata. Così facendo egli crea un oggetto che è una specie di mostro economico, troppo bello, troppo grande, troppo fragile o troppo sovraccarico di decorazioni per essere usato e proprio per questo altamente apprezzato” (179-180)
   Insomma, contrariamente a certe tesi che vorrebbero i primitivi estranei a comportamenti simili ai nostri, Malinowski così riassume i risultati delle sue ricerche: “Vediamo che il valore e la ricchezza esistono nonostante le cose siano abbondanti e che questa abbondanza è apprezzata di per sé. Gli oggetti vengono prodotti in grandi quantità al di là di ogni loro possibile utilità, come semplice risultato dell’amore per l’accumulazione fine a se stessa; il cibo è lasciato imputridire e, sebbene gli indigeni abbiano tutto ciò che di necessario potrebbero desiderare, pure vogliono sempre di più per usufruirne come ricchezza” (179)

2. Forze, doveri, obbligazioni, credenze magiche, ambizioni sociali, vanità: cosa influenza chi lavora
   Il lavoro sembra presentare caratteri estetici e non prevalentemente utilitaristici. Gli indigeni lavorano, in maniera significativa “mirando ad obiettivi che non hanno certo molto a che vedere con la soddisfazione di desideri presenti o con il raggiungimento immediato di fini utilitari (…) inoltre il lavoro e lo sforzo, invece di essere semplicemente mezzi in vista di un fine, costituiscono dei fini in sè” (67). Un altro aspetto della mentalità del lavoro indigena è che il prodotto del lavoro non va al lavoratore, ma per tre quarti al capo mentre un’altra parte al marito della sorella o della madre e alla loro famiglia: “il trobriandese lavora in modo indiretto, in larga misura per amore del lavoro in sé e bada molto alla raffinatezza estetica nella disposizione e nell’apparenza generale del suo giardino. Non è guidato principalmente dal desiderio di soddisfare i suoi bisogni, ma da una serie molto complessa di forze tradizionali, di doveri, di obbligazioni, di credenze magiche, di ambizioni sociali e di vanità. Egli vuole, se è un uomo, distinguersi socialmente come buon giardiniere e buon lavoratore in generale” (68)

3. Potere politico, potere plutocratico e influenza del capo di alto rango

   “La ricchezza, nelle Trobriand, è il segno esteriore e la sostanza stessa del potere oltre che il mezzo per esercitarlo. Ma come acquista il capo la sua ricchezza?” (70). Va detto, preliminarmente, che l’autorità politica più significativa è quella caratterizzata dalla persona di alto rango, fatto che non si verifica sempre. Il rango è definito dall’appartenenza alle caste/famiglie generatesi dai 4 clan totemici maggiori legati, a loro volta, all’importante figura dell’antenato, ovvero a chi avrebbe dato origine al luogo in cui il gruppo si sarebbe insediato. Un capo del genere esercita l’autorità all’interno non solo del suo villaggio, ma anche su altri villaggi che sono suoi tributari ed alleati in caso di guerra. Egli deve pagare questi servizi servendosi delle sue ricchezze accumulate nel modo seguente.
   Dai villaggi vassalli il capo prende una moglie la cui famiglia dovrà fornirgli una grande quantità di prodotto agricolo. Se le mogli diventano molte, è facile capire a quale livello di ricchezza si possa arrivare: “Attraverso il suo privilegio di praticare la poligamia, il grande capo è costantemente rifornito di abbondanti ricchezze sotto forma di viveri e di oggetti di valore che egli adopera per mantenere la sua posizione elevata, organizzare feste e imprese tribali, pagare i suoi servizi” (71). Il potere politico svolge la funzione della ricompensa ma anche della punizione. E’ sempre il capo, infatti, ad esercitare il potere giudiziario servendosi della stregoneria e degli stregoni che la esercitano (raro è il caso in cui la punizione avviene tramite la messa a morte diretta del colpevole): “Il rango elevato ispira a tutti nei suoi confronti il più grande ed autentico rispetto e timore reverenziale (…) egli possiede un alto grado di autorità all’interno del suo villaggio, ma la sua sfera di influenza si estende molto al di là di esso. Un certo numero di villaggi sono suoi tributari e per parecchi aspetti soggetti alla sua autorità (…) la posizione di un grande capo si può, quindi, capire solo rendendosi conto della grande importanza della ricchezza e della necessità di pagare qualsiasi cosa, anche quei servizi che gli sono dovuti e che non possono essergli negati. Questa ricchezza viene al grande capo dai suoi affini ed è attraverso il suo diritto di praticare la poligamia che egli effettivamente raggiunge la sua posizione ed esercita il suo potere” (70). Malinowski riassume le 3 prerogative del capo: il privilegio poligamico e la ricchezza che se ne ricava; il prestigio derivante dal rango; il riconoscimento della sua superiorità personale.

4. Origini ed aspetti dell’influenza
   Da queste considerazioni si può ricavare quanto segue. Per quanto riguarda il lavoro, esso pare influenzato da una serie di valori e concezioni diffuse a livello collettivo: sono sicuramente di questo tipo i doveri, le obbligazioni e le credenze magiche. Meno chiara è la provenienza di elementi quali l’ambizione sociale e la vanità rispetto ad una concezione, come quella occidentale, che li vorrebbe più espressione di individualismo che non di collettivismo.
L’influenza esercitata, invece, dal capo di rango, sembra legata a diversi fattori: l’appartenenza tribale e le origini nobili; la ricchezza accumulata grazie al privilegio poligamico; il riconoscimento della superiorità della persona probabilmente legata ai fattori precedenti.

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