martedì 6 novembre 2012

STORIA DELLA PSICOLOGIA SOCIALE 6. HERBERT KELMAN: MOTIVAZIONI AUTOBIOGRAFICHE E TEMI DI RICERCA AFFRONTATI

Alcune considerazioni dello psicologo di origini ebraiche Herbert Kelman sui rapporti fra vicende autobiografiche e scelte professionali.



H. KELMAN, DIGNITA’ E DISUMANIZZAZIONE. L’IMPATTO DELL’OLOCAUSTO SUI TEMI CENTRALI DEL MIO LAVORO - 2001


(…) sarebbe comunque un errore costruire tutta la mia formazione attorno all’impatto esercitato dall’olocausto sulla mia vita. Ci sono state molte altre influenze che hanno determinato la mia formazione e i miei interessi professionali. Per esempio, l’influenza della religione ebraica. Poi ci sono le influenze della lingua ebraica e yiddish. Verso i 10 anni ero già orientato verso interessi per le scienze sociali; uno dei miei libri preferiti era un libro per bambini sull’etnologia; uno degli autori preferiti era J. Nestroy mentre ero già sensibile agli orrori della guerra e alla irrazionalità dei pregiudizi sociali. Partecipai, poi, all’esperienza di un gruppo religioso giovanile sionista che mi introdusse alle idee socialiste e all’ideologia del kibbutz; poi ci sono le esperienze negli USA con i movimenti antirazzisti e pacifisti, con la filosofia anarchica e con quella esistenzialista.

Le problematiche a cui cominciai ad interessarmi divennero il conformismo e l’obbedienza, il nazionalismo e l’identità nazionale, i conflitti etnici e le loro soluzioni, l’etica della ricerca sociale.

Il mio lavoro sul conformismo e l’obbedienza mostra meglio di altri l’influenza dell’olocausto sebbene esso rifletta anche altre influenze.

I primi lavori mi portarono alla distinzione fra tre processi di influenza sociale, compliance, identification e internalization – che ha continuato a funzionare come fondamento teoretico per altri lavori nel corso degli anni.

I 3 processi di influenza non rappresentano una gerarchia che si muove a partire da un piano più basso verso l’alto, in senso morale ed evolutivo. Due o tutti e tre i processi possono aver luogo nella stessa situazione o relazione. Tutti noi, non importa quanto alto sia il nostro grado di sviluppo morale, siamo coinvolti allo stesso tempo nei processi di identificazione e di acquiescenza. Essi sono spesso necessari per potersi sentir-bene e per il mantenimento dell’ordine sociale. L’interiorizzazione non è sempre buona; è possibile interiorizzare ANCHE attitudini distruttive


Ancorate ad un sistema di valori che nega la dignità e l’eguaglianza ad alcune categorie di esseri umani. Poi la distinzione ha anche un valore connotativo. Essa pone l’accento sui pericoli dell’acquiescenza automatica, senza considerare quanto i propri interessi impattino sugli interessi degli altri;  e della identificazione senza considerare quanto una particolare relazione impatti sul resto della comunità all’interno della quale è inserita.

(…) L’olocausto è sfortunatamente uno dei molti casi storici contemporanei di genocidio che sono suscettibili di uno studio comparativo da parte di scienziati sociali e storici. Lo studio di casi differenti ci può portare più vicini alla comprensione delle cause del genocidio e delle dinamiche dei processi genocidari cercando i modi per prevenirli. Uno dei modi per cui sono stato influenzato dall’olocausto è proprio quello legato all’idea di portare un piccolo contributo a questo processo di comprensione.

(…) i miei studi sul nazionalismo sono stati caratterizzati dall’attenzione riposta sui pericoli legati all’esclusione.


Un nazionalismo esclusivista può facilmente scivolare verso la disumanizzazione dell’altro. Quando la linea che demarca l’in-group dall’out-group diventa … di ogni comunità morale – la comunità i cui membri hanno il senso dell’obbligazione morale l’uno per l’altro- allra il massacro, la tortura, lo stupro, la pulizia etnica, il genocidio diventano ipotizzabili e fattibili. E’ chiaro, allora, che l’olocausto, cominciato con l’esclusione degli ebrei dalla comunità morale di tanti tedeschi ed austriaci, mi sensibilizzò nei confronti dell’ideologia nazionalista e dei suoi pericoli.

(…)
Una delle lezioni più importanti che ho tratte dall’olocausto è la seguente: bisogna essere assolutamente vigili nei confronti di ogni atto che degrada gli altri principalmente a causa della categoria in cui sono posti e li esclude da ogni altra comunità morale.

L’etica della ricerca sociale.

La quarta area di cui mi sono occupato è stata quella dell’etica della ricerca sociale.

Mi sono accorto che molta della conoscenza che la ricerca sociale di base ed applicata andava producendo, inclusi gli studi sulla comunicazione persuasiva e sulla dinamica di gruppo, poteva essere usata con propositi di manipolazione. Mi sono anche occupato dell’etica della sperimentazione umana. Un primo articolo del 1967, intitolato L’uso umano di soggetti umani, si occupava dei problemi creati dall’uso estensivo dell’inganno negli esperimenti socio-psicologici. Molti dei problemi etici sorgono nel confronto, in termini di potere, che si istituisce fra soggetti sperimentali, da un lato, e i ricercatori dall’altro, soprattutto il potere di investigazione di questi ultimi. Occorre essere attenti a non intaccare la dignità umana di quanti vengono usati nelle ricerche. Anche in questo caso non è difficile rinvenire tracce dell’impatto che l’olocausto può aver prodotto anche su questo tipo di ricerca.

Non c’è dubbio che gli abusi nazisti negli esperimenti su soggetti umani e la loro forte dipendenza dalle teorie razziali propagandate da scienziati sociali e da biologi a quel tempo hanno contribuito significativamente a sensibilizzarmi nei confronti di problemi etici.

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