domenica 10 novembre 2013

GLOBALIZZAZIONE E MULTICULTURE. DIRITTO D'ASILO. L. MANCONI, Diritto d'asilo, uno sportello in Africa, IL CORRIERE DELLA SERA, 4 novembre 2013

Caro direttore, la strage di Lampedusa del 3 ottobre impedirà forse di chiudere ancora gli occhi davanti a un dato di realtà che non può più essere rimosso. Nel corso di un quarto di secolo, ogni giorno in quel mare sono morti mediamente 6-7 fuggiaschi che cercavano di raggiungere il continente europeo.



 Quel tratto di mare è ormai un cimitero, una tomba liquida e una trappola mortale. Dunque, è proprio lì che bisogna guardare per evitare che quella macabra contabilità di morti si perpetui. Qualche giorno fa, insieme al Sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini ho presentato al Capo dello Stato un piano per la «ammissione umanitaria». Il progetto è semplicissimo, anche se di ardua realizzabilità, e si fonda su un dispositivo elementare: se il principale attentato all’incolumità è rappresentato da quei viaggi illegali nel Mediterraneo, va fatto in modo che quel tragitto possa realizzarsi in condizioni di sicurezza. Dunque, va anticipato geograficamente il momento e il luogo in cui è possibile chiedere all’Italia e ai Paesi europei una misura di protezione temporanea. Deve essere possibile, cioè, formulare quella richiesta e indirizzarla all’Unione Europea già nei Paesi di partenza o in quelli di transito. Si tratta, in sostanza, di ricorrere a un piano di reinsediamento, come già si fa per i profughi siriani, e al riconoscimento di una forma di protezione, a partire da un territorio precedente la traversata del Mediterraneo. Quest’ultimo progetto è previsto (direttiva Ue 2001) in presenza di un «afflusso massiccio di sfollati», ovvero di persone che hanno dovuto abbandonare la propria terra a causa di una persistente situazione di guerra o di violazione dei diritti umani.
Una volta riconosciuta la sussistenza delle condizioni per la protezione temporanea, l’Unione Europea definirà le quote di accoglienza per ciascuno Stato membro.
La procedura per il riconoscimento di quella protezione deve avvenire—questo è il punto fondamentale—direttamente nei Paesi rivieraschi della sponda sud del Mediterraneo e deve attuarsi attraverso il Servizio europeo per l’azione esterna e la rete delle ambasciate e dei consolati degli Stati membri, con il coinvolgimento delle organizzazioni internazionali. Questo comporta la realizzazione di presidi dell’Ue, così che in quei Paesi — Egitto, Giordania, Libano, Algeria, Tunisia, Marocco e, se ve ne sono le condizioni, Libia—si possa avviare la procedura di concessione della protezione temporanea. A questo punto, l’arrivo in Europa per quei profughi potrebbe avvenire con mezzi legali e sicuri, direttamente dal presidio internazionale al Paese di destinazione, individuato tenendo conto del regolamento Dublino III che considera l’eventuale presenza di familiari.
Ovviamente, la misura di protezione temporanea non precluderebbe la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato nei singoli Paesi. Tutto ciò ricorrendo al Fondo europeo per i Rifugiati e a quello per la Protezione civile.
Conosco bene l’obiezione: questo piano potrebbe funzionare se l’Europa lo condividesse. Appunto. Ma non c’è alternativa: o l’Unione Europea prende in considerazione un simile progetto o qualcosa che gli assomigli, oppure l’intera responsabilità di quel flusso di profughi ricadrà ancora sull’Italia. Dunque, questa è l’occasione e questo è il piano (o uno con le stesse finalità) in grado di verificare quanto l’Unione Europea sia davvero propensa ad accettare la «condivisione » alla quale l’Italia la sollecita e alla quale dice di essere disponibile. Se uno spiraglio si aprisse, è proprio lì, in quei Paesi dell’Africa, prima che inizi quella traversata maledetta, che una politica europea di accoglienza può fare le sue prove. Non avremo eliminato il traffico di esseri umani, ma certamente avremo ridotto le dimensioni di quella ecatombe marina. Presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato

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